Da sinistra Francesco Silvestri, Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli (foto LaPresse)

Lessico demopopulista

Stefano Cingolani

Discontinuità e Ribaltone. Iva e Manovra. No che forse diventano Sì. Abbecedario politico aggiornato

A - Avvocato, come Giuseppe Conte: lo era del popolo e lo è diventato di se stesso. Poi Donald Trump a Biarritz lo ha promosso avvocato dell’Italia intera. Cosa farà adesso? Aveva giurato di difendere gli umiliati e offesi. Finora ha difeso il reddito di cittadinanza che doveva abolire la povertà (Luigi Di Maio) e quota 100 che doveva liberare dal lavoro (Matteo Salvini), ha difeso il decreto sicurezza e il blocco dei porti che non era un blocco, anche se nei momenti peggiori dello scontro con le ong ha chiesto che scendessero a terra i minorenni. Con l’Unione europea, più che l’avvocato ha cercato di fare il giudice di pace e a Bruxelles lo hanno apprezzato. Fin dallo scorso autunno, durante il braccio di ferro sulla legge di Stabilità, Conte, sotto l’occhio distaccato, ma tutt’altro che distratto, di Sergio Mattarella, ha formato una troika con Giovanni Tria e Enzo Moavero per assorbire i colpi di Salvini. Ne è uscito un deficit del 2,04 per cento anziché del 2,4, una mossa da vero azzeccagarbugli. Il culmine della sua attività politico-forense è stato il discorso al Senato prima delle dimissioni, un’arringa ciceroniana: usque tandem Matteo?

 

  

B - Bis. La crisi politica è ruotata fino all’ultimo attorno a un secondo mandato per il presidente del Consiglio. Il bis Conte, è stato fatto ingoiare a Nicola Zingaretti (vedi alla voce discontinuità). Non ci sarà un vicepresidente bis, però sul tavolo del governo giallorosso c’è un bis per ogni pentastellato. Certo, Di Maio scende le amare scale, ma comunque raddoppia. Ciliegina sulla torta, avremo anche il Casalino bis? Rocco non ha mollato Giuseppe nemmeno nei momenti più intimi (resta nelle cronache l’aum aum con Angela Merkel). Nei secoli fedele.

 

C - Conti pubblici. Si tutelano quando si sta all’opposizione, ma quando si va al governo si cerca il consenso. Lo ha scritto Guido Crosetto, il gigante buono della destra. Pd e M5s soffrono entrambi di spesite acuta. Hanno giurato di rispettare i vincoli di bilancio, eppure sembrano i personaggi di una commedia goldoniana: come Arlecchino declamano a voce alta in faccia al pubblico la falsa verità, poi, bisbigliando e ammiccando, svelano quella vera. Rispuntano, così, tutte le eccezioni che neutralizzano la regola, a cominciare dalla spesa in deficit già mantra dei governi precedenti. I giallorossi non battono i pugni sul tavolo (quale poi?), non gridano al gomblotto pluto-giudaico-massonico né attaccano a testa bassa i diktat della eurocrazia, però cercano ugualmente di sgattaiolare. La forma è importante, la buona educazione è fondamentale, il bisbiglio è meglio del rutto. La sostanza è che saranno loro a sfondare il fatidico tetto del 3 per cento?

 

D - Discontinuità. La voleva il Pd. Invece l’unico discontinuo sembra Zingaretti, il quale mette al governo se non proprio gli uomini a lui vicini, almeno quelli lontani da Renzi (vedi alla voce Leopolda). Si è consumata l’ennesima rottura con l’inquieto Calenda, tuttavia il segno forte di discontinuità, un nuovo capo del governo, non è passato. Il fatto è che il Pd ha rischiato di dover ingoiare niente meno che Di Maio e non sarebbe stato gradito non solo al “popolo piddino”, ma nemmeno al Colle che in questi 14 tribolati mesi ha imparato a conoscere il capo politico delle Cinque stelle ormai cadenti.

