M5s e Lega nel pantano: lo stallo del cambiamento sulle nomine
Slittano i rinnovi dei vertici di AgCom e Privacy. Paralisi in Sace, faide in Sogin. Così la palude del governo imbriglia il paese
Roma. Il paradosso è che perfino in ciò che li spinge a restare insieme, e cioè la spartizione del potere, riescono a dividersi: ed è per questo che alla fine, come su tutti gli altri dossier su cui si accapigliano, anche sul rinnovo dei vertici di partecipate e authority l’unica via maestra che Lega e M5s riescono a seguire è quella del rinvio. L’ennesima conferma è arrivata martedì, quando la decisione del governo di porre la questione di fiducia sul decreto “sicurezza bis” ha confermato il sospetto che in molti nutrivano: e cioè che neppure quello era il giorno giusto per fare sì che l’Aula si esprimesse sui nomi da indicare per il consiglio dell’AgCom e del Garante per la privacy, entrambi scaduti da tempo. L’accordo politico, finora, è stato trovato solo sulla ripartizione del bottino: al M5s andrà la Privacy, mentre la Lega si accaparrerà l’Autorità per le comunicazioni. Come che sia, il pronunciamento del Parlamento è un passaggio necessario, ma viene rimandato da settimane perché, di fatto, la quadra ancora non si trova. Per questo, dopo il rinvio di martedì scorso, se ne riparlerà non prima del 31 agosto, ma c’è chi, nella Lega, scommette sul fatto che il processo si protrarrà fino a settembre prossimo. Anche perché la logica grilloleghista, in tema di nomine, è ormai nota: ogni volta che c’è un impasse, si rigetta tutto nel calderone, sperando che nella ripartizione complessiva si riesca a superare le divergenze. Che quasi sempre, però, finisce per ingigantirsi e incancrenirsi, anche in virtù del fatto che nei due partiti di maggioranza, tremendamente verticistici, tutti attendono l’assenso dei capi, che sono però quasi sempre concentrati su altro. E così, da martedì, dopo l’addio di Raffaele Cantone, anche l’Anac è entrata a complicare il garbuglio delle nomine.
Ed è in questa confusione generale, in questa ipercinetica inconcludenza del cambiamento, che i “vecchi” vertici continuano a restare al loro posto. Succede anche in Sogin, la società statale incaricata dello smantellamento dei siti nucleari. Il Mise martedì ha di nuovo preso tempo, pur avendo in sostanza già individuato i profili del nuovo management, pescati tra chi conosce già la macchina. L’ad, in quota grillina, sarebbe Emanuele Fontani, in Sogin sin dal 2008; il presidente, invece, è stato individuato dalla Lega nella persona di Giuseppe Nucci, che ai vertici di Sogin ci è stato due volte (dal 2005 al 2007 e tra il 2010 e il 2014) che tuttavia dovrà affrontare le resistenze interne riconducibili allo staff dell’ex presidente Giuseppe Zollino, d’intesa col senatore grillino Gianni Girotto.
Nello stesso pantano, poi, è finita anche Sace, il braccio armato di Cdp per il sostegno agli investimenti italiani all’estero. Di rinvio in rinvio, la prossima scadenza è stata fissata al primo agosto, quando il cda della Cassa si riunirà: ma nessuno confida sul fatto che all’ordine del giorno comparirà il rinnovo dei vertici di Sace. Il tutto con gran scorno di Fabrizio Palermo, ovviamente, l’ad di Cdp che non riesce a guadagnarsi la fiducia della parte leghista del governo e dello stesso Giovanni Tria, e che di questa paralisi si sarebbe lamentato anche col premier Conte. Invano, però: e pazienza se nel frattempo molte aziende impegnate in sfide internazionali, dalla cantieristica alla difesa passando per l’aerospazio, lamentino il mancato supporto del governo ormai da mesi.
Ancora più surreale, poi, potrebbe essere l’esito della faccenda Invitalia, la controllata del Mef deputata ad attrarre investimenti stranieri. Surreale perché, dopo avere a più riprese e con toni spesso aspri criticato l’ormai storico ad Domenico Arcuri, in carica sin dal 2007, il M5s sembra essersi convinto, o rassegnato, a riconfermarlo, stando ai racconti di chi lo ha visto bazzicare i corridoi di Palazzo Chigi assai di frequente, nell’ultimo periodo. Dopo tutto, come insegna la Tav e non solo, il governo del cambiamento non disdegna la continuità coi precedenti governi. Anzi.