Fenomenologia del salvinismo democratico che preferisce il Truce
Ex comunisti di destra, terzisti e bella gente. Idiosincrasie, ubbie politiche, qualche ragione e molti errori
Provo a essere serio, serioso, noioso, dunque autorevole. La fenomenologia di Salvini, il Truce, l’ha scritta benissimo Giuseppe De Filippi qui lunedì. Resta da definire la fenomenologia del salvinismo democratico: gente insospettabile (non parlo dei tonti e dei vili) preferisce il Truce al potere, in circostanze emergenziali da lui scelte, piuttosto che il Truce fuori dal Viminale e all’opposizione di un qualsiasi governo e di una maggioranza fondata sul minimo comune denominatore della sua umiliazione politica. Infatti è chiaro che la scelta di fronte a cui si trova una persona sensata di parte democratica e liberale, oggi, è di stabilire quale sia il male minore. L’8 agosto, al culmine di una marcetta autoritaria torsonudista e razzistoide, il truce ha sfiduciato il contratto con i grillozzi e ha chiesto immediate elezioni per passare all’incasso e attribuirsi pieni poteri. Concedergli questo vantaggio di tempi e di posizione, piegando la schiena al suo Diktat, o negarglielo, questo è il problema. Non è che ci siano altri problemi. La legittimità di elezioni anticipate, ovvia. L’aggiramento delle clausole di salvagardia sull’Iva, ovvio. La legittimità teorica di una diversa maggioranza composta dal primo partito e dal secondo partito usciti dalle urne del 4 marzo, ovvia. Il contorsionismo da guappo di cartone del would be dictator che fa retromarcia sulla marcia, salvo nuova giravolta per ridare la voce al popolo, coglionando gli elezionisti in coro un giorno sì e l’altro no, altra legittima ovvietà. Ovvio anche che il Pd trarrebbe qualche vantaggio residuale, roba buona per gli apparati, da una sconfitta ottenuta con presunto onore, passando forse sul cadavere elettorale dei grillozzi. E c’è chi pensa che il Pd dovrebbe attenersi all’idea di un governicchio transitorio per preparare le elezioni, mascherando convergenze impossibili (la posizione di Umberto Ranieri, qui, ieri) o puntare al pasticcio di un governo di legislatura detto Ursula, con un programma “dettagliatissimo”, evidentemente irrealizzabile (Prodi o è intontito o ci fa): vabbè, sono proposte legittime ma non ragionevoli, perché queste sì offrono al Truce la prateria della polemica contro un governo tecnico alla Monti, e in più sono incompatibili con lo stato effettivo delle truppe grillozze, nemiche strategiche ma alleate potenziali contro il nemico principale (rileggersi la storia degli Orazi e Curiazi).
Ma c’è sopra tutto il problema unico, quello del vantaggione. Per negarglielo, il vantaggione, occorre convergere con gli ex alleati buggerati dal Truce, verso i quali esiste una avversione antropologica, politica, sociale e, come dice Calenda, di valori. La cosa “fa senso”, cioè repelle, visto che qui si disse e si conferma che certi figuri vanno combattuti per quel che sono più ancora che per quel che fanno (non si accettano lezioni di antigrillismo da gentucola che lo ha votato e preparato con la polemica anticasta figlia del terzismo). Ma la cosa “fa senso” anche intendendo il senso come senso comune, come significato, al di là degli umori: il male minore è togliere con ogni mezzo lecito il Truce dal Viminale, dove ha ricoperto il doppio ruolo abusivo e contrario alla costituzione materiale democratica di questo paese, capo della forza e caporione di fazione, in pieno conflitto di interessi, altro che il Cav. E’ un passo elementare semplice, decisivo, specie se accompagnato dalla sua messa in minoranza e dallo sforzo di isolarlo da Berlusconi e dalla stessa Lega amministrativista e di governo seria. Perché dunque esiste un’area salvinista democratica che questa evidenza la trascura o non la comprende affatto? Come è composta? Quali sono le sue ragioni folli?
