Stessa spiaggia, stesso male
Le scorribande di Salvini, tra cubiste e sagre del cinghiale, sono il simbolo del nuovo Grande Sdegno Nazionale, cuore della contesa elettorale. Pazza giornata tra Anzio e Sabaudia all’inseguimento (come il Pd) dell’agenda del Capitano e di una crisi che non poteva che arrivare dal mare. Viaggio
Doveva essere la prima tappa del Salvini Beach Tour, invece è stata l’ultima spiaggia del governo gialloverde. Il destino fatale della Tav che incrocia le scorribande litorali del Capitano. Mari e monti. Tutto comincia alle dieci e mezzo di mercoledì, ora del previsto happening sovranista, un matinée a piedi scalzi sulle bianche sabbie dell’hotel Oasi di Kufra a Sabaudia. Il ministro dell’Interno, reduce dai trionfi adriatici del Papeete, dovrà parlare qui, a torso nudo tra i lettini e le sdraio, nella città cara al Duce, che pacchia, che metafore. Da Roma ci buttiamo dunque sulla Pontina, tra buche, code, camion e lavori, ma quando stiamo per arrivare giunge inaspettata, la ferale notizia: l’evento del mattino è cancellato. Il Capitano non verrà a Sabaudia, rimarrà a Roma, il governo traballa. Nel pomeriggio ci saranno comunque – giornata intensa – la passeggiata coi pescatori e l’aperitivo ad Anzio, al pregiato beach-club “La Bodeguita”, poi la sera di nuovo il comizio in piazza a Sabaudia. Dunque che fare? Andarsi a spiaggiare, andare a pranzo ad Anzio magari da Romolo (il preferito di Gentiloni, ottimi crudi), oppure direttamente a Sabaudia? Indagare su com’era ai tempi di Moravia, Pasolini e della tellina riflessiva? Che palle. Alla fine inseguiremo Salvini tutto il giorno (trasformandoci nell’agenda politica del Pd), correndo su e giù per il “litorale maggico”, fino alla sera, fino al tripudio del comizio di Sabaudia che è già campagna elettorale. Lì dove il Capitano pronuncerà lo storico discorso, “omo de panza, omo de sostanza”, ripreso anche dal New York Times, “a man with a paunch is a man with substance”. Ecco allora la cronaca di una pazza giornata della politica italiana, mentre scoppia l’estate italiana e una crisi di governo arriva dal mare.
Milano Marittima, Terracina
MM: Inseguire il Capitano significa essere pronti a improvvisare, così prendiamo la fatale fettuccia di Terracina e ci viene l’idea: visto che tutti straparlano da mesi della foto di Moro, ah, Moro, lui sì che era elegante, altri tempi, ah la sobrietà, ah stare vestiti in spiaggia, decidiamo di andare a vedere i luoghi delle vacanze dello statista, la splendida cornice della foto molto iconica scattata proprio lì, sul litorale di Terracina.
Il ministro dell’Interno, reduce dai trionfi adriatici del Papeete, dovrà parlare qui, tra i lettini e le sdraio, nella città cara al Duce
AM: Per carità, ben altro contegno rispetto alla smandrappata collettiva, ai torsi nudi e alle cubiste animalier che si agitano sull’inno di Mameli, già tema sociologico vastissimo, ampiamente editorializzato, immagine, icona, simbolo del degrado e del Grande Sdegno Nazionale, ma anche formidabile cortocircuito della politica. Tutto un rimescolarsi di posizioni e di fronti coi “progressisti” costretti a superare a destra i vertici della Difesa, l’esercito, i padri della patria, Giorgia Meloni e i carri armati. Al limite, l’assemblage chiappe al sole-mojito – “siam pronti alla morte l’Italia chiamò” – poteva anche commuovere (io un po’ mi sono commosso). In pochi poi l’hanno ricordato: l’inno nazionale al Papeete lo suonano spesso, non è stata un’estemporanea estasi fasciocubista in onore del Truce. Funziona più che altro in chiave “nostalgia”, significa estate, tanta gente, festa, i mondiali visti insieme davanti la tv, “sei la nazionale del 2006”, come cantano i The Giornalisti.
