Cantone, il magistrato del popolo
L'ex presidente dall’Anticorruzione (senza furori giudiziari) alla lista dei papabili per un governo diverso
Ha deciso di farsi da parte, ma è l’uomo giusto per tutte le parti. E’ sempre in lista per presiedere un governo che sia di scopo, istituzionale, del bene comune, e se si dovesse andare alle urne, Raffaele Cantone potrebbe essere il candidato della sinistra e magari tenere insieme Nicola Zingaretti, Matteo Renzi, Carlo Calenda perché “loro potrebbero avere bisogno di me, ma io di certo non ho bisogno di loro”. In passato, gli è stato chiesto di fare il sindaco di Napoli, ma poi tutti lo vedevano sindaco di Roma perché, come ormai si sa, per Cantone, “Milano è la capitale morale mentre Roma non ha gli anticorpi”. E in futuro non è da escludere il Quirinale (era un altro nome nell’insalata mista grillina dei quirinabili). E invece, al momento, l’unica cosa certa è “il mio ritorno all’ufficio del Massimario della Corte di Cassazione” ha annunciato l’ex magistrato, che torna a fare il magistrato, (in una lettera naturalmente trasparente e pubblicata sul sito dell’Anac) lasciando la guida dell’autorità Anticorruzione dopo cinque anni dalla nomina. Le dimissioni sono arrivate il 23 luglio, prima che Matteo Salvini terremotasse il governo, ma senza diroccarlo. In pratica, Cantone è l’unico che in Italia ha saputo aprire una crisi nei tempi e nei modi giusti e questa è già una buona ragione per chiamarlo a sciogliere quella di governo. A farlo dimettere, ha scritto, è stata un’ulteriore crisi (di credibilità) che riguarda la magistratura travolta dal caso Palamara, una fase difficile che “mi impedisce di restare spettatore passivo. Credo sia giusto rientrare in ruolo in un momento così difficile per la vita della magistratura che ho sempre considerato la mia casa”. In verità, sono state le frizioni con un governo che in un anno ha smontato i poteri dell’Anac, alzato la soglia per l’affidamento diretto degli appalti pubblici, cercato di togliere il reato di abuso d’ufficio proteggendosi perfino sotto il suo ombrello come ha fatto Salvini: “Anche Cantone la pensa come me”. Non la pensava come lui tanto da dire, a febbraio, “in questo paese, ogni tanto, leggendo il giornale si ha l’impressione che il problema non sia la corruzione ma l’anticorruzione” e quindi riconoscere che “un ciclo si è concluso anche per il manifestarsi di un diverso approccio culturale nei confronti dell’Anac”. Ma a picconare l’opera di Cantone ci ha pensato anche Giuseppe Conte che nei mesi scorsi, con la sua lingua oscura, ha voluto fare sapere che “in questo momento non abbiamo dall’Anac quei risultati che ci attendevamo”.
Se si dovesse andare alle urne, Raffaele Cantone potrebbe essere il candidato della sinistra e tenere insieme Zingaretti, Renzi, Calenda
Quando non è intervenuta la politica, e per politica si intende M5s e Lega, a criticare Cantone si è fatta avanti la magistratura, “la sua casa”. L’estate scorsa Francesco Greco, procuratore capo di Milano, si era lamentato dei ritardi da parte dell’Anac nel girare le informazioni rendendo inutili alcune indagini. Successivamente i due si sono chiariti e tutto si è poi concluso con “i rapporti sono ottimi” da parte di Greco e con l’amarezza di Cantone che nella lingua di Cantone si traduce con “sono stupito. Ma per me la questione è chiusa”.
