Nello scontro tra Salvini e Trenta arriva pure una missione militare bluff
Il Viminale ottiene dalla Difesa risorse e navi, ma non si vedono differenze con le operazioni chiuse negli anni scorsi
Roma. Ieri al Viminale il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha parlato di un piano anti immigrazione che prevede tra le altre cose “l’incremento dei controlli per ridurre le partenze con utilizzo di radar, mezzi aerei e navali” e la “presenza delle navi della Marina e della Guardia di Finanza per difendere i porti italiani”. Il piano non è ancora molto definito, nel senso che non si sa che forma prenderà e quando comincerà, ma le due righe appena citate sono l’annuncio che i militari italiani saranno di nuovo coinvolti nella campagna contro il traffico di persone nel Mediterraneo – che è un punto su cui si era discusso molto negli ultimi tre giorni.
Terminato il bluff dei cosiddetti “porti chiusi” – che non possono essere davvero chiusi perché sarebbe una violazione degli accordi internazionali – domenica Salvini aveva criticato con durezza il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, perché si sente “lasciato solo” nella lotta contro gli sbarchi. Era stato l’inizio di un botta e risposta tra il capo dell’Interno e la Difesa, con quest’ultima nel ruolo del partner subalterno che riceve gli ordini. Trenta aveva provato a replicare lunedì mattina con un’intervista al Corriere della Sera in cui accusava Salvini di pretendere l’aiuto della Marina militare ma di avere tagliato le gambe a Sophia, la missione europea a comando italiano. Glielo avevo detto, spiega Trenta, se leviamo le navi militari della missione Sophia dal Mediterraneo torneranno le ong. Salvini nel giro di poche ore aveva risposto che “qualcuno si è svegliato nervosetto stamattina” e che la missione Sophia andava comunque chiusa perché le navi europee sotto il comando italiano recuperavano i migranti e poi li portavano in Italia. Le navi di Sophia facevano così perché non consideravano sicuri altri porti diversi da quelli italiani – in pratica i militari della missione agivano con gli stessi standard delle ong che il ministro dell’Interno vuole bloccare (per questo motivo la parte navale della missione Sophia è stata sospesa, mentre la parte relativa alla sorveglianza aerea sul Mediterraneo continua ed è considerata ancora molto utile, ovviamente).
Il ministro Trenta nell’intervista dichiarava di essere pronta a inviare navi militari nel Mediterraneo in una nuova missione contro gli scafisti. “Sarebbe l’ora – ha commentato Salvini su Twitter – meglio tardi che mai” e poche ore dopo, come si è detto, dal Viminale è arrivata la notizia del nuovo piano. Fabrizio Coticchia, professore di Relazioni internazionali che si occupa specificamente dei problemi della Difesa, spiega che l’annuncio di una nuova missione militare da parte dell’Italia ha un problema di credibilità. “Nella zona abbiamo già altre missioni militari, inclusa Mare sicuro, che si occupa soprattutto della sicurezza di infrastrutture strategiche per l’Italia vicino alla costa libica, come gli impianti dell’Eni che trasportano energia, una missione bilaterale di assistenza – sanità, capacity building, ex Ippocrate a Misurata – una missione bilaterale di assistenza alla Guardia costiera e infine Sophia, che però è rimasta attiva soltanto come sorveglianza aerea. Adesso vogliamo cominciare una nuova missione che in qualche modo dovrebbe essere diversa da Sophia, ma non si vede come potrebbe finire a fare cose diverse”. L’annuncio del Viminale parla di “bloccare i porti”, e il partito Fratelli d’Italia parla della necessità di un blocco navale, forse è quello verso cui stiamo andando ora? “Il blocco navale presenta molti problemi legali ed è infattibile sul piano pratico”.
“L’ultima volta che la Marina militare ha tentato un blocco navale è finita con lo speronamento di una nave albanese nel canale di Otranto e la morte di cento persone, era il 1997”. “Inoltre – continua Coticchia – i numeri di migranti recuperati in mare dalle navi delle ong è irrisorio, secondo i dati più aggiornati a disposizione stiamo parlando quest’anno di 248 persone. Vorrei ricordare che a giugno 2018 il Dipartimento per le informazioni e la sicurezza spiegò nel suo rapporto annuale che il rischio maggiore non veniva dai migranti dei barconi recuperati dalle ong, che poi sono scaricati a terra e sottoposti a controlli, ma dai cosiddetti sbarchi fantasma – quelli che non sono intercettati perché sono troppo veloci e bene organizzati”.
Secondo Coticchia, in questi giorni c’è un caso politico di subordinazione istituzionale: la Difesa è ormai rassegnata a prendere istruzioni direttamente dal ministro dell’Interno. Infine c’è la scelta dei tempi per la nuova missione che rischia di essere quasi farsesca. Abbiamo appena approvato le missioni militari italiane del 2019 e ci siamo arrivati con un ritardo di sei mesi. Era da fare entro il 2018, ma il voto c’è stato il 5 luglio e questo ha trasformato per sei mesi i soldati italiani in missione in turisti armati all’estero, senza un mandato specifico come richiede la legge. Una missione a Hebron, in Israele, è terminata a fine marzo: quindi due mesi prima del voto che l’autorizzava. E adesso che il Parlamento ha finalmente deciso sulle missioni, se ne dovrebbe votare una nuova, di missione?”.