Assalto al Parlamento
Ma quali divisioni, la maggioranza è unita nell’intento di abolire la democrazia rappresentativa
Al direttore - Mentre il discorso pubblico è ingorgato soprattutto dalle cronache dei conflitti nella maggioranza, i due partiti che la compongono sono, in perfetta armonia, impegnati a mandare in soffitta la democrazia rappresentativa. Ci si fa poco – o per niente caso – perché su questo punto l’opposizione, seppur impegnata a contrastare in qualche modo questo disegno, non è salita sulle barricate. Spiace osservare che, mentre ci si dilania su posizioni più tattiche che politiche, si dia invece poco risalto a questo bruttissimo affare che dovrebbe richiedere il massimo dell’impegno e della pubblicità. Non fosse per qualche voce isolata – come quella di Claudio Cerasa nel suo articolo del 13 luglio – non se ne discuterebbe affatto.
Di cosa sto parlando? Del disegno di legge costituzionale a.s. 1089, la cui seconda lettura è in corso al Senato. E si noti che questo disegno di legge reca come prima firma quella del presidente dei deputati M5s, Francesco D’Uva, seguita da una lunga lista – rigorosamente alternata – di firme di leghisti e 5 Stelle. Oggetto del ddl è la modifica dell’art. 71 della Costituzione. La sostanza di questa riforma è l’introduzione della proposta di legge di iniziativa popolare “rinforzata” e del referendum “deliberativo”. In poche parole: nel dispositivo di questa riforma una qualsiasi legge di iniziativa popolare deve essere approvata entro 18 mesi dalla sua presentazione dal Parlamento. Nel caso in cui il Parlamento non approvi o modifichi il progetto di legge popolare, i promotori hanno la facoltà di sottoporla, nel testo originale, a referendum propositivo. Per promuovere il referendum sono necessarie 500 mila firme ma il giudizio di ammissibilità è anticipato a quando sono state raccolte le prime 200 mila. Infine, la legge è approvata se è raggiunta la maggioranza di voti espressi da un quarto degli aventi diritto al voto e non, come oggi, dal raggiungimento di un quorum composto della maggioranza degli aventi diritto stessi.
In pratica, la facoltà di legiferare viene sottratta al Parlamento e assegnata agli elettori. Ai quali non si chiede certo di essere profondamente competenti sulle varie materie e sulle implicazioni costituzionali. Nel referendum confermativo sarebbe necessario, per l’approvazione del testo, il voto favorevole di un solo quarto degli aventi diritto al voto. E la democrazia parlamentare e rappresentativa finirebbe qui.
Sarebbe una vittoria del “popolo” contro la “casta”? Sarebbe una vittoria dei deboli contro i “poteri forti”? Ragioniamo un momento coniugando questa riforma costituzionale con quella che riduce il numero dei parlamentari. Ci ritroveremo in una democrazia in cui solo chi ha più mezzi potrebbe affrontare una campagna elettorale parlamentare. Ridotto il numero dei seggi e allargata la base elettorale di ognuno di essi, l’elezione diventa sempre più una cosa da ricchi o per chi, tra i ricchi, ha una base di consenso. Una roba da oligarchie vere e proprie. Allo stesso tempo, quanto ci metterebbe chi ha mezzi, influenza sui social media e forti motivazioni di interesse, a organizzare la raccolta di firme e a costruire una campagna referendaria ingannevole? Oggi, è dimostrato che la capacità di influenzare l’elettorato attraverso i social media e di affermare idee false come se fossero pura realtà, è a disposizione di chi ha il denaro e la determinazione per farlo. Il futuro che viene disegnato è quello di una “democratura” in cui il lungo, complesso, ma utilissimo lavoro delle commissioni, che sono il perno del nostro processo legislativo, verrebbe cancellato. Così come la deliberazione finale del Parlamento.
La democrazia rappresentativa è una democrazia competente. E così l’hanno voluta le madri e i padri della Patria repubblicana che avevano conosciuto e combattuto il fascismo e che nel Parlamento hanno collocato il luogo per l’esercizio più ponderato e saggio della sovranità del popolo. Combattere contro la sua mortificazione è doveroso.