Il costante e necessario coinvolgimento del Quirinale nella scelta dei ministri
Come si ampliano e si restringono i poteri del presidente della Repubblica. Parla Sabino Cassese
Secondo la nota metafora, i poteri del presidente della Repubblica sarebbero “a fisarmonica”, si ampliano e si restringono. Ma chi decide, e in quali circostanze di ampliarli e restringerli? E quanto si può ampliare la fisarmonica? E’ vero quel che ha scritto Matteo Renzi nel volume “Un’altra strada. Idee per l’Italia di domani” (Venezia, Marsilio, 2019, p. 24): “L’ordinamento italiano prevede un ruolo peculiare per l’inquilino del Colle: quando le cose vanno bene, nei fatti, il presidente svolge un ruolo di garanzia, una sorta di moral suasion molto utile ma poco visibile, quando scatta l’allarme per qualche avaria istituzionale, invece assume un ruolo di primo piano”?
Cominciamo dalla dichiarazione “programmatica” dell’attuale presidente, che, il 25 luglio 2019, ha dichiarato: “E’ superfluo ribadire che il Quirinale non compie scelte politiche. Queste competono alle formazioni politiche presenti in Parlamento, necessariamente all’insegna della chiarezza, nel rispetto della Costituzione. Il presidente della Repubblica è chiamato dalla Costituzione – come è noto, come arbitro – al dovere di garantire funzionalità alla vita istituzionale nell’interesse del nostro Paese. L’arbitro non può non richiamare al rispetto del senso delle istituzioni e ai conseguenti obblighi, limiti e doveri”. La Costituzione è completata da consuetudini costituzionali e da precedenti.
Vediamo, allora, quali sono i precedenti, come sono indicati dai protagonisti.
Il primo è quello di cui parla Pietro Nenni nel volume “Gli anni del centro sinistra. Diari 1957-1966”, Milano, Sugarco, 1982, p. 13-14 e 34-38. Presidente era Giovanni Gronchi. Questo, nel 1957, mandava suoi emissari agli uomini politici per far conoscere le sue opinioni. Nel 1959, rinviando il governo Fanfani alle camere, rendeva pubblico un comunicato in cui era scritto “la costituzione di un governo è un problema non soltanto di scelta di uomini ma anche di programma, in funzione delle forze politiche che possono dare la fiducia a questi uomini e sorreggerli per la realizzazione del programma, ma il presidente ha dovuto constatare che nessun orientamento, non soltanto prevalente, ma neppure sufficientemente concreto per una decisione di tanta importanza politica per il paese, è emerso dalle consultazioni concluse nei giorni scorsi e testé completate, con sommo scrupolo, con ulteriori accertamenti”. Una decina di giorni dopo – si legge nei diari di Nenni – “due volte oggi Segni è andato al Quirinale con la lista dei ministri. Due volte è uscito senza l’assenso del presidente”. Ciò vuol dire che, durante una crisi di governo, Gronchi ha valutato sia la congruità del programma, sia la scelta dei ministri.
E non è stata l’unica volta.
Infatti, nel 1961 Gronchi inviava a Fanfani un appunto contenente “Punti di orientamento per la posizione del capo dello Stato”. L’appunto è riportato da A. Fanfani, nei “Diari”, vol. IV 1960-1963, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012, p. 303-305. Gronchi scriveva: “Premesso che il capo dello Stato ha, come tutti gli uomini politici, le sue valutazioni e inclinazioni personali, ma che sa benissimo non essergli lecito patrocinare soluzioni determinate soltanto da queste, va riconosciuto che egli non può né deve sottrarsi alla responsabilità di tirare le conseguenze dal fatto innegabile che esiste una situazione così confusa e ormai così aspramente controversa da arrecare danno al Paese”. Da questa premessa traeva la conseguenza della necessità di una discussione parlamentare, ma poi aggiungeva che le soluzioni erano tre, e le prefigurava, elencando “che cosa può uscire dalla discussione parlamentare”.