 

E - Estate pazza con una crisi da ombrellone. E’ cominciata il 3 agosto con Matteo Salvini in costume da bagno e caipiroska a far ballare le cubiste sulle note dell’Inno di Mameli; è maturata cinque giorni dopo con il voto parlamentare pro Tav che schiaffeggia in pieno volto i pentastellati; è esplosa in Senato martedì 20 agosto. In soli 17 giorni la mongolfiera leghista è tornata sulla terra. Ma le meraviglie non finiscono mai. E tra le sorpresone spicca la svolta andreottiana di Beppe Grillo, perché è lui ad aver girato di 180 gradi il timone poco prima che la sua barca si sfracellasse sugli scogli.

 

 

 

F - Forni. Sono due, ma possono essere anche di più. Il M5s, ansioso di diventare il nuovo centro della politica italiana, ha preso a prestito la Realpolitik, anche la sua espressione più sublime cioè la teoria dei due forni equivalenti per cuocere il pane del potere. Portando alle estreme conseguenze la diplomazia di scuola romana dei due Giuli (Giulio Mazzarino e Giulio Andreotti) si scopre che i forni sono tre, o forse quattro, chi più ne ha più ne metta. Non solo Lega e Pd, ma, perché no, tutte le varianti intermedie, con gli indipendenti, le frange di destra e di sinistra, i berlusconiani pentiti, i democristiani di ritorno, i convertiti dell’ultima ora. Se la politica è un’arte, siamo al gran ritorno del surrealismo.

 

G - Gesuiti. Sono entrati in tackle scivolato con Antonio Spadaro nella parte di “carrarmato” Cannavaro. Il direttore di Civiltà Cattolica, “braccio destro di Papa Francesco”, non smette di sottolineare Libero, ha rotto ogni argine: “La Lega da verde è diventata nera – ha detto – Ho visto in pericolo la dignità umana e l’amicizia sociale”. Quanto a Pd e M5s, “stanno percorrendo la strada giusta”. La pietra dello scandalo riguarda la politica migratoria, ma non solo. E non ci sono rosari né Medjugorje che tengano. Il ricorso ai simboli religiosi si è rivelato un boomerang. Non che i cattolici italiani la pensino come il pugnace gesuita. Sono divisi, molti di loro smarriti, tuttavia non stanno nemmeno con la lobby vatican-americana che, secondo le ultime indiscrezioni, vuol far dimettere Jorge Bergoglio, 266esimo pontefice della Chiesa cattolica.

 

H - Hotel. Il governo, con questa crisi più che mai, è come l’hotel California. Tutti vi trovano posto, c’è champagne in ghiaccio, specchi sui soffitti, si può prendere e lasciare la stanza quando si vuole, ma non è possibile uscirne. Nella canzone degli Eagles era la metafora di una trappola psico-metafisica, qui e ora diventa un patto faustiano con il potere. Altro che casta.

 

I - Iva. Il nuovo governo nasce per evitare che scatti la clausola di salvaguardia, ma forse l’imposta sul valore aggiunto aumenterà comunque. Sono 23,1 miliardi di euro per il 2020, ma ben 28 miliardi per il 2021. Porrebbero slittare sine die come sperava il governo gialloverde convinto dai calcoli di B&B alias Borghi & Bagnai? Si può ridiscutere il fiscal compact che l’Italia non ha mai rispettato? E’ tutto da vedere, intanto i paesi nordici puntano i piedi. Dunque, bisogna trovare le risorse e occorre far presto, manca poco più di un mese per presentare la nuova legge di Bilancio. Realisticamente si dovrà annacquare se non rinviare qualsiasi riduzione delle imposte dirette, oggi come oggi non c’è spazio nemmeno per il salario minimo per legge, che manda in sollucchero Maurizio Landini, il quale ha schierato la Cgil in un nuovo collateralismo giallorosso. La politica fiscale per il 2020 sarà all’insegna del rigore, il resto è rinviato (vedi alla voce manovra).