MM: O anche “sei le comunali del ’93” a Cisterna di Latina, col plebiscito del mitico sindaco superfascio Ajmone Finestra, già repubblichino. Anche lui un tipo più da gessato che da mojitino.
L’inno nazionale al Papeete lo suonano spesso, non è stata un’estemporanea estasi fasciocubista
in onore del Truce
AM: In questo Salvini Beach Tour c’è comunque un po’ tutto: il torsonudismo del Duce, il Festivalbar ’86, le sagre del cinghiale, le feste dei santi patroni, gli sbandieratori, i viaggi organizzati, “ore 17: passeggiata coi pescatori al porto, ore 18: aperitivo in spiaggia”. Nel manifesto spunta fuori Salvini con un faccione da animatore dei villaggi Francorosso e Alpitour, quando ancora non si chiamavano “resort”. Ma certo c’è anche la modernità instagrammabile, le vacanze da influencer, la strategia social di Luca Morisi, il giro promozionale in puro stile Chiara Ferragni per sponsorizzare a botte di selfie, locali, griffe, stabilimenti, mojiti e “mojitini” (per la piccola Mirta). Come si fa a pensare di opporre a tutto questo Aldo Moro vestito di tutto punto in spiaggia? Mah. Siamo prigionieri dello schema del “Sorpasso”, Trintignant al mare in pantaloni e camicia, cupo, riflessivo, solo in un angolo, mentre Bruno Cortona sfodera i muscoli (senza panza), fa le capriole in riva al mare e sghignazza come un matto tra le cubiste della Versilia. Si torna sempre da Dino Risi.
MM: “Bel regista Antonioni, c’ha una Flaminia Zagato che una volta sulla fettuccia di Terracina mi ha fatto allungà il collo”. Allunghiamo il collo a Terracina, dunque, anche noi sulla fettuccia. Arriviamo che è mezzogiorno, sole infuocato, nel frattempo ho telefonato a Antonello Di Mario, giornalista, custode delle memorie democristiane. Suo padre conosceva bene Moro, lui ne ha scritto un sacco. Ci porta in giro. Arriviamo sul lungomare dove è stata scattata la famosa foto, Moro col pesante vestito. Una pesante targa di bronzo (largo Aldo Moro) ricorda una sua frase: “Questo paese non si salverà se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”, che sembra in realtà uno slogan abbastanza salviniano. “Qui dove veniva Moro i ragazzi fanno la fila per i fritti e i cocktail, oggi è diventato il cuore della movida di Terracina”, dice la nostra guida. Mentre passeggiamo ci danno dei depliant del White, lo stabilimento che troneggia proprio lì di fronte. Entriamo, sobrietà morotea poca: è uno stabilimento del tipo lussuoso, che si potrebbe trovare a Ibiza o Forte dei Marmi o in qualunque altro posto, di quelli con tende a baldacchino invece che ombrelloni.
AM: Come il Papeete insomma. Non a caso autoproclamatosi “la spiaggia più famosa d’Italia dal 2000”, che è anche l’estate della prima stagione del “Grande Fratello”. L’idea infatti non era così diversa. Trasformare lo stabilimento in luogo di divertimento full time, di giorno e anche di notte. Si costruisce una comunità, una tribù. Al Papeete nasce “il primo happy hour in spiaggia italiano”, dunque il luogo perfetto per la trasformazione della politica balneare in un lungo aperitivo con Dj set al tramonto, con Salvini che dice “con Bruxelles trattiamo da qui”, vabbè. Oggi il Papeete è un piccolo impero, un’istituzione, un brand: ristoranti, strutture alberghiere, campi sportivi, una linea di abbigliamento, negozi, compilation per l’estate, “Papeete Remix”, con parata di chiappe abbronzate in copertina, come nei migliori dischi di Fausto Papetti. Sempre fittissimo, un modello sperimentale di società, come una piccola Italia (come l’Italia in miniatura poco distante da lì), dove tutti si divertono e convivono col caos, ma si sentono sicuri e protetti, e poi anche un “gioiello” del turismo adriatico e nazionale.
