Il gran valzer del partito che non c'è
Cosa accomuna Renzi, Calenda, Carfagna, Toti, Cairo e il Cav.? Il sogno di rappresentare un’altra Italia non rappresentata da nessuno mostra la vera anomalia di un paese: le opposizioni vuote e senza idee per vincere
Il piccolo predellino, ino ino, annunciato due giorni fa da Silvio Berlusconi ha generato un effetto politico visibile e un altro meno visibile. L’effetto visibile, e meno interessante, riguarda l’ennesima divisione all’interno del partito, ino ino, del Cav. e non può sorprendere se ventiquattr’ore dopo aver annunciato la nascita di una nuova federazione centrista di nome Altra Italia Berlusconi si sia ritrovato di fronte a un mezzo addio di Giovanni Toti (“Ognuno vada per conto suo”) e un mezzo schiaffo di Mara Carfagna (ieri il Cav., per complicare le cose, ha azzerato gli incarichi dei coordinatori dati a Carfagna e Toti il 19 giugno, ha nominato un coordinamento di presidenza, ha chiesto a Carfagna di essere nel coordinamento e ha ricevuto da lei un no).
Il visibile, per un partito che viaggia intorno all’otto per cento, quando i sondaggi sono generosi, è dunque poco appassionante e poco interessante. Il non visibile, invece, presenta un qualche elemento di interesse se si prova a ragionare intorno a un tema che Berlusconi ha forse annusato prima degli altri e che potremmo provare a sintetizzare con una domanda: come si fa a rappresentare quel pezzo importante di paese che non si sente in nessun modo rappresentato né dai partiti di governo né da quelli d’opposizione? Il tentativo di trovare una risposta a questa domanda costituisce la trama di un inconfessabile romanzo d’appendice all’interno del quale si trova un numero considerevole di personaggi appartenenti alla vita pubblica del nostro paese. In questo romanzo si trova naturalmente Silvio Berlusconi, al quale non sfugge che il suo partito oggi avrebbe l’occasione incredibile di rappresentare quel pezzo di Italia che invece non riesce a rappresentare, ma si trovano anche i due protagonisti del piccolo litigio di ieri. Si trova Giovanni Toti, che da mesi sogna di poter fondare con Giorgia Meloni un partito alternativo a Forza Italia e complementare alla Lega (ma non c’è già Forza Italia per quello?).
Ma si trova anche Mara Carfagna, che da tempo ha trovato sulla sua strada numerosi sponsor non solo di centrodestra desiderosi di vederla all’opera come guida di uno schieramento alternativo a quello salviniano. Il romanzo d’appendice non ha come protagonisti solo personaggi del centrodestra ma anche altri più o meno involontari personaggi trasversali. Un protagonista è Carlo Calenda, che in accordo con Nicola Zingaretti e Paolo Gentiloni si dice pronto da tempo a lanciare un autonomo soggetto politico, il cui manifesto potrebbe essere quello contenuto nel prossimo libro in uscita dell’ex ministro, per presidiare lo stesso spazio che vorrebbe presidiare il Cav. (che non a caso un anno fa inviò alcuni importanti parlamentari di Forza Italia da Calenda per sondare la sua disponibilità, che non ci fu, a essere il federatore dell’Altra Italia).
Un altro protagonista di questo romanzo d’appendice è naturalmente Matteo Renzi, che dai tempi della Leopolda dello scorso anno ha scelto di tenere aperta la porta di un’altra Italia renziana. Diversi parlamentari non di primo pelo, primo fra tutti un ex importante presidente della Camera, sostengono che l’ex segretario del Pd terrà coperte le sue carte fino all’ultimo, tenendosi aperta qualsiasi opzione, e fanno notare che se mai Renzi dovesse dar vita al suo partito, cosa che si augurano in modo esplicito i parlamentari del Pd a lui più vicini e cosa che oggi è meno improbabile rispetto a quanto lo potesse essere all’inizio dell’anno, lo farà con una tempistica stretta, ovvero pochi mesi prima delle elezioni. Non è un parlamentare, non è un politico, non è un ministro ma al centro del romanzo d’appendice sull’alternativa che non c’è vi è anche un altro personaggio pubblico importante di nome Urbano Cairo (al quale un anno e mezzo fa Silvio Berlusconi chiese, senza successo, la sua disponibilità eventuale a essere in campo al suo fianco), che da tempo ha smesso di nascondere la sua passione per la politica (Cairo testa il suo gradimento con periodicità) al punto da non considerare inopportuna la valorizzazione su uno dei suoi giornali di notizie come quelle comparse a metà luglio sul Corriere: l’auspicio di Antonio Tajani, fatto ai microfoni di Radio 24, di una discesa in campo proprio di Urbano Cairo. I movimenti intorno al partito che non c’è, e che in molti vorrebbero e che chissà se nascerà mai, sono molti, sono diversi, sono trasversali e probabilmente contribuiranno ad animare le cronache estive dei giornali.
Ma non si può ragionare fino in fondo su questi movimenti senza andare a inquadrare quello che forse è il vero peccato originale della fase politica che stiamo vivendo e che ha qualcosa a che fare con l’incredibile consenso di cui gode la Lega di Salvini. E il peccato originale è questo: entrambi i partiti che si trovano oggi all’opposizione danno spesso l’impressione di voler costruire un’alternativa al governo insieme a uno dei protagonisti di questo governo. E anche per questo per risolvere la grande anomalia italiana, più che pensare a come fondare nuovi partiti, occorrerebbe pensare a cosa fare per dare un senso a partiti deboli con leadership fragili riusciti nel miracolo di trasformare nell’alternativa al governo uno dei partiti di governo. L’altra Italia esiste, ed è un’Italia da sballo. Ma fino a quando si cercherà di rappresentarla solo con l’algebra, con progetti non convincenti e con idee alternative a metà quell’Italia continuerà a essere ancora a lungo in cerca disperatamente d’autore.