 

L - Leopolda, è lo spettro che s’aggira per i palazzi. Il luciferino Renzi, dopo aver rimescolato gioco e giocatori, adesso prepara una Leopolda a ottobre per fondare il proprio partito e far cadere il governo l’anno prossimo, alla faccia del Pd; lo ha scritto Federico Geremicca sulla Stampa. Forse non avverrà mai, tuttavia quel che conta non è l’essere, ma l’apparire.

 

 

 

M - Manovra. Andrà fatta mentre cova la recessione e ci vuole davvero un gran manovratore. Sarà colpa della Merkel (sempre lei) o dei gialloverdi, ma adesso tocca ai giallorossi rimediare. Tria tomo tomo cacchio cacchio aveva preparato il terreno. Tanto che si è presentato serafico al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini. Tutto sotto controllo. Le entrate vanno meglio del previsto, e anche le spese perché c’è un risparmio di alcuni miliardi per pensioni e reddito di cittadinanza. In realtà per il suo successore sono guai seri: con il pil che scende salgono solo le promesse non mantenute.

 

N - No. Tutti i no di prima, diventano adesso sì? Sarà si alla Tav? E alla Tap? Intanto rispunta il no alle trivelle nonostante il flop del referendum tre anni fa. Ad Acerra chiude per manutenzione il termovalorizzatore e sono stati individuati quattro siti di stoccaggio. Apriti cielo, scoppia la protesta e con i Cinque stelle c’è anche “il popolo del Pd”. Ma attenzione, ora è la destra a dire no, forzisti e leghisti adesso tuonano contro la terra dei fuochi. E l’Ilva? La si chiude o la si ristruttura senza ulteriori bastoni tra le ruote? Di Maio ha giocato sull’ambiguità, cercando di nascondere le carte. Davide Casaleggio ha messo in moto Rousseau, la sua bestia, i puri e duri rumoreggiano, Di Battista amoreggia con Salvini. E’ la politica bellezza.

P - Poltrone. Chi le vuole e non le ottiene, dice sempre così: lo fanno per le poltrone. Adesso frigna Salvini che le aveva e se le è giocate come un pollo al poker americano. In ballo ce ne sono davvero tante. Non solo il governo e il sottogoverno, ma l’intero mondo delle partecipazioni statali è in scadenza di qui alla prossima primavera. A cominciare dai colossi: Eni, Enel, Leonardo e via via, ben 70 posizioni di comando attendono il prossimo governo in un crescendo che arriva fino al presidente della Repubblica nel 2022. Ammesso che questo Parlamento sopravviva davvero così a lungo.

 

 

  

Q - Quirinale. E’ l’alfa e l’omega dell’intera operazione. Si è detto fin dall’inizio che non si poteva lasciare a un Parlamento dominato dal Capitano la scelta del nuovo inquilino al Quirinale, perché il vero obiettivo di Salvini è cambiare la Costituzione, varare una Repubblica presidenziale e farsi eleggere dal popolo, un po’ Putin un po’ Maduro. Sarà vero? Il capo della Lega ha una strategia di lungo periodo o campa con i sondaggi della Bestia? Difficile rispondere. Mattarella si è tenuto fuori da speculazioni e possibili fuochi incrociati. Ha fatto il pivot della crisi. Se Giorgio Napolitano è stato un vero e proprio artefice in più occasioni nell’estate-autunno 2011 o dopo la non vittoria del Pd alle elezioni del 2013, Mattarella ha agito come il giocatore di basket che aspetta la palla sotto il cesto e poi la passa a chi meglio può far canestro. Si è messo così al centro della scena, senza prendersi la nomea di interventista.