Nato a Giugliano, dove ancora risiede anche per dispetto (“Non ce ne dobbiamo andare noi, ma se ne devono andare loro”, dove per loro intende ceffi e camorristi), Cantone è di certo il magistrato più popolare d’Italia malgrado la sprezzatura che esibisce e la timidezza che ripete sia la sua speciale impronta, (“di fondo sono un timido, non certo una persona che ama stare al centro dell’attenzione, e soltanto nelle situazioni che lo richiedono riesco a trasformare l’adrenalina frutto della mia ansia in grinta e concentrazione”). Da quando è entrato in magistratura, primo incarico alla “procurina” di Napoli, (ha giurato 4 settembre del 1991 al Castello di Castelcapuano) è sotto protezione per essersi occupato di camorra tanto da essersi imbattuto, nel corso delle sue indagini, perfino in un Raffaele Cantone, latitante e condannato all’ergastolo, provando lo sgomento che si prova di fronte al doppio, (“Non ho idea di che effetto abbia fatto a lui, ma confesso che io non sono rimasto del tutto insensibile alla notizia che esiste un mio omonimo che di mestiere fa il killer”). Per quei felici sottosopra che capovolgono le vite, Cantone ha vinto il concorso in magistratura nello stesso momento in cui stava per prendere servizio a Roma come impiegato dell’Inail, mansione che nella sua educazione sentimentale corrispondeva a una forma di reddito di cittadinanza, (“Era irrealistico sperare di poter superare l’ostacolo degli scritti in magistratura al primo tentativo. Ho preferito seguire il consiglio di mio padre e cercare di aprirmi diverse possibilità”). Oggi che la possibilità di continuare a presiedere l’Anac – autorità che in questi anni ha avuto il compito di setacciare contratti, appalti, acquisti, spese – si è interrotta, Cantone ha fatto richiesta per andare a dirigere tre procure: Perugia, Torre Annunziata e Frosinone. Ma è possibile dopo aver fatto il papa tornare curato? Istituita dal governo a guida Matteo Renzi, che ne rivendica ancora la nomina come la sua intuizione più felice, l’Anac è un caso che in retorica sarebbe chiamato tropo, quella figura capace di estendere, deviare il significato da una parola a un’altra, (“Quando si cita l’Autorità vengo indicato anche io, come se si trattasse di un binomio indissolubile”). E infatti, Cantone si identifica con l’Anac e l’Anac si identifica con Cantone al punto che per sostituirlo si è fatto il nome di Piercamillo Davigo, l’altro magistrato, dopo Cantone, che gli italiani conoscono e temono. Cantone ha cercato la corruzione dappertutto (Expo, Rai, aeroporti, comuni, regioni), ma non l’ha mai considerata un elemento dell’elica genetica del paese come invece crede il M5s che gli ha sempre rimproverato la cautela, i consigli, i pensieri; uno su tutti quello di “armonizzare” la legge Severino. Sul blog, i parlamentari del M5s hanno scritto che era “un ariete di Renzi”, lo hanno definito “un testimonial per rilanciare un brand come quello del Pd” e rimproverato di partecipare, da ospite, alle feste del Partito democratico. Sul web è ancora possibile rileggere la lettera di risposta che Cantone ha spedito al M5s in cui si diceva pronto a confrontarsi anche con loro, (“Sarei ben lieto se venisse un vostro invito. Saluti cordiali”).
Sarà magistrato ancora, o forse premier, ministro, chissà… ma senza l’aria torva di chi confonde peccati e reati
Tornando indietro, si è scontrato con Beppe Grillo a cui ha dato, ma sempre con garbo, dell’incompetente perché “forse non sa cos’è l’Autorità anti-corruzione. Il compito dell’Autorità non è scoprire la corruzione. Non rispondo a uno che non sa neanche di cosa si sta parlando”. Grillo gli ha risposto alla sua maniera e quindi con la sua prosa surrealista, “Cantone, lo smemorato di Collegno”, sopra la caricatura di Cantone in versione scimmietta. Ma dato che la memoria è cortissima (non quella di Cantone), oggi anche da quelle parti ne lodano la tenacia, leggono tutti i libri che in questi anni Cantone ha scritto. Al momento ne ha pubblicati nove (uno anche in tedesco), ma il più intimo rimane il primo Solo per giustizia (Mondadori) e non solo perché scritto prima del clamore, prima delle indagini che hanno portato agli arresti i vari Sandokan, Cicciotto ‘e Mezzanotte, prima del sodalizio intellettuale con Roberto Saviano, prima delle interviste da Fabio Fazio, ma perché rimane l’unico testo che ne racconta la formazione e quindi l’ambizione.
A farlo dimettere sono state le frizioni con un governo che in un anno ha smontato i poteri dell’Anac e le picconate di Conte
Quando Luigi De Magistris si candidò per la prima volta sindaco di Napoli, il Pd aveva pensato di opporgli proprio Cantone che non accettò perché aveva capito che sarebbe finito nel gioco delle correnti. Rifiutò – il rifiuto è il privilegio che si può permettere Cantone – ma si lasciò scappare con gli amici una frase che forse un po’ lo illumina: “De Magistris ha vinto al secondo turno. Io avrei stravinto al primo”. Il padre, e sono pagine molto intense, racconta Cantone, morì in ospedale con una copia della Gazzetta Ufficiale. Era la copia con l’elenco degli ammessi in magistratura e tra questi c’era il nome del figlio. E però, la famiglia Cantone è matriarcale e non solo perché l’ultimo parere che ascolta è quello della moglie Rosanna, che si portava con sé ogni volta che doveva sostenere un esame. A incoraggiare il suo ingresso in magistratura c’è stata la madre (oltre lo zio maresciallo della Guardia di Finanza) che prima del suo viaggio a Roma ha riempito “la valigia di provviste, dato che io ero totalmente incapace di cucinare”. A Napoli, è famosa quanto Cantone l’ex sua collaboratrice Rosaria, (“Un vero groppo in gola mi è salito quando ho dovuta salutarla”). Dietro Cantone c’è insomma quella saggezza femminile mescolata allo scetticismo popolare che – raccontava Leonardo Sciascia, cresciuto nella cucina delle zie – finisce sempre per forgiare il carattere. Cantone anziché restringere le responsabilità preferisce allargarle perché è vero che “la corruzione è un furto di futuro”, ma se si annega nelle tangenti è evidente che “il problema riguarda innanzitutto le regole. Cattive regole sono alla base delle cattive azioni”.
