Tomaso Montanari (Foto LaPresse)

Guerre al Mibac

Marianna Rizzini

Sul piano paesaggistico Montanari contro Zingaretti. Molto rumore per nulla?

Roma. Non c’è pace nei dintorni del Mibac: non passa settimana che qualcosa o qualcuno, attorno al ministro dei Beni culturali nel governo gialloverde, Alberto Bonisoli, e ai suoi collaboratori e consiglieri e ispiratori ufficiali o ufficiosi (vedi lo storico dell’arte Tomaso Montanari), non allarmi qualcun altro nel mondo dell’arte e della cultura, e non soltanto per quella che è stata chiamata “controriforma” della riforma Franceschini. E se su Repubblica, tempo fa, Sergio Rizzo aveva parlato di “guerra per bande” al Mibac, il dibattito attorno all’operato del ministro e degli alti funzionari attorno al ministro è una costante su giornali di ogni colore (e sui social network), specie per via dei toni non sempre diplomatici e non proprio bassi, anzi quasi da tenore, che spesso si levano lungo la via che porta all’inner circle ufficioso e ufficiale Bonisoli-Montanari-Salvatore Settis, fino ad arrivare ad alcuni alti funzionari come Gino Famiglietti, finora direttore generale di Archeologia, Belle Arti e Paesaggio (e da oggi in pensione).

 

Succede così che il professor Montanari – recentemente nominato presidente del Comitato tecnico scientifico del Mibac – scriva sul Fatto quotidiano (due giorni fa) un articolo dal titolo “Roma, il blitz di Zingaretti è una resa ai palazzinari”, in cui a un certo punto accusa il presidente della Regione Lazio e segretario del Pd di stare “dalla parte del cemento”, attraverso l’approvazione di “un Piano paesaggistico territoriale regionale svincolato da ogni controllo del ministero per i Beni culturali… è dal 1999 che la Regione Lazio si è impegnata a collaborare con i Beni culturali per arrivare a questo Piano: ma ogni volta che si è provato a varare un piano condiviso, alla fine tutto si è incagliato su Roma… sulla capitale è più forte la speculazione edilizia, e proprio per questo il ministero chiedeva di stabilire insieme una rete di vincoli: ma nessuna giunta è stata abbastanza indipendente dai signori del cemento”.

 

Passa poi, Montanari, all’accusa diretta al governatore: “Zingaretti si è fatto in casa la sua autonomia differenziata all’amatriciana. E cioè sta approvando il Pptr senza dir nulla al ministero. Ha dunque riesumato il Piano pronto nel 2007, buttando a mare tutte le osservazioni fatte in questi dodici anni dalle Soprintendenze laziali. […] Per fortuna il direttore generale delle Belle Arti, Archeologia e Paesaggio Gino Famiglietti […] si è accorto della mina innescata, e ha scritto una lettera ufficiale al ministro Bonisoli”. Famiglietti, cioè il suddetto ascoltatissimo (dal ministro) direttore generale uscente delle Belle Arti, anche appassionato acquirente di quadri (ma questa è un’altra storia), viene dunque citato con la massima rilevanza dall’ascoltatissimo (dal ministro) prof. Tomaso Montanari, che arriva a paventare l’illegittimità del Piano, mentre da più parti del Mibac si alza la voce perplessa, per non dire basita: “Ma come? Il Piano è quello vigente da più di dieci anni!”. Intanto, il giorno successivo alla pubblicazione dell’articolo, sempre dalle pagine del Fatto, giunge a Montanari la risposta dell’assessore all’Urbanistica alla Regione Lazio, Massimiliano Valeriani, in cui, oltre a smentire la “resa ai palazzinari”, Valeriani parla proprio del Piano paesaggistico in questione: “L’articolo contesta l’approvazione di un Piano paesaggistico svincolato dal rapporto con il Mibac: è falso.

 

Il piano è quello adottato e pubblicato nel 2008, frutto di un lavoro congiunto con il Mibac. […] Il piano ha recentemente recepito tutti i vincoli [...] che sono stati individuati nel corso degli anni ed è stato aggiornato al 2018 con tutte le modifiche nazionali che sono intervenute”. E a quel punto Montanari insiste: “Così concepito, il piano è illegittimo”. E però, chiedendo lumi (non in area Bonisoli) tra ministero, comune e regione, la realtà che emerge non è quella di “una guerra urlata” ma di un “rapporto dialettico”: la regione presenta il Piano, le associazioni e le istituzioni fanno le loro osservazioni e proposte di modifica, e la regione può recepire o no. Se il Mibac non giudica sufficienti le modifiche non firma (piano non condiviso, cosa di cui certo dovrà tener conto chi chieda un’autorizzazione perché i pareri delle Soprintendenze, in assenza di condivisione del ministero, diventano vincolanti), anche se l’idea “è quella di un confronto che porti comunque a un accordo, più che di una contrapposizione”. Molto rumore per nulla? Più che altro, attorno al nuovo Mibac gialloverde, molto rumore a prescindere.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.