Nicola Zingaretti (foto LaPresse)

L'anno bellissimo dell'opposizione

Claudio Cerasa

Hanno messo in mutande l’esecutivo. Hanno indebolito Salvini. Hanno costretto Conte a parlare contro il suo governo. L’opposizione vince anche se non esiste. Figuriamoci quando comincerà a esistere davvero (e ora niente Tafazzi, please)

Ci sono ottime premesse per un 2019 da sballo, aveva detto qualche mese fa Giuseppe Conte parlando del suo ormai defunto governo. In realtà il 2019, almeno finora, è stato un anno da sballo per le opposizioni, deboli ma forti, in difficoltà ma vincenti, e se vogliamo la notizia più rilevante delle ultime settimane è che in Italia – per quanto malconcia – un’opposizione esiste, ha fatto il suo lavoro, ha costretto il governo a rimangiarsi quello che aveva promesso sul deficit, ha portato il presidente del Consiglio a rimangiarsi quello che aveva promesso su industria 4.0, ha mostrato la gravità di essere ostaggio del putinismo da parte di uno dei paesi fondatori dell’Europa, ha mostrato le divisioni dell’esecutivo presentando una mozione sulla Tav, ha costretto uno dei partiti della maggioranza a chiedere una mano a un partito rivale per mettere al tappeto uno dei populisti di governo, ha messo nell’angolo il politico più popolare del paese, ha mostrato le sue debolezze, le sue fragilità, i suoi punti deboli e alla fine, triangolando con l’Europa, triangolando con i pezzi vivi della nostra società che mai si sono arresi al sovranismo, ha portato a casa il risultato, facendo cadere il governo più pericoloso mai avuto dall’Italia dal Dopoguerra a oggi.

 

Si potrebbe far notare che l’anno bellissimo delle opposizioni è stato registrato più in ambito parlamentare che in ambito elettorale, si potrebbe aggiungere che Salvini c’ha messo molto del suo a sgambettarsi da solo, si potrebbe dire che non è certo un dettaglio il fatto che le elezioni europee abbiano certificato come buona parte degli elettori italiani abbia scelto di premiare come miglior partito di opposizione proprio uno dei due partiti di governo, ovvero la Lega. Eppure i quindici mesi di governo populista hanno mostrato con chiarezza che in Italia esiste uno spazio politico immenso per l’opposizione al sovranismo all’interno del quale, con un po’ di tempo a disposizione, potrà nascere un’alternativa forte ai profeti della rabbia – e le incredibili immagini di Matteo Salvini passato nel giro di poche ore dallo status di leone a quello di coniglio suggeriscono in modo plastico che, così come è capitato al Movimento 5 stelle tra il 4 marzo del 2018 e il 26 maggio del 2019, quindici punti persi in poco più di un anno, allo stesso modo il consenso conquistato dal leader della Lega potrebbe scappare via con la stessa velocità con cui è stato conquistato.

 

Il successo certamente momentaneo ma evidentemente rotondo delle opposizioni (un governo con il M5s, per il Pd, sarebbe mostruoso, ma il fatto che il M5s abbia bisogno del Pd per non andare a casa e per provare a governare rappresenta a suo modo un successo per l’opposizione, che dopo aver costretto il presidente del Consiglio uscente a sfiduciare il suo vice, Matteo Salvini, con un discorso che avrebbe potuto fare un qualsiasi esponente dell’opposizione si ritrova ora nella condizione di essere supplicata a fare un nuovo contratto in discontinuità con l’esecutivo di cui il M5s è stato azionista di maggioranza) è un tema che merita di essere messo a fuoco, anche per provare a orientarsi nelle consultazioni lampo convocate dal presidente della Repubblica subito dopo le dimissioni di Giuseppe Conte da Palazzo Chigi e per tentare di fare un po’ di ordine nel caos creato dalla crisi di governo più pazza del mondo. In questi mesi, l’opposizione ha mostrato segnali di vitalità quando non è caduta nel tranello di considerare un populismo meno pericoloso dell’altro e la ragione per cui questo giornale è contrario alla nascita di un esecutivo formato dal Pd e dal M5s ha a che fare proprio con la necessità di non ridare ai populismi l’ossigeno che non si meritano.

 

La direzione del Partito democratico, con molti paletti, ieri ha dato mandato ai suoi capigruppo di Camera e Senato di proporre al presidente della Repubblica come unica alternativa al voto un patto di legislatura rivolto non solo al M5s, “con ampia base parlamentare” e a quanto risulta al Foglio oggi si sentirà dire dal capo dello stato che l’unico esecutivo possibile è un governo più politico che istituzionale (niente governo del presidente, che avrebbe l’infausto compito di scaricare sul Quirinale la responsabilità della nascita del governo). Quale che sia la formula con cui verrà presentato il nuovo possibile esecutivo, non c’è maschera che possa però rendere presentabile l’impresentabile e che possa giustificare la nascita di un governo non meno mostruoso rispetto a quello che è appena caduto: un governo dei perdenti, un governo degli sconfitti, un governo degli accrocchi, un governo formato da Pd e M5s.

 

Un’opposizione disposta a costruire un patto di legislatura con uno dei partiti che ha contribuito a indebolire l’Italia negli ultimi quindici mesi è un’opposizione disposta a dilapidare il patrimonio di credibilità conquistato negli ultimi giorni dopo aver messo in mutande il ministro del Papeete (a meno che il Pd non riesca nel miracolo di rottamare il grillismo). E per questa ragione, tanto per il Pd quanto per Forza Italia, non esiste opzione migliore per contenere il trucismo se non quella di promuovere di fronte al capo dello stato l’unico governo che meriterebbe di stare in piedi: un esecutivo di minoranza sul modello di quello guidato tra il 26 luglio del 1960 e il 21 febbraio del 1962 da Amintore Fanfani, un monocolore Dc che andò avanti grazie all’astensione dei socialisti e dei monarchici. All’Italia non serve un accrocchio (anche se sarebbe uno spasso verificare la fattibilità dello schema promosso da Gianni Letta che a quanto risulta al Foglio funziona più o meno così: Forza Italia non ha intenzione di mettere a disposizione i suoi voti per far nascere un esecutivo giallorosso ma se Pd e M5s non riuscissero a mettersi d’accordo il partito del Cav. sarebbe disposto, pur di non regalare a Salvini la vittoria delle elezioni anticipate, a sostenere un esecutivo istituzionale con una figura super partes modello Draghi anche insieme al Movimento 5 stelle oltre che al Pd). Serve qualcosa di diverso. Serve un governo guidato da chi ha vinto le elezioni e serve un’opposizione responsabile, desiderosa di rimboccarsi le maniche e prepararsi a presentarsi agli elettori trasformandosi in quello che oggi non è: non solo un’opposizione tosta, capace di far cadere i governi, ma anche un’alternativa credibile, capace di far nascere altri governi. L’opposizione a Salvini vince anche se non esiste. Figuriamoci quando comincerà a esserci davvero.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.