L’idea del Papeete: trasformare lo stabilimento in luogo di divertimento full time, di giorno e anche di notte. Si costruisce una comunità, una tribù. Il luogo perfetto per la trasformazione della politica balneare in un lungo aperitivo al tramonto, con Salvini che dice “con Bruxelles trattiamo da qui”
MM: Trecentomila persone ci lavorano, negli stabilimenti italiani. Lo dice anche il sindacato di categoria Filcams-Cgil, che ha lanciato la campagna #backstage, pure col suo hashtag, per tutelare chi lavora dietro le quinte e dietro gli ombrelloni. Landini è andato in spiaggia a Rimini e Cesenatico a sostenerli nel weekend, in una specie di beach tour pure lui. Ormai tutto si fa in spiaggia.
AM: Chissà se ci sono le moto d’acqua della Cgil.
MM: Qui al White, Landini non ce lo vedo molto, però, tra loghi Moet & Chandon, e camerieri con le magliette proprietarie. Menù: linguine all’astice, 21 euro. Spremuta di melograno 5 euro. Muffin senza glutine, 3. C’è un ingresso con scritto “privé”, un manifesto di Giulia De Lellis di “Uomini e Donne”, prossimamente al White. Ci sono tavolate con bicchieri di vino ghiacciato, mentre il sole picchia mostruosamente sul lungomare di quattro chilometri, pare Ipanema ma a destra non ci sono i grattacieli bensì villette dignitose. Mattoni, balconi. “Nell’estate del 1959, già segretario della Dc, Moro affittò un appartamento dal professor Alfredo Perugini perché dalle finestre si vedeva il mare. Più tardi insieme ai fratelli decise di comprare una casa. Veniva appena poteva”, dice Di Mario. “L’ultima volta all’inizio di marzo 1978, una decina di giorni prima dell’agguato di via Fani. Portava al mare il nipotino di due anni, Luca, il figlio di Maria Fida. Niente scorte ma solo il maresciallo Leonardi, che riportava indietro il nipotino addormentato in braccio”.
AM: Tutto gronda dignità, un po’ anche passione. “Lui camminava ogni giorno, camminava sempre. A Roma ma soprattutto al mare. Quelli che invitava erano destinati a fare questa passeggiata, da casa a qui”. La casa, ci andiamo, è lontanissima, oltre quattro chilometri, torniamo indietro perché ci gira la testa. Troppo sole. Roba da esercizi spirituali. Come il Moro di Volonté nel “Todo Modo” di Petri. E poi traversate punitive a Ponza, “a digiuno, non si capiva perché, ma poi là lo aspettava il prete, per la comunione”. A un certo punto “aveva comprato un piccolo motoscafo, e si inabissa, e allora chiamano Ginetto detto Tarzan. Calciatore di qualche fortuna, Gino Colabattista a quarant’anni s’era ritirato ma aveva mantenuto lo spirito e il fisico (di qui il nickname). Gestiva lo stabilimento Kursaal e a un certo punto venne chiamato in tutta fretta per disincagliare il modesto motoscafo d’Aldo Moro che lì – talvolta in abito, talvolta in pantaloncini, ma sempre sobriamente – villeggiava”. Non ci sono foto di Moro in pantaloncini, ma ci assicurano che se li metteva.