 

R - Ribaltone. E’ l’accusa di Salvini secondo il quale covava da tempo, anzi era stato preparato in combutta, ça va sans dire, con l’arcinemico Emmanuel Macron e con Angela Merkel sua sodale. Quelle parole di Conte all’orecchio della Cancelliera, non sono una prova schiacciante? E il chou chou di Biarritz? Il copione sembrava ben congegnato, finché non è arrivato l’imprevisto appoggio niente meno che di Trump. Una coltellata alla schiena. E’ lo stesso Trump che Salvini aveva eletto a proprio idolo subito dopo Vladimir Putin, il presidente americano al quale aveva strappato un selfie e che ha cercato disperatamente di incontrare affidandosi, senza capirlo, a quelli che sono ormai gli uomini sbagliati. Se ribaltone c’è, vuoi vedere che è maturato tra villa Taverna e la Casa Bianca?

 

S - Smontare. E’ l’eterno vizio dei governi italiani che smontano e non rimontano. Zingaretti ha esordito proprio così: dobbiamo smontare le leggi del governo gialloverde. Poi a mano a mano che il negoziato andava avanti, è sceso a più miti consigli. Il reddito di cittadinanza non va gettato nel cestino, ma può essere aggiustato e integrato; quota 100 si è rivelata un disastro, ma in fondo meglio così perché si sta spendendo meno del previsto. Il decreto sicurezza quello no, quello va smontato per davvero. Ma come? Con il cacciavite di Marco Minniti o con il martello di Laura Boldrini?

 

T - Trasparenza. Sarà la crisi politica più trasparente del dopoguerra, ha detto Conte, ma al momento in cui scriviamo tanto resta ancora opaco. Nei due partiti nemici che diventano alleati si combatte senza esclusione di colpi. Nel Pd le varie correnti sono in fibrillazione, a cominciare dai renziani che sono la maggioranza tra gli eletti in Parlamento. Quanto ai pentastellati, si consuma la rottura al vertice tra il fondatore e l’erede che pensava di aver fatto suo il movimento per diritto dinastico. Trasparenza è una gran bella qualità, meglio tenerla per un futuro migliore.

 

U - Ursula, come Frau von del Leyen. La nuova presidente della Commissione europea sarà molto importante per il futuro governo italiano. Se passerà a Bruxelles la flessibilità nell’interpretazione dei trattati e la voglia di avviare una legislatura riformatrice, allora il malato Italia potrà evitare la cura da cavallo che sarebbe necessaria, ma potrebbe stendere un paese sbandato e confuso. Ursula, la “coalizione Ursula”, è anche la formula politica che ha lanciato la svolta italiana. Se ne è fatto interprete Romano Prodi, anche lui tornato in cabina di regia. E’ la versione alta dell’accordo, quella che avrebbe voluto un’ampia maggioranza, parallela a quella che a Bruxelles ha votato per la candidata tedesca. Ne è uscita una variante minore, tuttavia resta l’obiettivo di fondo: bloccare l’onda nazional-populista, isolare e depotenziare Salvini in Italia, Marine Le Pen in Francia. Quanto a Orbán, ha già fatto anche lui la sua svolta al centro, direzione Germania. Come si dice in ungherese ribaltone?

 

V - Vanità. E’ stata più che mai la crisi delle vanità. Salvini a torso nudo in Romagna (non a Predappio ma al Papeete), Di Maio in bermuda, figli, terze mogli e fidanzatine, Dio, patria e famiglie allargate, Conte mai senza cravatta e con la eterna pochette (lui è lui e gli altri sono i descamisados), Di Battista che si toglie il basco da Che Guevara e riscopre la paterna fiamma, il pie’ veloce Renzi che torna in campo, dopo l’ira ecco il vindice Achille.

 

Z - Zero. Azzero tutto: era la minaccia di Di Maio contro la mannaia del doppio mandato. Una volta giurava davanti al tribunale giacobino: mai più del doppio turno in Parlamento. Poi è arrivato Beppe Grillo con il suo vaffa anche ai due mandati: primum vivere. Caduto il sacro vincolo della democrazia popolare, l’operazione è cominciata. Adesso, mano alle tastiere. Chi di piattaforma ferisce di piattaforma perisce? Piange il poeta: “Perì l’inganno estremo… E’ sfumata l’illusione più grande, che io avevo creduto essere eterna”.

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