Gli ex comunisti della destra riformista o migliorista guidano nel Pd il gruppone salvinista democratico. Vedono nel Truce one of us, perché è implicato con il suo partito e i suoi uomini nelle affaires, e l’ex comunista, quorum ego, ammira di più il politico che si sporca le mani nel segno dell’effettualità che il politico ipocrita dell’onestà-tà-tà. Vedono nel Truce un produttivista, chissà perché, e un riformatore fiscale, chissà perché, insomma gli offrono un anticipo di simpatia sottolineato dalla convergenza sulle grandi infrastrutture e dall’idea di un blocco sociale-impenditoriale-popolare e perfino sindacale di amici del pil, chissà perché, per non parlare del mito amministrativista e regionalista della Lega. Gli altri gli (ci) hanno tagliato i vitalizi, il Truce non lo avrebbe mai fatto di suo. Sulle politiche per l’immigrazione i destri ex Pci sono naturalmente dalla sua parte, come quei sindaci comunisti francesi delle periferie che cominciarono a pestare sui neri e gli abbronzati e le loro case ben prima che il lepenismo attecchisse e li rapisse, baracca e burattini: detestano l’esibizionismo umanitario, e questo, che è un sentimento genuino, li acceca davanti al razzismo disumano, che è peggio. Il giustizialismo autentico e belluino dei gognanti grillozzi li fa inorridire, ne sono stati vittime e preferiscono, a ogni costo, perfino la minaccia dei pieni poteri, scelgono un teorico e un pratico della giustiziabilità dei deboli e delle zingaracce accoppiata all’impunità per chi governa il sistema (49 milioni, Tribunale dei ministri per la Diciotti). Del crocifisso non sanno che farsene, non sono passati per l’ateo-devozione, ma usato come portachiavi nei comizi ne comprendono il significato bassomachiavellico. Il berlusconismo degli anni passati è stato da un lato pop e tendenza Veronica (e quello si fece giustamente renziano e nazarenico) ma anche, dall’altra parte dello spartiacque, serioso e destrorso e strettamente aziendalista, e questo berlusconismo si incontra bene con la staffetta in cui al posto di Renzi c’è il Truce. Ecco.
Quanto ai liberali, terzisti e altra bella gente. Qui prevale uno spirito antirenziano di establishment. Furono trattati male, senza riguardi, da quel cattolico margheritico tracotante, di successo, americanizzante, uno che non sentiva i direttori dei giornali, uno che nella sua ansia di disintermediazione non parlava né con i sindacati né con la Confindustria, e se la giocava in solitario con miti imprenditoriali dell’innovazione cosiddetta e Marchionne. Conta anche il revisionismo storico benemerito, la polemica con l’antifascismo all’insegna dell’antiantifascismo. Il Truce si comporta da fascista di balera, ma non bisogna dirlo perché non vogliamo più sentire i cori di “Bella ciao” e ascoltare lezioncine stantie che in nome della battaglia contro l’autoritarismo, il razzismo e il piatto e sciatto mussolinismo torsonudista, rifanno dell’antifascismo una pietra di paragone (qui c’è anche la concorrenza tra Corriere terzista e Repubblica). Decisiva anche l’avversione comprensibile verso l’assistenzialismo clientelare e sudista dei grillozzi, e certi modi antipartito e antisistema che un liberale perbene non può sopportare quando nascano da spinte anarchiche. Contro la casta ma con le élite è il loro incauto slogan interiore. Anche Croce pensò per un lungo momento che Mussolini avrebbe rimesso le cose a posto, e pazienza per le squadracce e il progetto autoritario che ai suoi occhi si vedeva e non si vedeva.
Insomma, nella fenomenologia del salvinismo democratico si affollano ragioni buone e cattive, comprensibili e meno comprensibili, ma radicate e serie. Per questo ci vorrebbe una autoanalisi, una presa di coscienza, e una scelta formulata non sulle ubbie, sulle idiosincrasie, sulle premesse ideologiche, ma su uno schietto dilemma politico: gliele diamo le elezioni risanatrici e glieli diamo i pieni poteri, sì o no?