Dario Nardella (Foto LaPresse)

“Coi grillini andiamo a comandare”

Valerio Valentini

Dario Nardella ci dice che il partito dei sindaci è in pista. “I 5 stelle sono cambiati, con loro il governo lo facciamo. E faremo anche la legge elettorale e la riforma costituzionale”

Roma. “Sì, quello a cui penso è proprio questo: un pacchetto di proposte concrete elaborato dei nostri sindaci del Pd da portare in dote a chi dovrà condurre l’eventuale trattativa per il nuovo governo”, dice Dario Nardella. “Se partisse un’iniziativa del genere, basata sulla nostra esperienza di governo dei territori, io darei volentieri il mio contributo”. I sindaci del Pd a sostegno della “proposta Renzi”, dunque? E qui il primo cittadino di Firenze, che pure dell’ex premier è stato a lungo il delfino, mette le mani avanti: “Non personalizziamo le proposte: è un vizio che noi, nel Pd, dobbiamo toglierci. E sono contento che alla fine l’appello di Matteo sia stato raccolto da Nicola Zingaretti”. Luigi Di Maio ha detto che con Renzi non si siede al tavolo. “Ha ragione. E’ evidente che a condurre le trattative debba essere il segretario. E anche Renzi lo sa: ha avuto un’ottima intuizione e, stando alle sue dichiarazioni di ieri, sta lasciando che questa proposta maturi nel dibattito interno al partito”.

 

Si farà? “Io credo di sì, alla fine questo governo si farà”, pronostica Nardella. “E soprattutto lo spero, perché c’è da mettere in sicurezza la prossima legge di Bilancio”. Non è un pretesto, quella sulla finanziaria? In fondo non sarebbe giusto che la Lega si prendesse le sue responsabilità? “Io dubito che Salvini, Borghi e Bagnai ci riuscirebbero. E anzi, messi alle strette, semmai rispolvererebbero le vecchie ricette dell’uscita dall’euro. L’Italia non può permettersi questi azzardi. Noi sindaci, e qui veniamo al cuore del mio ragionamento, sappiamo bene cosa significhi questa incognita sulla legge di Bilancio, e perciò siamo molto preoccupati. Dalla manovra dipendono i trasferimenti agli enti locali, le nuove tasse e i nuovi tagli di spese. Ogni volta che a Roma si fa un annuncio strampalato sull’abolizione della Tasi, nei nostri comuni c’è qualcuno che deve riscrivere il bilancio. E poi ci sono le assunzioni della Pubblica amministrazione da sbloccare, il turnover messo in crisi da quota cento. Insomma, noi sindaci non possiamo permetterci di rischiare”.

 

Ne avete parlato, tra voi? “Io mi tengo in stretto contatto coi miei colleghi delle grandi città, e su tutti con Beppe Sala. I sindaci del centrosinistra sono un valore aggiunto di questo partito, che deve imparare a ribaltare la piramide”. Prego? “Non più scelte calato dall’alto che ricadono sui territori, ma elaborazione di proposte dal basso basate sull’esperienza di governo delle nostre città. Io, ad esempio, per le prossime regionali in Toscana voglio lanciare una proposta”.

 

Quale? “Vorrei favorire un movimento di liste civiche che, partendo dai territori, si uniscano attorno alla coalizione di centrosinistra. Tanti elettori che oggi non voterebbero il Pd, e che però rifuggono queste destre illiberali, possono trovare nella concretezza dei nostri sindaci un punto di riferimento. La Toscana può essere, così, un laboratorio nazionale”.

 

E la conversazione mattutina è iniziata da appena pochi minuti che subito arriva la prima dichiarazione di giornata di Matteo Salvini. Recita così: “Renzi di nuovo al governo grazie ai 5 stelle? Una truffa contro gli Italiani, una vergogna”. Nardella scuote la testa, sorride: “Salvini ripete questo slogan come un disco rotto perché si rende conto di essere in un vicolo cieco dopo avere aperto una crisi al buio che non sa gestire. Nel suo delirio di onnipotenza ha perso lucidità”. Eppure, all’uomo della strada, l’idea che questo eventuale governo del “tutti contro Salvini” sia una manovra di palazzo per salvare le poltrone, potrebbe arrivare. “Ma l’uomo della strada si ricorda anche di quando Salvini, che ora pietisce un accordo con Forza Italia, diceva ‘Mai più con Berlusconi’; e si ricorda anche di quando giurava ‘Questo governo durerà cinque anni’. All’uomo della strada resta la percezione del torbido, di una situazione poco trasparente dove i reali motivi della rottura non sono chiari”.

 

Il punto di fondo rimane, però: questo sarebbe un accordo tra il M5s e il Pd, promosso da quel Renzi che diceva “coi grillini neanche un caffè”. “Innanzitutto, spero venga promossa dal nostro partito in maniera unitaria. Dopodiché, non direi che riguarda solo Pd e M5s. Penso anche agli amici di LeU, e al gruppo delle Autonomie. E, perché no?, anche a qualche parlamentare di Forza Italia che teme l’abbraccio di Salvini e sa bene che di una coalizione di destra nazionalista i berlusconiani finirebbero con l’essere una debole stampella”.

 

Ma voi, che contro il M5s vi siete sempre scagliati, ora ci fareste un governo insieme? “I grillini di oggi sono un partito fortemente ridimensionato che ha imparato a fare i conti con la realtà. Ora sono più disponibili a rinunciare alle loro istanze più identitarie per fare un accordo programmatico”. Non ci parli di un nuovo “contratto di governo”, ora. “Niente affatto. Il Pd deve evitare di ripetere l’errore commesso dalla Lega un anno fa, pensando di nascondere le divergenze sotto la coperta di un contratto capestro. Serve, anzi, massima chiarezza sulle nostre differenze. E al contempo, serve il coraggio di proporre delle intese su alcuni punti”. Ad esempio? “Accelerazione sulle opere pubbliche. Sterilizzazione della clausole Iva, il cui aumento sarebbe una catastrofe. Un patto sul lavoro che parta dalla riduzione del cuneo fiscale. E poi la riforma della legge elettorale e quella costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari. A me piaceva più l’idea del superamento del bicameralismo paritario di Renzi, ma non mi scandalizzo di fronte alla proposta del taglio secco voluto dal M5s”.

 

Un governo del genere non incentrerebbe la sua politica economica intorno all’assistenzialismo? “Il pericolo c’è e va scongiurato. Ma il caos dell’ultimo anno e mezzo, e quello che si aprirebbe in caso di elezioni anticipate, farebbe di certo più male a imprese e investitori. I Cinque stelle devono capirlo: questa per loro è la prova della maturazione definitiva, l’ultima chance per trasformarsi in forza di governo”.

 

Lo si è già detto molte volte, in passato, salvo poi essere puntualmente smentiti da chi si affacciava sul balcone di Palazzo Chigi e invocava l’impeachment diel capo dello stato. “Lo so bene. Ma stavolta, per Di Maio e soci, il bivio è chiaro: evolvere o morire”.