Nave Alpino (Fonte: pagina Facebook Marina Militare italiana)

Un ammiraglio ci spiega perché i marinai temono il blocco navale di Salvini

Luca Gambardella

"La deterrenza non funziona e i rischi per i comandanti sono troppo elevati". Parla Vittorio Alessandro

Il piano muscolare voluto dal governo per tenere i migranti lontani dai porti italiani comporta rischi non soltanto per gli equipaggi delle ong e per i naufraghi, ma anche per il personale della Marina Militare che sarà coinvolto nell'operazione. Ieri, Matteo Salvini ha ottenuto il sostegno del ministero della Difesa per una missione che prevede manovre di deterrenza a ridosso dei porti italiani per scoraggiare l'avvicinamento dei barconi e delle ong. I dettagli sono ancora sconosciuti, ma il cuore della missione è nel concetto di deterrenza. Si tratta di manovre che dovrebbero convincere la nave – ma più spesso i barchini di piccole dimensioni usati dai migranti – a stare alla larga dalle nostre coste.

 

Il governo non sembra si sia posto il problema dell'attuazione concreta del suo piano anti immigrazione, cosa che invece fanno negli ambienti della Marina Militare. L'ammiraglio in pensione Vittorio Alessandro, già comandante dell'ufficio relazioni esterne della Guardia Costiera, spiega al Foglio questa frattura pericolosa. “A Roma si fanno le direttive, ma poi in mare si deve eseguire. E ogni salvataggio è diverso dall'altro”, dice Alessandro, che ha una lunga esperienza accumulata durante i grandi sbarchi di Lampedusa del 2010.

 

La missione si sviluppa su due livelli, uno all'interno delle acque nazionali e un altro all'esterno. In questo secondo caso, ricorda l'ammiraglio, “una nave della Marina sarebbe obbligata a compiere il salvataggio”. Poi però c'è lo scenario di un intervento entro le 12 miglia nautiche ed è qui che i malumori delle Forze Armate aumentano, alimentati dalle esperienze precedenti, come quella del caso Sibilla del 1997. In quell'occasione, la corvetta della Marina causò l'affondamento di un'imbarcazione albanese al largo delle coste pugliesi uccidendo 108 persone. E anche in quel caso era stata accolta una direttiva del governo che imponeva un blocco navale. Ma in che modo, concretamente, si attua una manovra di ostruzione? “In alcuni casi si sceglie di fare cerchi concentrici sempre più stretti attorno alla barca che si intende fermare – spiega l'ammiraglio –. Tornando alla Sibilla, allora il comandante optò per la stessa manovra. Ma le conseguenze furono tragiche a causa delle cattive condizioni meteo, del basso livello di galleggiamento della nave albanese e del moto ondoso provocato dalla nostra corvetta”. Le variabili che influiscono su ogni attività in mare sono molte e rischiano di incidere soprattutto durante le manovre più pericolose, come quelle di ostruzione. Secondo l'ammiraglio, il rischio di commettere un errore è elevato e i comandanti della Marina sono molto preoccupati da quello che potrebbe accadere dopo. “Nel caso della Sibilla, penso giustamente, si ritenne responsabile il suo comandante che fu condannato. Ma il punto è che rimase solo, fu abbandonato. Nell'ottica dei governi, sta a chi opera in mare mettere in pratica le loro direttive. Ma le responsabilità per incidenti simili ricadono sempre e solo su chi comanda le navi. E' questo il vero passaggio critico di misure come quella voluta da Salvini”.

 

Secondo l'ammiraglio, non è detto nemmeno che i migranti si scoraggino alla vista di navi militari, come pensa invece il governo: “Si tratta di persone disperate, che mettono in conto il pericolo sin dalla partenza. Difficile credere che si fermeranno”. Forse nella mente del ministro Salvini c'è ancora il tentativo disperato della motovedetta della Guardia di Finanza che la scorsa settimana aveva provato a bloccare la Sea Watch 3 posizionandosi tra la nave e la banchina, correndo un rischio notevole. “Immaginate una scena del genere con navi della Marina, che sono molto più grandi. E' impossibile, perché non possono avere l'agilità delle motovedette. E si badi che qui non si parla soltanto dei pericoli per i migranti o per le ong ma anche di quelli che corrono i nostri equipaggi”, spiega Alessandro.

 

Nel frattempo, gli emendamenti al decreto sicurezza bis depositati oggi in Parlamento prevedono un inasprimento delle misure contro le ong, con multe che potrebbero arrivare a un milione di euro. Un accanimento giuridico, secondo l'ammiraglio, che segue la stessa logica del blocco navale. “Si tratta di contromisure scomposte, che mettono insieme sanzioni amministrative e giudiziarie, come quella che prevede la confisca di una barca già sequestrata”. E poi, all'atto pratico, c'è da chiedersi come reagiranno gli equipaggi della Marina a queste nuove disposizioni. Le leggi internazionali impongono agli stati di facilitare gli ingressi in porto a chi è in emergenza. Qui invece si configura uno scenario senza precedenti, secondo Alessandro: “Non riesco a immaginare dei marinai che si mettono a pattugliare un porto per impedire a una nave in difficoltà di mettersi in salvo”.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.