MM: Anche “Ben Hur” incrocia molto la Democrazia cristiana, del resto. La mega produzione fu fortemente voluta da Giulio Andreotti, cinéphile con un occhio al lato dell’offerta, che volle un grande tax credit con la eponima “legge Andreotti” del 1949 che lancia il cinema italiano imponendo una tassa sul doppiaggio dei film stranieri e prevede sgravi per le pellicole a chilometro zero. Mentre anche al parco divertimenti “Cinecittà World”, l’abbiamo visto poco fa sulla Pontina, fanno la corsa con le bighe intitolata a “Ben Hur”. La società italiana cercava di aprirsi disperatamente, ognuno nella Dc provava a modo suo ad agevolare il cambiamento, pare di capire. Ma la foto famosa? “In realtà le foto di Moro vestito sulla spiaggia sono due, e molto diverse”, spiega Di Mario. “la prima, quella col vestito largo e pesante, fu scattata nel 1961 di fronte a casa, dove andava a fare il bagno”. Ci incamminiamo ed eccola, oggi c’è uno stabilimento, si chiama “Piccola oasi”: molto dignitoso, aria familiare e raccolta, ombrelloni blu e tavolini di plastica, ma anche qui non si scappa alla società dello spettacolo e all’intrattenimento, niente mojitini ma manifesti per un karaoke party con “Crescenzo e Bruno” il 14 agosto, menu “souté” di cozze (la parola che è impossibile trovare scritta giusta in Italia), risotto alla pescatora, filetto di branzino, frutta di stagione, dolce, 25 euro (bevande escluse) – oppure, in alternativa, “Dolci note” balli di gruppo anni 60 (non è indicato il prezzo).
Al mare Moro ritrovava un po’ di leggerezza. “Grande passione, i gelati”, dice Di Mario. “Quando venivano degli amici o degli studenti a trovarlo da Roma si faceva portare un gelato, ed era felice”. “Amava a tal punto l’Italia che se qualcuno andava all’estero in vacanza, osservava: perché, se in Italia c’è tutto?”
AM: “La seconda foto, quella del 1972, scattata da Vezio Sabatini per Panorama, ritrae Moro sempre in giacca bianca e cravatta scura, ma è più rilassato, sembra passato un secolo”, dice Di Mario. “C’era stato il ’68, capì che la società stava cambiando, e anche lui cambiò, si mise a dieta, cominciò a comprare camicie colorate, pantaloncini rossi. Dal 1969 era poi finito all’opposizione interna della Dc. Nel frattempo aveva cominciato a scrivere trasgressivamente sul Giorno, il giornale dell’Eni”. Il Giorno era tipo Instagram oggi: disintermediazione pop.
MM: Certo Moro rimane quello che era. “Un uomo molto particolare: riservato, appartato, imprevedibile, elusivo, enigmatico, premuroso, permaloso, pignolo, pessimista, o meglio scettico, umile e al tempo stesso orgoglioso” come ha scritto Filippo Ceccarelli. “Un potente sempre vestito di tutto punto, corazzato dentro il suo cappotto”, “fra le sue sintomatiche idiosincrasie si è poi saputo che temeva gli cascassero i pantaloni, perciò si metteva la cinghia, ma per maggior sicurezza anche un paio di bretelle”. Ma al mare ritrovava un po’ di leggerezza. “Grande passione, i gelati”, dice Di Mario. “Quando venivano degli amici o degli studenti a trovarlo da Roma si faceva portare un gelato, ed era felice”. “Amava a tal punto l’Italia che se qualcuno andava all’estero in vacanza, puntualmente osservava: perché, se in Italia c’è tutto?”.
AM: Però questo l’ha detto anche Salvini a Sabaudia. Ci troviamo in una fase di transizione in cui diciamo le stesse cose da cinquant’anni, con la giacca e senza.