Fin qui indicazioni presidenziali in occasione di crisi, quando il presidente diventa il “regista”.
Ancor più significativa la lettera scritta da Oscar Luigi Scalfaro il 9 maggio 1994, in occasione della formazione del primo governo Berlusconi. La lettera è riportata in G. Bianco, “La parabola dell’Ulivo 1994-2000”, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012, p. 34-35, in nota. Lì Scafaro dava indicazioni precise sulla scelta dei ministri: “Coloro ai quali Ella riterrà di affidare responsabilità attinenti alla politica estera dovranno assicurare piena fedeltà alle alleanze, alla politica di unità europea, alla politica di pace”; “colui che sarà preposto quale responsabile del ministero dell’Interno […] non dovrà assumere posizioni politiche in contrasto con i principi di libertà e legalità, nonché i principio dell’Italia ‘una e indivisibile’”[…]; “il governo che Ella si accinge a formare dovrà […] essere rispettoso del principio di solidarietà sociale […]. Berlusconi rispose lo stesso giorno a Scalfaro con una lettera “in agrodolce”, ma dando assicurazioni.
Scalfaro fu l’unico presidente a dare così stringenti indicazioni programmatiche al governo in via di costituzione?
Carlo Azeglio Ciampi seguì il suo esempio, come testimoniato da un suo collaboratore, A. Puri Purini, “Dal Colle più alto. Al Quirinale con Ciampi negli anni in cui tutto cambiò”, Milano, Il Saggiatore, 2012, p. 34-36. Ciampi indirizzò nel 2000 ad Amato e successivamente a Berlusconi una lettera in cui definiva le sue responsabilità in materia di politica estera, non limitate ai tre adempimenti dell’articolo 87 della Costituzione. Scriveva “in mancanza di espressa previsione costituzionale, il coinvolgimento del presidente della Repubblica nella politica internazionale – che postula un dovere d’informazione costante nei suoi confronti, affinché egli sia sempre in condizione di poter esprimere giudizi, esortazioni e valutazioni prima che determinate decisioni vengano adottate in sede governativa – non può avvenire che attraverso contatti tra il capo dello Stato e il presidente del Consiglio e il ministro degli Affari esteri, da mettere in calendario di volta in volta, in ragione degli eventi che li rendano necessari o opportuni”. E aggiungeva che nei contatti con i capi di Stato aveva avuto testimonianze che gli consentivano di “suggerire linee di pensiero e iniziative specifiche su diversi argomenti […]”. Il presidente, in materia di politica estera, giunse più tardi fino a compilare liste di nominativi di possibili ministri. Questo condusse alla nomina di Renato Ruggiero.
E prima nessun presidente “fissò paletti”?
Ci sono altri precedenti. Pertini, il 31 marzo 1980, scrisse a Cossiga richiedendo che “nella scelta dei ministri sarà necessario aver presente non solo la loro competenza, ma anche la loro moralità” e che il potere di proposta “non può considerarsi e non deve essere vincolato da altri soggetti”, terminando con lo scrivere “questa mia lettera potrà esser data in lettura anche ai segretari dei partiti della coalizione governativa”. Lo stesso Cossiga, il 10 aprile 1991, con una lettera indirizzata ad Andreotti che stava formando il governo, scriveva che doveva previamente informarlo delle persone che intendeva proporre, perché Cossiga potesse “esprimere avvisi, consigli e avvertimenti”, anche “sotto il profilo della ‘consonanza istituzionale’ della compagine con il capo dello Stato”, prefigurando anche il “caso limite” del “rifiuto assoluto” e, dopo numerose altre raccomandazioni, facendo presente “l’esigenza di un’adeguata rappresentanza femminile nel governo”.
Dunque, la fisarmonica.
Si, ma con un costante e necessario coinvolgimento del presidente della Repubblica nella scelta dei ministri, che egli deve nominare, secondo la Costituzione.