Cos'è il fattore Renzi
Numeri, strategie, scenari. Quanto peserà sul governo (e sul Pd) la nuova centralità dell’ex segretario
Roma. Il tempismo spregiudicato, dopo aver passato mesi e anni a spiegare che i Cinque stelle sono dei “cialtroni”; la centralità numerica nei gruppi parlamentari; l’indicazione della durata del governo. A trattare con i Cinque stelle c’è Nicola Zingaretti ma il segretario ombra dell’altro partito nel partito, Matteo Renzi, si muove come se il governo che sta per nascere fosse suo. D’altronde, è stato lui a inizio agosto a spiegare perché serve un governo di “responsabilità” per fronteggiare le presunte “emergenze” (tra queste l’aumento dell’Iva), spalancando le porte all’intesa fra Pd e Cinque stelle. Mercoledì si è spinto oltre, dicendo che il nuovo possibile esecutivo, guidato da Giuseppe Conte, è praticamente a tempo determinato. “Questo governo nasce sulla base di una emergenza: evitare che le tasse salgano e che l’Italia vada in recessione. E’ un atto di servizio al Paese, innanzitutto”. Per questo, ha aggiunto il senatore di Scandicci, “non chiedo che tutti facciano un passo indietro come ho fatto io: basta che si tenga al centro l’obiettivo che è quello di mettere in sicurezza le istituzioni democratiche e i risparmi degli italiani”. Insomma, è un governo a progetto. E poi?
Il sospetto di Zingaretti è che Renzi voglia, a un certo punto, tirarsene fuori, facendo davvero il suo nuovo partito del quale si parla da un sacco di tempo. Le fasi dell’operazione renziana potrebbero essere due: nella prima, Renzi accompagna questo governo e vede cosa combina, senza perdere di vista l’obiettivo di una eventuale scissione; nella seconda, l’ex segretario del Pd valuta se prendersi i meriti dell’esecutivo – qualora dovesse lavorare bene – oppure se distanziarsene.
Gli zingarettiani però da giorni fanno anche girare un altro messaggio, forse per evitare che sul nuovo esecutivo sia fin troppo visibile il marchio di Renzi: “Ma pensa anche lei che i gruppi parlamentari stiano con Renzi? Niente di più falso. E’ una novella che a lui fa comodo, ma che non esiste. E i giornali continuano a scriverla”, dice un parlamentare toscano vicino a Zingaretti che conosce molto bene Renzi. “Stanno con Martina, stanno con Guerini, stanno con Delrio”. E’ anche vero però che con Lorenzo Guerini c’è il turborenziano Luca Lotti alla guida della componente parlamentare del Pd più numerosa, Base Riformista, che conta tra i settanta e gli ottanta parlamentari. Forse un giorno dovranno decidere se morire renziani o no, ma ancora è presto per dirlo.
Tuttavia, osserva ancora il parlamentare toscano vicino a Zingaretti, “gli unici duri e puri che lui porterà con sé stanno con Giachetti e Ascani. Sono Scalfarotto, Rosato, Marattin, alcuni altri giovani, ovviamente Boschi. Non sarei certo nemmeno di Marcucci, se vuole saperlo”.
Il nuovo possibile partito renziano, magari fatto anche con pezzi di Forza Italia, rischia però di avere un concorrente: Carlo Calenda. Mercoledì l’ex ministro dello Sviluppo economico ha annunciato l’addio al Pd. Non una novità, visto che lo ha ripetuto per settimane, l’ultima volta con decisione proprio al Foglio: se il Pd si allea con i Cinque stelle, io me ne vado. Detto, fatto. “Penso che in democrazia si possano, e talvolta si debbano, fare accordi con chi ha idee diverse, ma mai con chi ha valori opposti. Questo è il caso del M5s”, ha detto Calenda. “Non saranno 5 o 10 punti generici a far mutare natura a chi è nato per smantellare la democrazia rappresentativa cavalcando le peggiori pulsioni antipolitiche e cialtronesche di questo paese”. Insomma, sapete bene che nulla abbiamo in comune con Grillo, Casaleggio e Di Maio. Ed è significativo il fatto che il negoziato non abbia neanche sfiorato i punti più controversi: dall’Ilva alla Tav, da Alitalia ai Navigator. Un programma nato su omissioni di comodo non è un programma, è una scusa. Eviterò di commentare la decisione di cedere al diktat del M5S su Conte. In fondo esiste una perversa coerenza nella scelta di questo nome per guidare un governo nato dal trasformismo”.
Calenda è dunque pronto a un nuovo partito, il problema per lui è che non si sa quando si vota. Gode di un consenso personale, che però potrebbe anche svanire rapidamente se non trova sfogo alle urne. Insomma, tra Renzi e l’ex ministro il condominio liberal-moderato rischia di essere parecchio affollato.