MM: Intanto due giovanotti con la maglietta del White ci dicono, mentre passeggiamo vagheggiando la sobrietà democristiana che fu, rantolando sotto il sole: “Ma che parlate a fa’! Faciteve nu bagno!”, in napoletano, e improvvisamente piombiamo dentro Gomorra, e insomma forse anche Terracina non è più quella di un tempo. C’è un boss che sconta qui i domiciliari, e un altro, Gaetano Marino, considerato il capo degli “scissionisti” di Secondigliano, che fu sparato in pieno lungomare sei anni fa. La vedova Tina ha recentemente fatto scalpore per un matrimonio col noto cantante neomelodico Tony Colombo in una celebrazione con carrozze, cavalli, giocolieri, un palco abusivo, insomma molto poco morotea e assai Casamonica. Del resto tutta la Pontina pare molto amata ultimamente dalle, come dicono gli esperti, “mafie”, al plurale. Salvini però di questo non ne parla (e scusa se faccio un po’ il Saviano balneare).
AM: Comunque, in assenza di modelli e temperamenti istituzionali tutti-d’un-pezzo, nello smarrimento politico, estetico, ideologico, una cosa è chiara: le foto di Moro in spiaggia hanno preso il sopravvento, tra un po’ saranno più “iconiche” di quelle del rapimento delle Br.
AM: Intanto sono già le due e dobbiamo andare ad Anzio per la prossima tappa del Salvini tour. Dunque riprendiamo la macchina, ci ributtiamo sulla Pontina in direzione nord, superiamo Sabaudia, e ci fermiamo ad Anzio. Mangiamo una fetida pizza in un vento caldo di frittura e verso le quattro ci spingiamo verso la Bodeguita. Lì dovrebbe materializzarsi Salvini per la parata di selfie e aperitivo.
MM: Lì, invece, un’aria di depressione, macchine Rai che sbaraccano, cronisti con la faccia da cronisti, che dicono “grazie per l’ospitalità”, e se ne vanno. Apprendiamo la fatale notizia: anche l’aperitivo alla Bodeguita, la seconda tappa di questo primo giorno di Salvini beach tour, è saltato. Il Capitano è rimasto a Roma, il governo forse casca sul serio. La Bodeguita è meno cool del White di Terracina, ma ha ombrelloni bianchi, musica sudamericana, una clientela più famigliare. Crema di caffè in quei contenitori con l’elica che li rimesta. Le bariste sono seccate e tristi. “No, che non viene”. Ma perché proprio alla Bodeguita? “Come, perché? Perché siamo lo stabilimento più trendy di Anzio”, rispondono, è ovvio. Spiace soprattutto per il buffet. Chi lo paga? “Il comune”. Che facciamo? “Eh, mica possiamo rimandarlo indietro. Vorrà dire che lo ricicliamo”. Intanto però vi ha fatto una bella pubblicità. “Eh”, niente, loro erano già comunque trendy. Il morale è a terra, sarebbe bello poi scoprire chi seleziona su e giù per la penisola gli stabilimenti di questo tour, quali sono i criteri, quale l’algoritmo. Le acque più pulite? Esercenti amici? I mojitini più fragranti? Salvini percorre il paese tipo Goletta verde, anzi gialloverde. Le prime tappe, Papeete e Bodeguita, son poco sovraniste, però: a partire dal nome. Ma Torniamo alla macchina, non sappiamo se rientrare a Roma, se a quel punto Salvini annullerà anche il comizio di Sabaudia di questa sera (ma colleghi informatissimi: non può, perché dorme lì). Colleghi nervosissimi, la Pontina è percorsa oggi in lungo e in largo da giornalisti accaldati che inseguono, fiutano, vorrebbero scorgere il Capitano, come un miraggio, come un corteo sgangherato tipo “Corsa più pazza del mondo”. Flash: annullato anche l’incontro con i pescatori di Anzio. Saranno arrabbiati? Non si vede nessuno: saranno, giustamente, a pescare. Guardiamo degli yacht, turisti eleganti aspettano aliscafi per Ponza e Ventotene, due signore ci fermano. “Ma che sapete per caso se…?”. “No, non verrà”. Sono molto deluse, agitate, sono madre e figlia, vestite bene per l’occasione, sono arrivate adesso, spiegano, “lo volevamo incontrare, per un fatto”, insomma raccontano che il figlio e nipote sta in galera per un’ingiustizia e son venute apposta da Roma per parlare con Salvini. Spieghiamo che anche se fosse venuto magari era difficile parlargli a tu per tu. Ma loro sembrano crederci, nel rapporto personale col Capitano. “Gli ho scritto, ma non mi ha risposto”, dice la figlia. Una mail? “No, su Instagram. La mail non la so usare”.
