Sì alla mozione Cairo
La traiettoria di Salvini ci dice che il leghista può fare l’interesse del suo partito ma non quello dello stato
Ho chiamato mio figlio Niccoló in onore di Machiavelli, non ho perciò alcun problema a riconoscere la forza e ad adattarmi alla realtà. La realtà è che Matteo Salvini ha la forza, ma temo abbia ragione Urbano Cairo quando sostiene che gli fa difetto l’abilità. L’abilità politica. La capacità, cioè, di individuare e perseguire obiettivi realistici forti di un sistema di alleanze. Le alleanze sono imprescindibili perché compensano la fisiologica instabilità del nostro sistema politico, la strutturale debolezza dei governi, la cronica conflittualità della pubblica amministrazione, il peso dell’antico pregiudizio dei partner europei (e dei mercati finanziari) nei confronti di noi italiani e di chi ci rappresenta.
L’Italia è un paese fragile tenuto insieme col fango, chi intende governarla deve saper costruire una rete ampia e robusta coniugando interessi istituzionali, politici ed economici. Una rete di alleanze interne e internazionali intrecciata con sapienza politica e fondata su obiettivi condivisi. Ma di alleanze nell’orizzonte salviniano non v’è traccia. Nessuna alleanza in patria, nessuna alleanza in Europa così come nella Nato. “Salvini contro tutti” è la narrazione che i suoi spin doctor considerano vitale. La parola “alleanza” non appartiene al suo vocabolario, quando usa il “noi” si riferisce solo alla Lega o al “popolo”. Una strategia che genera consensi, ma che indebolisce tanto il governo quanto il paese. Matteo Salvini rinnega tutti i rapporti “storici”. Rinnega il centrodestra, l’Europa, gli Stati Uniti... Ma non li sostituisce con nulla. Nessun alleato, nessun progetto politico condiviso. Un fiero isolamento, una conseguente marginalità.
Come ministro, in fondo, funzionava. E’ come vicepremier che ha deluso. Ha deluso perché non è mai entrato nei panni dell’uomo di Stato. E non si tratta solo di una, pur non trascurabile, questione di stile. Chi intende assumere la guida del governo non può non sapere che mai come oggi la politica nazionale dipende dalle relazioni internazionali. Bisogna far parte di un sistema, ricoprire posizioni, condividere interessi e obiettivi strategici. Non risulta che Salvini ci abbia mai provato e se l’ha fatto non risulta che abbia ottenuto risultati apprezzabili. Ha furbescamente oscillato tra Trump e Putin, a quanto pare deludendoli entrambi, senza mai dare un senso politico a questo suo scombussolato pendolarismo internazionale. In Europa è in conflitto con tutti, capi di governo e istituzioni. A differenza di Viktor Orban, sovranista così pragmatico da votare la presidente della Commissione assieme a Forza Italia, Salvini ha scelto di iscriversi all’unico gruppo europeo strutturalmente escluso da ogni decisione: gli estremisti di Identità e democrazia. Estremisti, naturalmente, anche per quanto concerne il rigore in economia. Scelta miope, in evidente contrasto con l’interesse nazionale dal momento che in tutt’Europa non v’è un solo “sovranista” disposto a condividere con l’Italia il peso dei migranti o quello del debito pubblico. Potevano farlo i Macron, le Merkel, le von der Leyen... Ma Salvini li ha sistematicamente delegittimati applicando un metodo analogo a quello utilizzato in Italia come capo politico. Capo di partito, però. Non di coalizione né di Stato. Un capo in guerra contro tutti, amico di nessuno, occasionale complice di chiunque. Complice, non alleato. Perché un’alleanza presuppone lealtà, fiducia, visione e valori condivisi. Fattori incompatibili con la hybris salviniana.
Se non cambia registro, Matteo Salvini è destinato a restare solo e se fosse a capo del governo il suo isolamento sarebbe l’isolamento dell’Italia. Ha ragione Urbano Cairo, il limite del Grande Narciso non sta nel suo presunto autoritarismo, né può essere ridotto alla dissennata gestione di questa crisi di governo. Il limite di Matteo Salvini è il suo carattere. Vive alla giornata, vive di esibizioni che molto hanno a che vedere col marketing e poco con la politica. Per lui i voti sono un fine, non un mezzo. Può, nel breve periodo, fare l’interesse del partito, ad oggi non si è dimostrato adatto a fare l’interesse dello Stato.
*senatore di Forza Italia