Tra i pochi magistrati che non solo conoscono il codice ma lo perlustrano e lo studiano come l’architetto fa con il labirinto, Cantone si è meritato fra i suoi colleghi il soprannome di “professore” di cui ha sempre detto di andare fiero anche quando le intonazioni di quel nomignolo “variavano dalla presa in giro allo sfottò ironico a sfumature assai meno bonarie e lusinghiere”. Tra i classici che tiene in libreria c’è “Il mistero del processo” di Salvatore Satta, giurista ma anche romanziere incline al tormento e convinto che “il processo non deve perseguire scopi esterni al processo stesso. Non è compito delle indagini giudiziarie correggere i costumi, moralizzare la società”. In questa epoca dove si chiede galera senza processo, anche Cantone è stato invitato ad “Arrestarli tutti”, (“E io ho provato a spiegare che non possiamo arrestare nessuno perché non è questo il nostro compito”). Per Cantone, lo stato “non fa vendetta” e lo ha ribadito anche in occasione dell’estradizione di Cesare Battisti che è stato un successo “perché all’estero c’era l’idea di un paese poco affidabile e che nelle carceri italiane si praticassero torture. Accuse infamanti”. Il successo che è più importante delle forme, lo ha portato a scagionare pure il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede che per imitare Salvini si era improvvisato videomaker, una specie di Oliver Stone ma al contrario, (“Ha commesso un errore ma sono sicuro in buona fede”).
Ha cercato la corruzione dappertutto, ma non l’ha mai considerata un elemento del dna del paese come crede il M5s
Se c’è un difetto che gli viene mosso (ma è un’altra qualità) è proprio l’assenza di furore giudiziario. Cantone non è mai stato un magistrato bandiera da Fatto Quotidiano, non ha mai amato vedere rotolare teste, anzi, ha sempre coltivato la passione giovanile, quella dell’avvocato penalista il cui compito era quello di “garantire lo stato di diritto, essere il necessario e rigoroso contrappeso alla funzione accusatoria”. Anche sulla necessità di pubblicare i testi delle intercettazioni, ha una posizione tutta sua e l’ha pure espressa in una lettera a Repubblica che si può sintetizzare con una diffusione regolata per legge così da spezzare la complicità tra cronista e magistrato, impedire la subalternità fra stampa e magistratura. Cantone si è dovuto difendere dalle sciocche accuse di subalternità nei confronti di Renzi che lo ha invitato alla Leopolda e ancora, un’altra volta, insieme alla cena con l’ex presidente Barack Obama: Cantone italiano illustre come Roberto Benigni, Paolo Sorrentino e Giorgio Armani. Nel periodo in cui si è acceso il dibattitto sulle associazioni politiche, in particolar modo su quella di Renzi, Cantone è stato il primo a intervenire e invitare a rendere trasparenti i finanziamenti ricevuti. Si può chiamare ancora subalternità? Di sicuro si è abusato di Cantone quando si è pensato di chiamarlo a fare da arbitro nella vicenda dei truffati di Banca Etruria, e poi terremoti, giubileo… si è abusato, tanto da trasformarlo alla fine in uno “smacchiatutto”.
In un paese dove tutti sono fuori posto e ambiscono al posto di qualcun altro, Cantone si è rivelato adatto per qualsiasi incarico perché alla fine ha sempre voluto occuparne uno solo: magistrato. Nel suo ultimo libro Corruzione e Anticorruzione, dieci lezioni (Feltrinelli), di fatto un bilancio di questi anni, assicura che all’Anac ha dedicato “tutte le energie fisiche e psicologiche. Di più non sarei riuscito a fare e a dare”. Potrebbe essere chiamato a superarsi, ma alle sue condizioni (“Ci deve essere unanimità intorno a me”). Magistrato ancora, o forse premier, ministro, chissà … ma senza l’aria torva di chi confonde peccati e reati. Occupati i titoli di avvocato, professore del popolo, rimane solo quello di magistrato del popolo. Ma sempre senza furore.