AM: Ecco io per esempio a scrivergli su Instagram non ci avrei mai pensato. Invece chissà in quanti lo fanno. Quante persone provano a chattare col ministro dell’Interno chiedendo cose, favori, intercessioni, mojiti, ruspe condominiali, chiusure di porti, portoni, porticcioli, grazie e condoni, proprio come la pletora di aspiranti influencer che cercano un disperato contatto, un like, un cuoricino di Chiara Ferragni.
Sabaudia, ultima spiaggia
MM: E’ confermato. Lui verrà. Il comizio si fa. Rimontiamo in macchina dunque, direzione nord. Sbagliamo uscita, ci ritroviamo tra McDonald’s e il cimitero militare americano di Anzio, dove sono sepolti i caduti dello sbarco. Finalmente Sabaudia, attraversiamo il lago e il bosco e sembra d’essere in California. Arriviamo a Sabaudia con largo anticipo, il comizio è previsto per le nove, sono le cinque e la piazza già è in fermento, organizzatori, polizia, curiosi. E’ ora di merenda.
AM: La scena ricorda un po’ le care vecchie Feste dell’Unità. Si montano gli stand gastronomici. Ovviamente niente kebab, felafel, ristoranti etnici, solo sano-cibo-sovranista: il quadratello ciociaro, il pecorino di Piscinisco, il panpepato di Alatri, dove la Lega alle ultime elezioni ha preso oltre il 50 per cento; il peperone di Montecorvo, in provincia di Frosinone, “il più digeribile”, coltivato qui sin dal XIX secolo, come dice in un opuscolo del 1830 che parla di “coltura privilegiata della zona”, ma “importata dalle Americhe”. Si sfoderano gli striscioni identitari: “Lega Cassino”, “Sora per Salvini premier”, “Fondi per Salvini” (inteso come rubli e comune in provincia di Latina), fino al grande cartellone e slogan complessivo: “La Ciociaria è con… Salvini” coi puntini di sospensione minacciosi, pane, amore e ruspe. Una piazza che si riempie e si raduna all’insegna del “territorio”, della micidiale retorica dello slow food e del dop e del doc che ormai, signora mia, ha svoltato pure lei a destra, ma da mo’, come diceva Ennio Fantastichini in “Ferie d’agosto” proprio qui di fronte, a Ventotene.
“No, che non viene”: bariste seccate e tristi alla Bodeguita. La ragazza che scrive al ministro dell’Interno su Instagram. A Sabaudia la scena ricorda un po’ le vecchie feste dell’Unità, ma qui niente kebab e falafel, solo sano cibo sovranista. Come il Torpedino, il nuovo pomodoro made in Fondi
MM: C’è la tirata bio: i prodotti esteri “costano meno ma sono pieni di sostanze chimiche”, è l’autarchia aggiornata ai tempi dello slow food. E poi soprattutto il product placement del Torpedino, il nuovo pomodoro “made in Fondi”. Il Torpedino dalla Pontina sta già conquistando Roma e presto il nord. Grazie al packaging da salone del mobile, astucci di design con sei pomodorini dentro, dépliant chiaramente fatti a Milano, storytelling moderno, “nella categoria dei piccoli frutti è l’unico che può essere consumato sia crudo che cotto, sia rosso che verde”. “Un equilibrato rapporto tra dolcezza e acidità”, “polpa consistente ma ridotta quantità di semi”, dicono i dépliant qui agli stand.
