Pazzesco! Così Salvini rilancia le fake news su ong e scafisti
“Pazzesco, fai girare!”, scrive il vicepremier rilanciando un servizio di Quarta Repubblica che sostiene di poter mostrare la prova del legame fra i trafficanti e le navi umanitarie. Ecco perché in realtà non prova nulla. Un fact checking
Matteo Salvini da mesi sta cercando le prove che mostrino le collusioni tra le navi delle ong che operano nel Mediterraneo centrale e gli scafisti libici. Ne ha parlato anche alla trasmissione Quarta Repubblica, pochi giorni dopo la fine del caso Sea Watch, quando ha dichiarato che “la magistratura ha in mano degli elementi precisi su telefonate dalla Libia” per segnalare la presenza di migranti in mare. Può essere che la magistratura stia indagando, in particolare sulla nave tedesca Iuventa sequestrata da mesi e su cui sembrano esserci maggiori evidenze. Eppure l’inchiesta per associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina a carico della ong spagnola Proactive Open Arms, che era stata promossa dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro è stata archiviata, su richiesta del procuratore stesso. E questo è tutto ciò che sappiamo fino a ora: nessuna evidenza, nessuna prova.
Salvini è dunque alla ricerca di prove per giustificare il suo astio contro le navi umanitarie. Per questo ha gioito quando ha visto il servizio di Quarta Repubblica che sosteneva di poter mostrare la prova del legame tra scafisti e ong. Il ministro si è lasciato andare a un tweet liberatorio che inizia con il classico acchiappa-click “Pazzesco, fai girare!”. Probabilmente ha twittato prima di vedere completamente il filmato, o non lo ha capito affatto. Perché il servizio della trasmissione di Nicola Porro, firmato da Davide D’Aloiso, in realtà non prova nulla e non scopre niente di nuovo. Il ministro invece sostiene che il filmato provi il rapporto tra ong e trafficanti perché “uno scafista svela il suo rapporto con le navi delle ong, tra cui quella di Carola [Rackete]”.
In effetti il servizio riprende una telefonata tra un presunto trafficante, di nome Lukman, e un collaboratore della redazione, che si spaccia per un migrante intenzionato ad acquistare un biglietto per raggiungere l’Italia illegalmente. Lo scafista, per tranquillizzare il possibile cliente, sostiene di essere in contatto con le navi delle ong – in particolare Open Arms e Sea Watch – e di portare i barchini nella loro direzione, comunicando ai volontari dove si trovano i naufraghi. E come prova manda alla redazione due screenshot: la posizione delle navi umanitarie e la schermata di una telefonata su Viber con il numero pubblico di Open Arms. “Prove” che non reggono però alla logica: è chiaro che un trafficante abbia tutto l’interesse a rassicurare l’interlocutore, per guadagnare un cliente.
D’altronde tutte le informazioni che fornisce sono disponibili anche in rete, sia il numero della ong, sia la sua posizione (grazie a siti web come marinetraffic.com). Per questo motivo il presunto trafficante non appare un testimone attendibile. Non a caso il servizio termina con una frase in cui si apre alla possibilità per cui tra ong e trafficanti potrebbero non esserci rapporti diretti, ma comunque le navi umanitarie potrebbero favorire le partenze per via della loro stessa presenza, di cui i trafficanti – grazie a una semplice connessione internet – sono a conoscenza. Eppure questa tesi non sembra essere suffragata dai dati pubblicati periodicamente dal ricercatore dell’Ispi Matteo Villa, che non mostrano correlazioni positive tra la presenza in mare di barche delle ong e le partenze di migranti dalla Libia. Una semplice correlazione di dati non è una prova, eppure se – al contrario – fosse così evidente il fattore di attrazione causato dalle ong i dati dovrebbero evidenziarlo. Per di più il servizio mostra che il profilo Facebook del presunto scafista segue le pagine delle varie organizzazioni umanitarie che organizzano i soccorsi in mare: per quale motivo dovrebbe monitorare le attività sui social delle imbarcazioni se – come si accusa – trafficanti e ong si telefonano direttamente per avvertire della posizione dei barchini?
Matteo Salvini deve essersi perso anche il passaggio in cui nel servizio si sostiene che “i trafficanti lavorano con la polizia libica, a cui danno dei soldi per non fermare le barche in mare”. Un testimone racconta infatti che sulla spiaggia, prima di imbarcarsi, la polizia libica li abbia visti ma che non sia intervenuta. La collusione e connivenza tra guardia costiera libica – finanziata anche dal nostro paese – e i trafficanti è dimostrata da diverse indagini giornalistiche e giudiziarie. Avvenire ha addirittura pubblicato alcune fotografie che ritraggono un boss del traffico di esseri umani a bordo di una motovedetta della guardia costiera recuperare un motore da un gommone utilizzato dai migranti, probabilmente per riutilizzarlo per il prossimo carico. Su questa connivenza tra trafficanti e guardia costiera libica, tuttavia, sia il ministro che le testate giornalistiche più critiche nei confronti dell’immigrazione tacciono.