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La sfida ai sovranisti che vogliono un nazionalismo negativo

David Allegranti

Il sociologo Colin Crouch ci spiega perché serve una “globalizzazione progressista”

Roma. Nel centrosinistra, europeo soprattutto ma anche italiano, si sta discutendo delle conseguenze della globalizzazione e di come fare per difenderla dagli attacchi dei sovranisti. Di recente l’ex ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha scritto sul Foglio: “Diventando ideologia il liberismo ha perso contatto con la realtà e con la capacità di adattarvisi. Dagli anni Novanta fino alla grande crisi, il pensiero liberista ha ignorato le contraddizioni del presente, legate in particolare allo svolgersi del processo di globalizzazione economica e politica, per rifugiarsi nel disegno di un futuro utopico”. Un mondo piatto, ha aggiunto, “liberal democratico, multiculturale, aperto al mercato, prospero e pacifico. L’avvento di questo paradiso liberale è diventato, nella narrazione delle classi dirigenti, inevitabile”.

  

Il sociologo Colin Crouch si occupa con profondità di questi temi, ai quali ha dedicato anche l’ultimo saggio, “Identità perdute. Globalizzazione e nazionalismo” (Laterza). Professore, lei condivide il pensiero di Calenda? “Certo. Gli economisti non capiscono mai che la società non si limita a rapporti economici (del mercato, dello scambio calcolato)”, dice al Foglio. “Aspettano sempre anche che mercati e persone si adattino ai grandi cambiamenti senza che ci siano ‘frizioni’. Ma questo tocca agli economisti. I politici e gli uomini d’affari, che seguono e propagano le ricette del neoliberismo, sono spesso più cinici. Hanno visto le possibilità di redditi grandissimi per i ricchi, e basta”.

  

Nel suo libro spiega che gli Orbán e i Salvini non arrivano per caso e che il sovranismo nasce come risposta alle storture della globalizzazione, che, precisa, va difesa. Le élite progressiste cosa possono fare per proteggere la globalizzazione dagli attacchi di populisti e sovranisti? “Ma Orbán, Salvini e altri, come i protagonisti del Brexit nel mio paese, non si oppongono al modello neoliberale, ma esprimono versioni estreme di questa politica – come le nuove regole del mercato del lavoro nell’Ungheria e l’idea di ‘flat tax’ – che farà del male ai poveri in Italia. Si oppongono alla globalizzazione solo per sviluppare un nazionalismo negativo e ostile, contro i migranti, i profughi e la cooperazione tra paesi”. Invece, “una globalizzazione progressista dev’essere una globalizzazione regolata, con protezioni delle condizioni di lavoro per i lavoratori. Serve anche una regolazione della finanza internazionale, affinché si eviti una nuova crisi come 2008”.

 

La risposta, in Europa, potrebbe essere la nascita di un sentimento nazionalista europeo? “L’Europa non può essere una nazione; è qualcosa di diverso – così come possiamo avere sentimenti locali e regionali, che non sono però nazionali. Dobbiamo sviluppare la capacità di sentire diversi livelli di appartenenza: alla nostra città, alla nostra regione, alla nostra nazione, all’Europa, e in un certo senso, come membri della razza umana. Non è tanto difficile. E’ strano: gli italiani sono esperti in questo processo di lealtà multiple, ma oggi avete un governo che vorrebbe rifiutare questa possibilità a livello europeo”. Un tempo, ricorda Crouch, quando la Lega aveva il Nord nel nome e nel simbolo, diceva che era impossibile essere leali e fedeli alle regioni e, al contempo, alla nazione. “Ora, la nuova Lega ha scoperto che ama l’Italia, ma rifiuta l’Europa”.

     

Ma il centrosinistra ha delle responsabilità nel non aver saputo governare il processo della globalizzazione? Non c’è il rischio che assuma oggi delle posizioni che all’inizio degli anni Duemila erano tenute dai movimenti no global? “Ma l’ostilità verso la globalizzazione tra i sovranisti di sinistra è molto diversa dall’ostilità dei no global. Questi ultimi facevano campagne per l’umanità in generale, non per nazioni ‘sovraniste’ e dunque che rifiutano la cooperazione con altri”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.