La versione di Mastella
L'ex ministro, maestro di crisi: qui non c’è dramma, è solo un gioco. Né Salvini né Di Maio vogliono andare al voto
Roma. “E’ una crisi senza crisi e infatti è una crisi senza dramma”. Ma è in diretta Facebook, condivisa su Instagram, ripostata su Twitter. “E questo ne accentua la componente ludica. La crisi è il nuovo gioco dell’estate”. E invece per Clemente Mastella, ministro con Silvio Berlusconi, ministro con Romano Prodi, portavoce di Ciriaco De Mita e che dalle crisi è sempre uscito da campione, la crisi rimane il mare mosso della democrazia, l’azzardo che si può risolvere in due modi solamente “o con il naufragio spaventoso o con l’approdo e la rinascita”. Con Luigi Di Maio e Matteo Salvini la crisi è l’intervallo tra gli abbracci e i pugni di scena e dunque prima uno (Salvini), a Helsinki, dice “non mi fido più di Luigi”, mentre l’altro (Di Maio), da Roma, annuncia “se la Lega vuole la crisi lo dica chiaramente”. “La verità è che nessuno dei due vuole andare al voto e quindi la crisi, come le rivoluzioni, è rimandata a dopodomani”. Non a caso, la crisi che la mattina è sicura, in serata, e in gergo, “rientra”, “si smorza”, si “evita”. Insomma, non si fa. “Ma se tu dici che sei pronto a rompere e poi non rompi, la crisi diventa una mezza crisi e a emergere sono le mezze figure”. Si riferisce al premier Giuseppe Conte? “Mi riferisco a lui che nel silenzio degli osservatori sta compiendo la sua presa della Bastiglia. Anche quelli che sembravano parvenu, grazie alle crisi, si trasformano in uomini di qualità”. Quasi premier? “Guardatelo. Spedisce lettere, modera, colloquia. Se si presenta alle elezioni potrebbe avere un discreto successo”.
Passando dalla Prima per la Seconda Repubblica, Mastella annusa la crisi autentica e in un caso, il secondo governo Prodi, l’ha perfino provocata, “ma per un attacco giudiziario che ancora mi ferisce. Fu la crisi parlamentare più drammatica che ho vissuto. I cocci di quella crisi li ho raccolti anni dopo. I magistrati non si fermarono neppure nella mia veste di europarlamentare. Perquisirono casa mia calpestando le garanzie”. Ma la prima? “Nel 1980 quando Francesco Cossiga venne impallinato per la vicenda che riguardava Carlo Donat- Cattin. L’accusa che gli muovevano era di aver rivelato l’indagine a carico del figlio. A quei tempi c’era anche una scanzonata e simpatica categoria, quella dei franchi tiratori. Oggi sembrano essersi estinti”. Si è estinta anche la congiura, la camera di compensazione delle crisi, lunghissime e interminabili sedute sempre credute segrete ma quasi sempre spifferate. “In un caso ne fui diretto protagonista. Ero venuto a sapere, durante il governo di De Mita, che nella casa sull’Appia di Paolo Cirino Pomicino si tenevano incontri che preparavano la sfiducia. C’erano Andreotti, Gava, Craxi. Lo raccontai a De Mita ma lui non voleva crederci. ‘Mi dici stronzate’ replicava”.
Le crisi mettono in discussione complicità e amicizie ma oggi M5s e Lega sono già nemici e si parlano attraverso sms e forse per questa ragione non arrossiscono ma mandano “cuori” alla vigilia del (falso) divorzio. “Non conoscono la tensione che la crisi provoca, lo scioglimento delle relazioni umane. De Mita non credeva che Gava, che chiamava Totò, potesse tradirlo. Lo convocava a Palazzo Chigi e gli chiedeva se fosse vero che congiurasse. Ovviamente Gava dissimulava. Così De Mita insultava me. Alla fine, purtroppo, avevo ragione io, e come sempre accade, non restò altro che ricordargli: ‘Hai visto?’. La verità è che le crisi sono come i rapporti coniugali. Costringono, quando vere, a una scelta. In greco krísis significa decisione. Nei drammi non si sa cosa succede ma qui, con questo governo, ormai si prevede”.
Ci sarebbe la salita al Colle che, anche in questa occasione, Salvini ha minacciato ma non ha praticato. “Dalla salita alla passeggiatina al Colle”. E’ il trionfo della cartapesta? “Gridano “al lupo! Al lupo!”. Ma non si vede né il lupo né la pecora. E’ una situazione simile al procurato allarme. Come i sismi finti. Il solo risultato che vedo è avere perso la possibilità di candidare Giancarlo Giorgetti a commissario Ue. Per il resto vanno avanti sul decreto sicurezza e su altri provvedimenti. Credo che la crisi la rischieranno solo sull’autonomia. Il M5s se cede perde tutti i consensi del sud mentre la Lega, se non la ottiene, rischia di essere abbandonata dal nord”. Come possiamo riconoscere una crisi vera da una posticcia? “Innanzitutto dalle liturgie, dalle cerimonie che non sono barocchismi soltanto, spagnolismi. Servono a rendere i passaggi solenni, a mostrare la pericolosità dell’ora”. Vuole illustrarli? “La crisi classica è quella parlamentare. Si ha quando a mancare è la maggioranza parlamentare. Lo si dichiara, solitamente il leader di partito, con la formula ‘prendiamo atto…’”.
Immaginiamo che il canone richiede un voto in Aula, almeno un tempo prima della comparsa della piattaforma Rousseau di Davide Casaleggio… “Il voto in Aula serve anche al premier. E’ chiamato a superarsi in abilità e oratoria. Offre la sua testa. Solo dopo la sfiducia si va al Quirinale”. A fare la ‘passeggiatina’? “Si ‘sale al Quirinale’. Da quel momento inizia un’operazione carsica, di mediazione. Lo so perché da leader di partito ho avuto la fortuna di partecipare e di sedermi con i vari presidenti”. Oggi sembra quasi che si disturbi il capo dello stato come gli ambulanti fanno con gli inquilini. “Bisognerebbe ricordare che tutti i colloqui che avvengono al Quirinale, una volta aperta la crisi, vengono registrati. Non sono chiacchiere in libertà ma conversazioni che decidono la storia di un paese. Si registra per evitare che quanto detto possa essere smentito. E poi c’è la vanità della crisi”. Non basta una diretta social? “Delle crisi mi è sempre piaciuto l’attimo successivo all’uscita, vedere il muro di giornalisti in attesa di conoscere quale sia il pensiero del presidente. E’ un tipo di vanità che oggi non va di moda. Quando guardo i nostri leader, da democristiano, penso a Marx. In politica ormai si cammina ‘con la testa a terra e i piedi in alto’”.