Come parlare ai cronisti, da papà
Una risposta da Truce trasforma un caso minore in un caso di scuola
Non c’è bisogno di essere cultori del politicamente corretto per avvertire un senso di disagio di fronte al video in cui si vede il ministro dell’Interno rifiutare in modo aggressivo di rispondere alle domande di un giornalista, quello che aveva sollevato il caso, di per sé quasi trascurabile, dell’uso di una moto d’acqua della polizia da parte del figlio di Matteo Salvini. Se possiamo dare un consiglio, che sappiamo non sarà ascoltato, vorremmo sommessamente invitare il ministro a rispettare il ruolo, ovviamente fastidioso, della stampa. Se non vuole rispondere a una domanda ha tutto il diritto di farlo, può anche sostenere che non bisogna mettere di mezzo i figli nella polemica politica, ma se fa dichiarazioni “da padre” finisce per aprire ai suoi critici una porta per insinuarsi nelle sue vicende personali. Un esponente politico di primo piano è esposto al commento e alla critica, per questo fatica a tenere fuori dai riflettori la sua vita privata.
Chi vuole farlo davvero, anche per tutelare i suoi famigliari, deve usare molta accortezza, accettare qualche sacrificio e qualche limitazione, e non è detto che basti. Salvini ha scelto un modello di comunicazione in cui veste i panni del papà e quelli del ministro contemporaneamente, con uno stile tra il popolano e il paternalista. L’effetto che ottiene, a guardare i sondaggi, è efficace, ma naturalmente lo espone ad attacchi che trasbordano dal ministro al papà. Non diremo che se l’è cercata, perché l’uso delle vicende personali come arma di attacco politico risulta spesso inefficace e comunque non è mai gradevole. Però a Salvini converrebbe riflettere un po’ se non sia stato proprio lui a sovraesporre, magari involontariamente, suo figlio, e se il modo piuttosto insolente con cui ha rifiutato di dare chiarimenti non abbiano l’effetto opposto, quello di accentuare l’attenzione proprio su un fatto, o un fatterello, che coinvolge suo figlio.