AM: Ma come piccoli frutti?
MM: Così dice. Tra l’altro è buonissimo. Il Torpedino è per tutte le stagioni. Il torpedino è sia frutta che verdura, è del nord ma anche del sud: Torpedino è la Lega: designed in Russia, produced in Fondi. “Un gioiello di pomodoro tutto italiano”, insomma si stressa molto questo concetto di italianità, è il pomodoro sovranista, anche se poi si sa che qui sulla Pontina a coltivare i campi son solo indiani, sono diecimila, la seconda comunità più grande d’Italia. Il Torpedino ha poi un nome futurista, richiama un piccolo missile, una Torpedo - “è più bello il Torpedino della Nike di Samotracia”, “il primo pomodoro a marchio Lazio”, insomma il frutto della bonifica, 70 anni dopo, col dop. C’è già la prima tesi di laurea. “Il pomodoro Torpedino sale in cattedra. L’oro rosso coltivato da una decina di produttori pontini, in otto ettari nella piana di Fondi (Latina) e lotti tracciati al 100 per cento, è stato al centro di una tesi discussa presso l’università di Roma Tor Vergata, cattedra di Scienza e tecnologia alimentari” (Ansa, 19 maggio 2017).
AM: I found my love in Torpedino. Diciamo la verità, è la sostituzione etnica del Pachino, splendido frutto della globalizzazione selvaggia (introdotto in Sicilia alla fine degli anni Ottanta dall’azienda sementiera biotech israeliana, Hazera Genetics, capirai). Si capiva subito che quella marea di rucola & pachino venuta su negli anni Novanta non poteva durare. In più il Torpedino è ottimo anche come “concept”, ad esempio un cartone animato per bambini, magari con visual design anni trenta, “Le avventure di Torpedino”, una risposta identitaria ai “Super Pigiamini” yankee che si esibiranno il 20 agosto al lido di Latina (avvertono i poster sulla piazza).
MM: Cioè pure lo slow food hanno fregato alla sinistra. La destra a filiera corta comunque è tutta da approfondire. Chissà che ne penserebbe Angiolo Mazzoni, il più fascio degli architetti di Mussolini, che qui dietro a Sabaudia creò le magnifiche Poste, tutte blu e piastrelline che sembrano Miami. E un progetto mai realizzato per la Stazione Termini dove rimane solo la sua ala, quella mazzoniana appunto, già mensa dei ferrovieri dotata della più grande cappa aspirante del mondo, e oggi epicentro gastronomico romano con l’ottimo Mercato centrale e la specialità del trapizzino.
AM: Dal Torpedino al Trapizzino. Però l’altra differenza con le Feste dell’Unità è che non ci sono libri in giro, neanche una bancarella e Salvini lo spiegherà bene dopo, “noi siamo quelli che forse leggono un libro in meno, però lo capiscono”. Solo che qui non c’è neanche “quello in meno”. I libri in effetti non servono più, l’effetto-comunità lo creano i formaggi, gli affettati, il peperone. Il segno di una cultura, l’identità nazionale, e tutte quelle cose un tempo soprattutto libresche e letterarie oggi son soprattutto magnerecce. Non più “sangue e suolo”, le radici esoteriche del Nuovo Ordine Europeo si fondano sulla difesa delle caciotte che Bruxelles vuole portarci via. Perciò si esibiscono quelle, mica i libri. Ma non è il caso di scandalizzarsi. Non è che non si legge più, casomai su Internet si legge pure troppo; è solo venuta giù l’idea che la semplice apparizione del libro rilegato sia sinonimo di intelligenza e cultura, e comunque più avanti, se proprio uno vuole, una libreria c’è.
