5 Stelle decisi a fare il governo col Pd, avanza l'idea del Conte-bis (o Tria)
Salvini teme la riforma elettorale
Roma. L’attesa non proprio spasmodica per l’assemblea dei gruppi parlamentari Francesco D’Uva, il capogruppo del M5s alla Camera, la vive insieme al suo vice Francesco Silvestri, al tesoriere Sergio Battelli e al sottosegretario Simone Valente, seduto a un tavolo dell’Osteria Margherita, a metà strada tra la Camera e il Senato. “Noi con Salvini non possiamo più avere nulla a che spartire”, è la conclusione condivisa tra una forchettata e l’altra, e che ricalca quella a cui si è giunti già domenica, nella riunione dei vertici grillini a Marina di Bibbona alla quale lo stesso D’Uva ha partecipato. “Quello è un traditore”, dicono i quattro grillini. E certo, “Renzi e la Boschi non sono più affidabili, ma non sono mica a capo del loro partito. Il segretario del Pd è Zingaretti”. Poco più tardi Gianluca Vacca, sottosegretario alla Cultura, quando gli si prospetta l’ingombro del Rottamatore fa mostra di realismo politico: “Non credo che Renzi sia così sciocco da voler piazzare Lotti e la Boschi nel governo. E anzi, per attuare suoi piani gli è più utile agire nell’ombra e tenersi le mani libere”. E insomma si capisce subito che il solco è tracciato, ma per attraversarlo il M5s attende un segnale da Giuseppe Conte, che domani a Palazzo Madama farà le sue comunicazioni. “Cosa dirà il premier non lo sappiamo”, giura il capogruppo grillino Stefano Patuanelli. E di certo non lo sa Matteo Salvini.
Il leader della Lega spera che il discorso di Conte non sia davvero quel che si vocifera a Palazzo Chigi, e cioè una impietosa filippica contro il ministro dell’Interno. “Se quello lascia anche solo un pertugio, Matteo ci s’infila, pure a costo di perderci la faccia”, raccontano dei leghisti toscani che domenica sera hanno ascoltato le riflessioni di un leader impaurito ed esausto a margine del suo comizio a Massa. “Per evitare l’inciucio col Pd – ha spiegato Salvini – farò di tutto”. Compreso, a quanto pare, il ritiro della mozione di sfiducia a Conte depositata in Senato. “Decideremo domattina”, dicono i leghisti, che cercano come possono di dissimulare lo spaesamento che anche a loro produce l’indecisione del loro Capitan tentenna. Il quale, dice chi gli sta vicino, a tornare coi grillini non ci sta davvero pensando. “Non esiste”, ha sentenziato anche Giancarlo Giorgetti, che coi suoi interlocutori continua a sfogarsi parlando di un Salvini che “è stato troppo buono e poco cinico”. E allora ecco che questi ammiccamenti all’“amico e collega” Luigi Di Maio servono ad alimentare i malumori nel M5s, dare fiato alle voci di quei grillini – che i leghisti continuano a contare, a monitorare, a irretire – per nulla convinti di tornare col Pd. “Perché se i grillini si spaccano – dice un ministro leghista – i numeri per un governo col Pd non ci sono più e Mattarella dovrà prenderne atto”. Del resto Salvini teme, più d’ogni altra cosa, che la nuova maggioranza che verrà, per quanto raffazzonata e inconcludente, riesca comunque a trovare l’intesa sulla riforma della legge elettorale: “E col proporzionale noi veniamo imbrigliati”, dicono nella Lega. “Per questo dobbiamo far abortire il patto giallorosso”. Sarà difficile: perché dall’assemblea il gruppo grillino esce ricompattato: “Mai più con Salvini”, ripetono all’unisono i parlamentari. E anche tra i più scettici, che comunque si contano in non più di venti, tra Camera e Senato, si capisce che di voglia di dialogo col Truce non ce n’è. “Col gruppo della Lega si è lavorato bene, ma lui deve farsi da parte”, dice Gianluca Castaldi. “E magari insieme a lui devono dimettersi anche Centinaio, Durigon e Garavaglia”, rincara Davide Tripiedi. Insomma, un modo per porre delle condizioni impossibili da accettare. Poi certo, l’intesa tra Pd e M5s necessiterà di tempo per maturare, e invece il nuovo governo dovrà nascere alla svelta. Ma tra i grillini più entusiasti per il divorzio con la Lega, si fa strada una nuova ipotesi: un nuovo mandato a Conte, con dentro anche Giovanni Tria come garante dei conti, che resti in carica fintantoché M5s e Pd non redigano il nuovo contratto di governo. Un Conte bis a tempo determinato, un bis-Conte dimezzato che per Salvini avrebbe l’aspetto di un biscotto. Cucinatogli alle spalle.