Lega e M5s cambiano la Costituzione. Che fine hanno fatto Zagrebelsky & co?
I gialloverdi sono a un passo dal ridurre il numero dei parlamentari nell'indifferenza dei costituzionalisti e dei militanti della Casaleggio Associati
Nel silenzio generale della maggior parte dei costituzionalisti italiani, abituati a strillare contro la deriva autoritaria ogni qualvolta la cultura riformista del nostro paese ha tentato di modificare quelle parti della Costituzione repubblicana non più adeguate alle radicali trasformazioni sociali e politiche che si sono manifestate dal 1948 in poi, la maggioranza parlamentare è oramai ad un passo dall’approvare in via definitiva una riforma della Carta fondamentale sulla quale non si sta discutendo ancora abbastanza.
È stata votata in seconda lettura al Senato, infatti, la riforma degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione, con l’obiettivo di ridurre i deputati da 630 a 400, i senatori da 315 a 200 e di far sì che il numero complessivo dei senatori a vita nell’esercizio delle funzioni non possa in alcun caso essere superiore a cinque, nemmeno nell’ipotesi in cui il capo dello stato in carica non abbia proceduto ad alcuna nomina.
Il tentativo di riforma costituzionale s’è fatto strada anche fra l’indifferenza generale dei militanti della Casaleggio Associati e a dispetto dell’esercizio della democrazia diretta, sempre pronta, invece, a essere scomodata quando s’è trattato di deresponsabilizzare i dirigenti del movimento su scelte di cruciale importanza come l’autorizzazione a procedere contro Salvini per il caso Diciotti o il giudizio politico su Luigi Di Maio successivamente al ben magro risultato delle elezioni europee.
Il Movimento 5 stelle, tuttavia, ha brandito il taglio dei parlamentari esponendolo alla pubblica opinione come l’ennesimo passo verso la semplificazione del funzionamento dei meccanismi decisionali delle Camere e l’ulteriore riduzione dei costi della politica. Rimane, però, il fondato sospetto che l’operazione messa in atto dalla maggioranza parlamentare abbia l’unico obiettivo d’occultare il desiderio di ridurre i margini della dialettica democratica e del pluralismo parlamentare all’interno del nostro ordinamento costituzionale. Tanto il movimento guidato da Luigi Di Maio, quanto il partito capitanato da Matteo Salvini, infatti, hanno sin qui dato dimostrazione di non tollerare alcuna forma di dissenso politico interno e d’interpretare la funzione dei gruppi parlamentari alla stregua di semplici plotoni d’esecuzione degli ordini del capo politico. L’idea che il Parlamento debba rappresentare il luogo della legittima manifestazione d’una pluralità di opinioni e di un altrettanto variegata espressione d’interessi differenti, così come la convinzione che ciascun parlamentare debba rispondere esclusivamente alla propria coscienza, oltre che alla nazione che rappresenta, sembrano retrocedere dinanzi alla necessità di reclamare ordine e disciplina all’interno delle compagini parlamentari.
Appare evidente, pertanto, come la riduzione del numero di deputati e senatori non solo si pone in controtendenza rispetto all’idea, di per sé bislacca ed utile solo a strumentalizzare l’elettorato in buona fede, della democrazia diretta, atteso che restringe la platea degli individui che compartecipano all’assunzione di una deliberazione parlamentare, ma s’iscrive, altresì, nel solco di una democrazia verticistica e non più realmente pluralista. Alla prevedibile obiezione secondo la quale democrazie evolute come gli Stati Uniti avrebbero un Congresso composto da soli 435 deputati e 100 senatori, a fronte d’una popolazione di quasi 330 milioni d’abitanti, è facile replicare come i modelli costituzionali presi in esami non siano, in realtà, paragonabili.
Gli Stati Uniti, infatti, sono un’articolazione federale di ben 50 stati, il sistema istituzionale di ciascuno dei quali è sorretto a sua volta da un Parlamento bicamerale all’interno del quale il confronto e la dialettica sono garantiti da un numero adeguato di rappresentanti. La distribuzione delle competenze legislative, inoltre, pende a favore dei singoli stati e non della federazione e il Bill of Rights statunitense rappresenta un’idonea garanzia della tutela delle libertà fondamentali degli individui contro le tentazioni autoritarie d’un manipolo di deputati e senatori yes man. Resta solo una domanda: ma che fine hanno fatto Zagrebelsky & co?