Tra Papa e Salvini. Davvero esiste questo bivio?
Per i cattolici è l’ora di un’unità di metodo (che resta tutto da chiarire e capire)
L’altisonante titolo di Repubblica sui cattolici al bivio, tra il Papa e Salvini, e il relativo articolo di Alberto Melloni riportano la questione sul voto dei cattolici. Il tema ovviamente esiste in un paese dove le percentuali dei cattolici praticanti e l’aerea di diffusione del cattolicesimo sono ancora più ampie di qualsiasi partito. Un ottimo articolo di Mattia Ferraresi sul Nyt la settimana scorsa cercava di spiegare al mondo americano che cosa stesse succedendo e perché molti cattolici votino Salvini. Melloni, però, non cerca spiegazioni ma, vedendo un bivio, vuole una presa di posizione contro Salvini.
Ma che domanda è?!?!? pic.twitter.com/e3zoCxLKrx
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) July 8, 2019
L’articolo è curioso perché invita, dopo anni, a un’unità politica dei cattolici. Il primo atto di tale unità, tuttavia, dovrebbe essere quello di condannare le scelte degli anni 90 che, secondo Melloni, avevano il torto di cercare un’unità in politica, ma, evidentemente, dalla parte sbagliata. Come primo atto della nuova unità bisognerebbe fare una divisione, con autocensura. Non c’è, forse, qualche piccola contraddizione? Poi l’articolo invoca una presa di posizione centrale della chiesa con un sinodo e conclude rammaricandosi della libertà di coscienza a cui i cattolici vengono lasciati in questo frangente della politica. Ma come? Solo qualche riga prima, Melloni invoca un cristianesimo di formazione, quello che dà strumenti per poi lasciare le scelte alla coscienza. Per difendere il Papa che non vuole vescovi-pilota, vorrebbe una presa di posizione-pilota dei vescovi.
Insomma, un insieme di contraddizioni che mostrano che il cattolicesimo politico-sociale in Italia, in realtà, non è a un bivio – tantomeno tra il Papa e Salvini che non mi sembrano occupare funzioni paragonabili in nessun senso e nessun modo – ma fa fatica a trovare un assetto e, quindi, anche la citata unità.
La riflessione potrebbe partire forse da questo termine. Parte della fatica, infatti, sta nella concezione di unità. Il cristianesimo non è una filosofia o un’ideologia ma lo sviluppo dell’immedesimazione con la persona di Gesù. Per questo nel cristianesimo ci possono stare e ci sono state tante filosofie e tante politiche, alle volte lontane far loro. A parte l’unità dottrinale, che contrariamente a quanto spesso si dice è un insieme molto ristretto di affermazioni che riflettono la presa di coscienza sulla persona di Gesù, il cristianesimo ha maturato nel tempo un vero pluralismo. Nella certezza di alcune poche grandi cose, molte versioni culturali, sociali e politiche, possono stare dentro il grande alveo della chiesa.
Anche la celebre unità dei cattolici nella Democrazia cristiana rispettava in fondo questa presa di coscienza. I cattolici stavano insieme nella Dc perché c’erano le famose e deprecate correnti che permettevano loro di stare insieme seguendo accenti diversi del cristianesimo sociale. Nonostante ciò che dice l’articolo di Repubblica, il tentativo dei cattolici dopo la fine della Dc è stato quello di rispettare la medesima unità nella differenza attraverso la dottrina dei valori. Non si trattava di un’ideologia, ma del riconoscimento di alcuni punti irrinunciabili maturati nella lunga esperienza cristiana, che avrebbero potuto essere seguiti pur militando in partiti diversi e addirittura opposti. L’errore dei grossi partiti della Seconda Repubblica, nel centrodestra e nel centrosinistra, è stato quello di non essere stati capaci di valorizzare le diverse correnti che potevano far convivere tale ricchezza. Così come l’errore degli infiniti partitini cattolici successivi è stato quello di cercare un’ortodossia troppo ristretta e poco presente socialmente che, inevitabilmente, veniva poi tradita al primo caso di compromesso, inevitabile scoglio di ogni politico.
Il tema vero si trova qui. I cattolici, per definizione, hanno una tensione all’unità fra di loro, come testimonia lo stesso articolo di Melloni. Ma, una volta rinunciato al partito unico – seppure in tante correnti – e ai valori unici – seppure in tanti partiti – in che cosa si può riflettere la profonda unità sacramentale che essi pure riconoscono? Forse è l’ora di un’unità di metodo, ma questo metodo è tutto da chiarire e indagare. Non è un bivio, tantomeno tra il Papa e Salvini, ma è invece una questione molto seria, se non si vuole rinunciare all’enorme ricchezza umana dei cattolici in politica o, peggio, alla dimensione politica del cattolicesimo.