Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti (foto LaPresse)

Il governo Pd-M5s ispira anche le regioni, ecco tutti i matrimoni e le liti

David Allegranti

Umbria, Calabria, Emilia Romagna, Toscana. La tentazione di cambiare lo schema e di isolare la Lega, favorita ovunque, potrebbe portare a intese, anche se le complicazioni non mancano

Roma. Le fumisterie del dialogo Pd-Cinque stelle potrebbero avere delle ricadute locali, qualora fossero realizzate. Nei prossimi mesi infatti, da ottobre fino a primavera, c’è una sfilza di elezioni regionali da tenere in considerazione. Umbria, Calabria, Emilia Romagna, Toscana.

 

La tentazione di cambiare lo schema e di isolare la Lega, favorita ovunque, potrebbe portare a intese non solo a livello nazionale, anche se le complicazioni non mancano. In Umbria si vota il 27 ottobre, dopo le dimissioni di Catiuscia Marini rassegnate nel maggio scorso, e il Pd apre al M5s pur di scongiurare una vittoria di Salvini: “Noi siamo orientati a sostenere un progetto e una candidatura sociale-civica, in un centrosinistra dai confini molto ampi”, dice al Foglio il commissario del Pd umbro Walter Verini, molto vicino a Nicola Zingaretti. Un centrosinistra, aggiunge il deputato umbro, “che rinnovi molto se stesso. Non sarebbe innaturale se una ‘confluenza’ su questo progetto sociale-civico giungesse anche da altre forze, pentastellate, moderate… L’Umbria non merita, e secondo me non vuole, Salvini”.

 

In Calabria, dove il M5s è arrivato primo alle Europee, il Pd è nel caos più totale. Prima che i cascami di Roma giungano nel Mezzogiorno, c’è da capire come risolvere il caso Mario Oliverio. Il responsabile per il Sud del Pd, Nicola Oddati, ha detto che le primarie non si faranno. Ha anche chiesto al governatore uscente di non presentarsi alle elezioni. Insomma, la segreteria nazionale ha sfiduciato di fatto l’attuale presidente della Regione Calabria, che però non vuole mollare la presa nonostante le inchieste giudiziarie che lo riguardano. Allo stesso tempo, tuttavia, un’alternativa ancora non è in campo. “L’ipotesi Pd-Cinque stelle in Calabria non esiste, ma se Renzi chiude davvero coi 5Stelle la cosa avrà dei riverberi locali certamente”, dice al Foglio una fonte del Pd calabrese.

 

In Emilia Romagna, Pd e Cinque stelle hanno un rapporto molto complicato ma a fine luglio dopo un estenuante dibattito hanno votato insieme in consiglio regionale una legge anti omofobia. Da qui però a pensare che possa nascere un’intesa ce ne corre. Il sindaco di Bologna Virginio Merola ha nei giorni scorsi lanciato un appello per un governo di legislatura con il M5s, ma, dice al Foglio, a livello regionale è un altro discorso: “Meglio ognuno per fatti suoi. Non è seria e credibile un’applicazione meccanica. Già sarebbe molto riuscire in un accordo nazionale”.

 

 

 

Porte e porti chiusi anche in Toscana, almeno da parte del governatore uscente Enrico Rossi: “Le differenze programmatiche in Toscana in materia di sanità, di infrastrutture, di politiche per il trattamento dei rifiuti, per l’energia, per la geotermia, sono così forti che non lasciano spazio a intese”, dice al Foglio. “Per non parlare del modo stesso di concepire la politica. La contrarietà all’intesa dovrebbe derivare dal fatto che laddove questi signori hanno governato hanno hanno dato pessima prova. Pensiamo a Livorno. Ma anche a Roma, che è un disastro. Anche Torino non mi sembra che brilli. Questo è il M5s, non ne esiste uno buono, neanche in Toscana. I Cinque stelle esprimono un pensiero retrogrado, falsamente moderno, anti-industrialista, un pensiero da decrescita felice, contrario alla politica e alla democrazia rappresentativa. Sono sempre quelli delle scie chimiche, non scordiamolo”. Quindi, dice Rossi, “se il M5s ha intenzione di cambiare avrà l’occasione di farlo in campagna elettorale. I Cinque stelle vogliono discutere? Intanto dichiarino il loro carattere alternativo alla destra. Dicano di essere un movimento che guarda a sinistra. Questo sarebbe il primo riferimento per capire, in campagna elettorale, se ci sono punti di avvicinamento”. Insomma, il percorso – se c’è – è lungo. “Non può avvenire con svolte repentine. Anche perché la setta che si è riunita a Marina di Bibbona con l’Elevato, come si autodefinisce Grillo, ha constatato l’inaffidabilità di Salvini ma ha ringraziato la Lega per aver governato insieme. Come si fa anche solo a parlare di un dialogo con i Cinque stelle?”. In politica, avverte Rossi, “non si può escludere nulla, ma ci sono dei processi da compiere, davanti a militanti, elettori, opinione pubblica. Se i Cinque stelle vogliono cambiare, devono dire ‘mai con la Lega e mai più con la destra estrema’. Devono ammettere che è stato un errore”. Non serve dunque l’ennesima “manovra di palazzo, il Pd purtroppo ne ha fatte troppe in questi anni”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.