Le unghie del Cav. nelle piaghe del Truce
Berlusconi si presenta alle consultazioni soltanto per togliersi la soddisfazione di infierire su Salvini
Roma. Giorgia Meloni ha mandato una delegazione, Matteo Salvini non si è ovviamente presentato, e invece lui sì: Silvio Berlusconi è voluto andare. Quindi ha partecipato alle consultazioni, ha amichevolmente chiacchierato con Giuseppe Conte in un salottino di Montecitorio, pur sapendo che si trattava di una faccenda pressoché inutile. Poi il Cavaliere si è presentato alla stampa, tra gli arazzi della Sala della Regina, assecondando finalmente così la vera e unica ragione per la quale si trovava alla Camera: infierire con apparente distacco sul corpo debilitato dell’ex Truce d’Italia, quel Salvini adesso scomparso da ogni radar, ma che negli ultimi quattordici mesi lo aveva sistematicamente bullizzato tentando persino di soffiargli il partito. “Allearsi con Berlusconi?”, diceva Salvini: “Non ho nostalgia del passato”. E ieri, ancora: “Non abbiamo bisogno dell’alleanza con Berlusconi”.
Ed eccolo allora il Cavaliere, come Edmond Dantès, tornato dagli inferi per far vendetta degli sgarbi subìti: “Non scendo in piazza con la Lega”, “il centrodestra di una volta non era unicamente un’alleanza di populisti e sovranisti”, “siamo saldamente ancorati all’Europa e all’occidente”. E infine, accentuando forse un’inflessione di compatimento, eccolo affondare con voluttà sugli sbagli di Salvini. Tutto d’un fiato: “Durante questa crisi di governo, il fatto che la Lega abbia proposto fino all’ultimo di resuscitare la sciagurata formula di maggioranza giallo-verde ha rappresentato e rappresenta per noi un problema politico molto grave sul quale tutti gli elettori di centrodestra devono riflette seriamente perché così si è consegnato il paese alla sinistra”. Boom. Chissà quante volte Berlusconi in questi mesi ha immaginato di dire persino di peggio.
Dieci giorni fa, per dire, ancora una volta, malgrado le piccole mosse indisponenti di Salvini, malgrado gli spavaldi tentativi di sfilare uomini a Forza Italia attraverso Giovanni Toti, i due si erano sentiti. Il Cavaliere d’altra parte è un uomo pratico, e ha pure ben presente quale sia il peso elettorale della Lega. I conti sa farseli. Quindi diceva a Salvini: “Vieni da me a Palazzo Grazioli, facciamo un accordo per le elezioni. Ti aspetto alle 11”. Cuochi allertati. Pranzo pronto. Ma si fanno le 11 e 20, e Salvini non c’è. Si fanno le 11 e 30. E niente. Passa un’altra mezz’ora, e il Cavaliere spazientito: “E’ mezzogiorno. Chiamatelo per favore”. Si scatenano allora i centralini di Palazzo Grazioli. Viene coinvolta pure la batteria di Palazzo Chigi. “Ha il telefono staccato”. Allora si prova la batteria del Viminale. “Ha il telefono occupato”. Niente. Trafelata, Licia Ronzulli, l’assistente del Cav., rincuora tutti: “Lo chiamo io col cellulare! A me risponde”. Ma quando mai. Sono ormai le 13 quando finalmente Matteo Salvini chiama: “Non vengo”. Se n’erano già accorti tutti.
Dunque alle ragioni di offesa politica, sempre più, per Berlusconi si sommano ragioni personali da non sottovalutare. Che un giovanotto con la barba incolta e l’aria sfatta tipica di chi ha dormito tutta la notte su una panchina gli dia buca, e senza nemmeno avvertire, è troppo. Così, mercoledì scorso, a pranzo, circondato dalla Corte che sempre – ma con diverse sfumature – gli suggerisce di maneggiare Salvini con quei riguardi, quelle particolari circospezioni e timorate cautele che si debbono alle bestie feroci, ecco che Berlusconi cambia atteggiamento. E platealmente, di fronte a tutti, compreso Niccolò Ghedini, il Cavaliere dà ragione al suo vecchio amico Gianni Letta. Il Gran Ciambellano del berlusconismo, infatti, tra una portata e l’altra, facendo calare un silenzio teso nella stanza, aveva inanellato con logica consequenzialità una requisitoria fortissima contro Salvini. “Non ti vuole”, “non ti rispetta”, “vuole metterti da parte e non lo nasconde nemmeno”, “ritornare da lui per ubbidirgli sarebbe un suicidio”, “andare alle elezioni per eleggere trenta parlamentari che nemmeno risponderebbero più a te sarebbe un errore mortale”. E’ anche quello che ormai pensa Berlusconi.
Così adesso il mostruoso governo tra la sinistra e i grillini assume agli occhi del Cavaliere le parvenze di un’opportunità. La lima per segare le catene che Salvini gli ha stretto alle caviglie si chiama riforma elettorale proporzionale. Ma poiché il governo mostruoso (eppure utile) potrebbe anche non farsi – tutto dipende dallo psichedelico Luigi Di Maio – il Cavaliere ancora non si risolve alla mossa definitiva che ha in animo: mandare Salvini a quel paese una volta per tutte. Ieri gli ha soltanto ficcato le unghie nelle piaghe. Ma che soddisfazione.