Renzi contro i grillismi di Franceschini
Dario apre al dialogo con i 5 Stelle e accusa l'ex premier di averli fatti alleare con la Lega. La replica: “Chi ha perso nel proprio collegio e poi consegnato la propria città alla destra dopo settant’anni, forse potrebbe avere più rispetto”
Il senso del rapporto tra Matteo Renzi e Dario Franceschini può essere sintetizzato in una frase pronunciata nel febbraio del 2009. Matteo era presidente della provincia di Firenze, astro in ascesa della galassia democratica ma ancora piuttosto distante dalle stanze del Nazareno e da Palazzo Chigi. Una giovane promessa, piuttosto. Che alle primarie aveva appena sbaragliato la concorrenza messa in campo dall'apparato centrale e che, dall'alto della sua vittoria, poteva permettersi di commentare la gestione romana del partito. Walter Veltroni aveva appena fatto un passo indietro (il 33 per cento alle elezioni del 2008, percentuale che oggi in molti sognano, non gli era bastato per evitare il fuoco amico) e al suo posto era stato promosso il suo vice Franceschini. Intervistato dalla Stampa Renzi, lapidario, così sentenziava: “Non si elegge il vicedisastro per gestire la transizione”.
L'etichetta di “vicedisastro” Franceschini se la porta dietro ancora oggi. Nel frattempo lui e Renzi si sono ritrovati dalla stessa parte nel 2013 e nel 2017 quando la corrente dell'ex ministro sostenne Matteo alle primarie. Ma i due si limitarono a fare di necessità virtù. E oggi che quella stagione è lontana, gli antichi dissapori tornano in superficie. A riaprire lo scontro l'intervista rilasciata da Franceschini al Corriere della sera sulle possibili convergenze tra Pd e M5s. Per il “vicedisastro” il dialogo non solo è possibile, ma auspicabile anche perché, sottolinea, i 5 stelle “sono diversi dalla Lega. Insieme possiamo difendere certi valori”.
Ma l'intervista è anche l'occasione per attaccare Renzi: “Da parte sua c’è stata più volte la rivendicazione orgogliosa di aver lasciato che Lega e M5s facessero il governo. Io credo che quella sia la madre di tutti gli errori. Sì, un grande sbaglio non avere fatto tutto quello che avremmo potuto per evitare la saldatura fra Lega e 5 Stelle in una legislatura che peraltro elegge il Capo dello Stato. Pensiamo ai danni che sono stati fatti in questo anno. La strategia del popcorn ha portato la Lega dopo un anno al 35 per cento. Abbiamo buttato un terzo dell’elettorato italiano, quello dei 5 stelle, in mano a Salvini”.
E mentre Luigi Di Maio si affretta a dire che “noi 5 stelle siamo orgogliosamente diversi dal Pd”, mentre anche Nicola Zingaretti, pur con qualche distinguo, chiarisce che “nessun governo con il M5s è alle porte e nessun governo con il M5s è l'obiettivo del Pd”, Renzi replica. E attacca.
“Sostenere che sia sempre colpa mia di tutto e del fatto che io abbia 'portato la Lega al 35 per cento buttando l’elettorato italiano in mano a Salvini' o che abbiamo perso le elezioni per il mio carattere mi sembra incredibile - scrive su Facebook l'ex premier -. E mi piacerebbe che chi come Dario è in politica da decenni avesse l’onestà intellettuale di fare un’analisi meno rozza. Aggiungo che chi, come Franceschini, ha perso nel proprio collegio e poi consegnato la propria città alla destra dopo settant’anni, forse potrebbe avere più rispetto per chi il collegio lo ha vinto e continua a governare i propri territori. A meno che non si voglia dire che anche a Ferrara 'è colpa di Renzi'. Mi sono dimesso dalla guida del governo tre anni fa, mi sono dimesso dalla segreteria un anno e mezzo fa: mi sono dimesso, io, che pure ho vinto a casa mia, a differenza di chi è sempre lì, dai tempi del governo D’Alema, a spiegarci come va il mondo dopo aver perso tutto. Sicuramente è comodo considerarmi l’alibi ma io non sono più la guida del Pd da più di un anno”.
“Per me - prosegue Renzi - l’alleanza con i Cinque Stelle è un errore politico. Non ho valori comuni con i Cinque Stelle. Vedo un abisso di differenze tra loro e noi. O perlomeno tra loro e me. C’è un tema poi più grande: i Cinque Stelle non sono un movimento democratico. Hanno una piattaforma opaca, un rapporto stravagante con la Rete (vogliamo dirlo o no che quando partono i finti tweet contro Mattarella, nel giorno in cui Di Maio annuncia di procedere contro il presidente per Alto Tradimento, quei finti tweet non sono fatti dai russi, ma sono chiaramente “made in Italy”? O facciamo finta di rimuovere tutto?), una capacità di aggressione alle nostre persone esattamente identica a quella di Salvini. Non siamo stati noi a metterli insieme: sono loro che sono due facce della stessa medaglia, populista e giustizialista a senso unico. Difendere i nostri valori con Toninelli, Di Maio e la Lezzi? Non in mio nome”.
“Chiarito che sono concettualmente contrario - conclude -, mi domando che gusto ci sia ad aprire ai Cinque Stelle per ricevere il giorno dopo da Di Maio la risposta: 'Non ci accordiamo col Partito di Bibbiano'. Ma che senso ha? Che gusto c’è? Franceschini si sforza di offrirmi un trattato di tattica parlamentare e di saggezza politica, ma il godimento nel prendere schiaffi - addirittura da uno come Di Maio - non si chiama politica, si chiama masochismo. A me fa schifo sentirmi dire che il mio partito è quello che usa l’elettroshock contro i bambini. Non ho valori comuni con un omuncolo meschino che per prendere un voto strumentalizza anche gli orrori. Noto che a qualcuno piace aprire a chi ci insulta, aprire per farsi dire no grazie. A me no”.