Grazie a Conte i grillini scoprono che per contare qualcosa basta chiedere a Di Maio di farsi da parte
La parabola europea del Movimento dall'incontro con i leader dei gilet gialli al voto determinante all’elezione di Ursula von der Leyen
La parabola europea del M5s può essere rappresentata da due fotografie. Nella prima, che risale all’inizio della campagna elettorale per le europee, ci sono Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e i vertici europei del M5s in posa su un terrazzo vicino Parigi con i leader dei gilet gialli. Nella seconda, di questi giorni, ci sono gli eurodeputati del M5s – tra i quali gli stessi leader (Beghin, Castaldo e Corrao) che avevano fatto visita ai gilet gialli – in posa davanti all’edificio Altiero Spinelli del Parlamento europeo, mentre gioiscono per il loro voto determinante all’elezione di Ursula von der Leyen come nuovo presidente della Commissione europea. Sembra quasi sia stata utilizzata FaceApp, l’applicazione che invecchia i volti di 30 anni e che sta spopolando in questi giorni sui social network. In realtà da una fotografia all’altra sono passati appena cinque mesi e non è stata utilizzata alcuna diavoleria tecnologia. Ma com’è stato possibile passare in così poco tempo dai rivoluzionari eversivi francesi alla nobile conservatrice tedesca?
Dietro a questa metamorfosi politica c’è una certa abilità del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha riportato al centro della politica europea un partito che fino a poco prima era completamente emarginato a causa della disastrosa leadership di Luigi Di Maio. Il capo politico del M5s aveva promesso un successo elettorale e la costruzione di un nuovo gruppo europeo, formato dall’unione di diversi partiti estremisti in giro per il continente (i fascio-punk polacchi, gli allevatori greci, gli squatter croati, i gilet gialli francesi), che sarebbe diventato “l’ago della bilancia” in Europa. I risultati sono stati disastrosi: il M5s ha dimezzato i voti rispetto all’anno prima, ha ridotto il numero degli eurodeputati rispetto a cinque anni prima, non è riuscito a formare un nuovo gruppo, non è stato in grado di riformare quello precedente e neppure di entrare in nessun altro di quelli esistenti.
Nel giro di un paio di mesi il M5s, senza neppure avere una squadra in cui giocare, è riuscito a eleggere un vicepresidente del Parlamento europeo (al posto della Lega) e a risultare decisivo nel voto della nuova Commissione europea. Ciò che è cambiato è stata la regia politica, che in Europa è passata da Di Maio a Conte. Il premier, a differenza del suo vice impegnato sui social network, in quest’anno di confronto serrato nelle istituzioni europee ha imparato qualcosa dell’arte del compromesso, che poi in Europa è quella capacità di leggere le situazioni per far pesare i propri voti (più che i propri veti). Approfittando prima delle fratture tra stati sulle nomine dei vertici europei e poi delle divisioni interne alle forze tradizionali, Conte ha assunto un ruolo fondamentale sulla scelta della nuova Commissione, prima facilitando la nomina della von der Leyen e poi spingendo il M5s a entrare in maggioranza. In questo modo Conte ha preso da Di Maio una truppa di deputati che era politicamente irrilevante e le ha dato un peso notevole nel nuovo equilibrio precario europeo.
L’esatto contrario di ciò che ha fatto Matteo Salvini: trionfatore nelle urne, dove con il 34 per cento di voti ha ottenuto il record storico della Lega, leader indiscusso del quinto gruppo parlamentare a Bruxelles, ma grande sconfitto nella partita postelettorale. Salvini ha rinunciato a qualsiasi iniziativa, ha cercato di usare armi – minacce e veti – che in Europa portano pochi frutti e si è messo da solo nell’angolo. Fuori dai giochi che contano, senza alleati e alle prese con l’indicazione di un commissario che non avrà vita facile nel processo di nomina. Il neofita della politica Conte ha capito che far pesare i voti nelle istituzioni è importante almeno quanto raccoglierli nelle urne. Il professionista della politica Salvini ancora no.