MM: Ha tutta la Fallaci, giustamente, che piace al Capitano, ma è ecumenica, c’è anche il Mulino prodiano e addirittura la Adelphi elitista. Ma il popolo, salviniano e non, non sembra molto interessato: son piuttosto enoteche e bar a essere presi d’assalto. Il pubblico è generalista, arriva dall’agro romano, in cerca di pizza e rassicurazione, non certo dalle ville della duna. Assenti tutti i role model locali, Totti, e i tre “ambasciatori di Sabaudia” appena nominati dal sindaco, il trionfatore olimpico Giovanni Malagò, la ex direttrice creativa di Gucci Frida Giannini, la giornalista Maria Latella. Sono fuori target per il talk salviniano, che è costruito come un programma contenitore tipo “Unomattina”, un po’ lungo, soprattutto sul finale, ma pieno di momenti utili. Infotainment sovranista.
AM: L’evocazione delle “ruspe” poi è il cavallo di battaglia, un po’ come quando Giletti dice “vitalizi” e il pubblico in studio si esalta. Ogni “ruspa” un applauso dalla folla.
MM: Dopo il momento “Linea Verde” il comizio ha l’angolo “C’è Posta per te” – “abbiamo un bel rapporto signora non si preoccupi”, risponde a una della platea, non si capisce se parla della Isoardi o di Di Maio, comunque di ex. Poi la pedagogia sovranista e l’educazione sessuale-civica, “a casa ognuno fa come gli pare ma un figlio deve avere una mamma e un papà”, “uteri in affitto non se ne parla”, tutto insomma nel mondo acquatico del Capitano dev’essere naturale come il Torpedino. La platea che pure anche volendo per questioni anagrafiche non potrebbe essere molto interessata alla procreazione, assistita o biologica, ascolta e mangia. “L’Italia è bella perché lunga e perché è diversa”, dice il Capitano, mancano solo le istruzioni per smacchiare la biancheria e come riconoscere se l’uovo è andato a male, e non uscire nelle ore più calde. Assistiamo dal bar della piazza, un signore chiede se si può sedere con noi, ascolta Salvini contento, non pare un esagitato, annuisce quando il Capitano fa tutta una tirata sulla polizia – è di origine veneta come quasi tutti, qui, trapiantati da Mussolini a ripopolare la terra bonificata (mica come il Torpedino che è veramente autoctono). E’ un ex poliziotto o carabiniere anche lui, fa intendere, e saluta tanti suoi amici pensionati delle forze dell’ordine, che qui paiono ben rappresentati. Forse non si arriverà alla “rosa bianca” hitleriana, come ha denunciato Rino Formica, non ci sarà insomma una polizia personale di Salvini, ma è chiaro che oltre ai balneari, ai dj, agli agricoltori, le polizie rappresentano la sua costituency.
AM: “Polizia-Carabinieri-Guardia di Finanza-Polizia Locale-Penitenziaria-giù-il-cappello” ritma Salvini come il Jova, che è il grande oscurato di questo beach tour. Gli ha copiato l’idea, o forse lo omaggia, e a un certo punto tra le musiche parte “sono un ragazzo fortunato”: e te credo.
MM: Ma a differenza del Jova che si porta Morandi e Fiorello, Salvini non ha gli special guest. Però il concept è uguale. E chissà se le date non si sovrappongano. Potrebbero ospitarsi a vicenda, in quel caso. Il Salvini Beach Tour è un Jova Beach Party per anziani, e col cibo gratis. Un’altra cosa che il Capitano potrebbe copiare del format è il Jovanotti Tour, una specie di diario che invita a mandare foto e ricordi. “Un contenitore di emozioni, di storie, racconti e foto del pubblico dai concerti di Lorenzo Cherubini. Si possono raccontare storie, sensazioni, condividere la propria felicità e l’energia”. Chissà quante energie e quante sensazioni se il Salvini Beach Tour continuerà per tutta l’estate, ora anche in versione campagna elettorale. Il nostro di sicuro finisce qui.