Di Maio e Salvini (foto LaPresse)

Litigano perché hanno fallito

Claudio Cerasa

L’instabilità del governo non è legata alle risse Salvini-Di Maio ma all’impossibilità plastica di poter rivendicare nulla di quanto fatto in un anno di cambiamento. Il sovranismo funziona solo se smentisce se stesso. È ora di fermare i piromani

Quando un governo si trasforma in un circo e i suoi protagonisti si comportano da pagliacci diventa difficile prendere sul serio le dichiarazioni impegnative, gli ultimatum risolutivi, le affermazioni definitive e le situazioni complesse. Giovedì sera i collaboratori più stretti di Matteo Salvini giuravano di aver sentito dalla bocca del proprio capo la promessa di non voler avere più niente a che fare con il Movimento 5 stelle e la crisi di governo sembrava a un passo. Ieri mattina Luigi Di Maio ha tentato di ricucire con l’alleato promettendogli tra le righe fiducia eterna (pur di non far cadere il governo, Danilo Toninelli, oggi, sarebbe probabilmente disposto a costruire di suo pugno un’alta velocità da Torino a San Pietroburgo passando per Lione) e chi conosce bene il leader della Lega sostiene che la crisi è diventata meno crisi ma che diventerà davvero una non-crisi solo dopo le valutazioni che Salvini farà nel fine settimana (far cadere il governo oggi significherebbe far morire il decreto sicurezza che decadrà se non diventerà legge entro la prima settimana di agosto).

 

La cronaca quotidiana della pagliacciata del cambiamento può essere intrigante e persino appassionante ma ciò che i litigi quotidiani di Salvini e Di Maio rischiano di mettere in secondo piano coincide con un dato politico da cui non si può prescindere se si vuole osservare la realtà senza affettati sugli occhi. E la questione in fondo è fin troppo semplice: la ragione per cui Salvini e Di Maio litigano non riguarda l’incompatibilità tra due programmi di governo ma l’incompatibilità del populismo con la gestione della settima economia più importante del mondo, e la ragione per cui un pezzo importante di Lega chiede da giorni a Matteo Salvini di rompere con il Movimento 5 stelle è legata a una consapevolezza difficile da negare: il contratto di governo non funziona, il governo ha fallito, il populismo è un bluff.

 

E’ un bluff perché, come ha potuto sperimentare il premier Giuseppe Conte in Europa, il populismo può diventare presentabile solo a condizione di tradire la sua natura sfascista. E’ un bluff perché, come ha potuto sperimentare il ministro dell’Economia Giovanni Tria, il populismo può non danneggiare troppo il paese solo a condizione di fare con i conti pubblici il contrario di quanto previsto dall’agenda antieuropeista dei suoi azionisti di governo. E’ un bluff perché, come hanno potuto sperimentare gli elettori del Movimento 5 stelle, il populismo può avere speranza di non essere irrilevante solo nelle occasioni in cui accetta di mettere da parte la logica antisistema e di rinnegare il suo Dna. E’ un bluff perché, come hanno potuto sperimentare gli elettori della Lega, il populismo può avere speranza di non essere un danno per il paese solo a condizione di poter governare insieme a partiti che gli permettono non di accentuare ma di smussare il proprio profilo sfascista. E’ un bluff perché, come ha potuto sperimentare la Commissione europea, il populismo può diventare un alleato dell’interesse nazionale solo nelle occasioni in cui, dopo aver appiccato il fuoco, si preoccupa anche di chiamare i pompieri. E’ un bluff perché, come ha potuto sperimentare l’intera compagine di governo, l’effetto deleterio del populismo può essere parzialmente mitigato solo a condizione di difendere istituzioni incompatibili con il populismo come la Bce, senza le quali gli interessi sui titoli di stato italiani peserebbero sull’economia più di quanto non pesano già oggi (lo spread del cambiamento è costato in più all’Italia 1,8 miliardi nel 2018, 4,5 miliardi nel 2019 e se dovesse restare sui livelli di oggi costerà 6,6 miliardi nel 2020).

 

E’ un bluff perché le sue misure chiave si sono rivelate fallimentari (quota cento e reddito di cittadinanza), perché le sue previsioni sulla crescita si sono rivelate farlocche (a ottobre Salvini e Di Maio avevano promesso che la manovra avrebbe fatto crescere l’Italia del 2 per cento nel 2019, oggi la crescita viaggia intorno a quota zero), perché piuttosto che creare fiducia il governo ha passato un anno a creare sfiducia (il nostro paese e il Regno Unito, secondo il sondaggio mensile condotto da BofA Merrill Lynch tra i gestori di fondi a livello globale, si contendono da un anno l’ultimo e il penultimo posto nella scala delle priorità degli investitori), perché la pressione fiscale piuttosto che diminuire come ha promesso Salvini in un anno e mezzo di governo è aumentata a livelli record (secondo l’Ufficio parlamentare del bilancio, nel 2019 la pressione fiscale aumenterà di quattro decimali arrivando fino a quota 42,2 per cento) e perché gli stessi populisti si rendono conto che per salvaguardare la sovranità italiana occorre fare il contrario di quello che chiedono gli alleati populisti (il M5s se n’è accorto nei rapporti con l’Europa, la Lega se n’è accorta in ritardo nei rapporti con l’America).

 

Il problema del governo non è dunque legato ai litigi di Salvini e Di Maio ma è legato prima di tutto all’impossibilità di Salvini e Di Maio di rivendicare (immigrazione a parte) nulla di quanto fatto in un anno di governo. Elezioni o non elezioni il risultato in fondo non cambia: il populismo al governo ha fallito, il contratto è sepolto, il governo è finito e prima se ne accorgerà uno dei due piromani e meglio sarà per l’Italia. Fate presto!

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.