Non date per finito Salvini, il popolo sta con lui
Il partito è silenzioso. Ma la vera spinta viene dalla base: “È stata una liberazione”. Tutti a Pontida
Non intendono sostituirlo, si preparano a incoronarlo. Nella Lega, tutti dicono che nelle prossime settimane si potrebbe assistere al più straordinario sottosopra, la rovina salutata come rinascita, perché “a volte il miglior modo per prendersi tutto è perderlo”. Matteo Salvini ha lasciato il Viminale, la Lega ha perduto il governo, ma non il suo popolo che si avvinghia con l’approssimarsi della catastrofe che qui chiamano accerchiamento, assedio, (“Come accade nei bombardamenti, le famiglie si riscaldano con il loro fiato”). Insomma, è proprio in questi momenti che “i leghisti tirano fuori le palle” dice Daniele Belotti che per la Lega è l’onda media, la voce di Pontida, come Radio Londra lo era per gli occupati (“E’ vero, sono lo speaker. Spero, anche quest’anno, di avere l’onore di introdurre il segretario”). Dal 1991 è il leghista (ma è anche deputato) che guida la macchina organizzativa del più stravagante ma, ancora, più partecipato raduno di partito che per questa edizione è destinato a superare le attese e fissarsi nella memoria, (“Io lo dico. Secondo me, potrebbe essere la Pontida dei record”). Belotti pensa che il 15 settembre sul pratone verde (“Dove ci siamo ritrovati nonostante il sole a quaranta gradi e il fango alto quaranta centimetri”), i militanti potrebbero alla fine essere più di centomila. Le prove sono state effettuate, il primo di settembre, ad Alzano Lombardo, per la trentesima edizione del Berghem Fest.
Salvini, decaduto da truce, intervistato da Paolo Del Debbio, raccontano si sia commosso quando ha parlato di Roberto Maroni e poi di Umberto Bossi, (in un’intervista rivelò: ‘Mi trattava malissimo’”) fino a promettere: “Dovete solo attendere ma ritorneremo”. Di sicuro torneranno alla vecchia maniera come anticipa Massimiliano Capitanio, deputato di Vimercate, che è spaventato da questo prossimo governo mostro, “ma anche quello precedente, un po’ mostro lo era”. Non resta dunque che urlare contro il “tradimento” di Giuseppe Conte e la “sciagura”, future parole d’ordine di tutta la Lega. “Ma non solo. Racconteremo le complicità di Angela Merkel e di Oettinger”, anticipa Capitanio. Si riferisce al commissario tedesco al Bilancio che subito dopo l’uscita di scena di Salvini è corso a far sapere ai giornalisti che da “adesso ci sarà più disponibilità da parte della Ue nei confronti dell’Italia”.
La sensazione è che la base leghista abbia sempre tollerato l’alleanza con il M5s convinta come era di riuscire a incassare l’autonomia che non ha mai incassato e che oggi torna a essere una bandiera dei governatori. Luca Zaia ha già mobilitato i militanti “per la rivoluzione”. Attilio Fontana non ha dubbi che “Pd-M5s non faranno nulla sull’autonomia”. Nessuno, naturalmente, sfiducerà Salvini e non solo perché, come ripetono nella Lega, “siamo l’ultimo partito leninista”, ma perché tutti riconoscono “che restiamo sempre un partito che Salvini ha portato al trenta per cento e liberato dalla subalternità nei confronti di Silvio Berlusconi. Non torneremo più insieme”. Anche Giulio Cainarca, direttore di Radio Padania, crede, anzi, ha le prove, che la separazione sia già stata metabolizzata. L’imbarazzo, passate le ore, era già euforia da liberazione. Lo ha contabilizzato dalle telefonate che continuano ad arrivare al centralino. “I primi giorni, il popolo leghista si è spaccato come una mela. Metà a favore e l’altra contro. Non tanto per la decisione di Salvini quanto per la tempistica”. Cainarca, ma anche Capitanio, e non è un mistero, dice quello che nella Lega tutti sanno: “Gli imprenditori del Nord non smettevano di chiederci di staccare la spina. Quando l’abbiamo staccata hanno iniziato a dire ‘perché così?’”. E però, questa volta, ad aiutare Salvini è intervenuto il Pd che con la sua decisione ha subito compattato il popolo verde, il quale ha sempre bisogno di una “bestia” da inseguire. La celerità con cui il Pd si è avvicinato al M5s, racconta Cainarca, ha capovolto il sentimento e sciolto le perplessità.
Anche Salvini ha allora iniziato a guardare a Pontida (“il compito di decidere la scaletta tocca a lui” anticipa Belotti). L’evento sta già mobilitando 200 attivisti, si affittano le tensostrutture e si guarda indietro per guardare avanti: “Potrebbe essere, per spirito, simile alla Pontida del 1995. Era un momento drammatico” ricorda Belotti, ma poi riflette e precisa che “no, ancora più drammatico fu la Pontida del 2017 quando tre giorni prima scattò il sequestro dei conti della Lega”. Riuscirono a organizzarla ugualmente rimandando i pagamenti ai fornitori (“che poi abbiamo onorato”). Nelle intenzioni della Lega, a Pontida, si dovrebbe capovolgere la sorte e da assediati tornare barbari.
Dopo Pontida seguirà quella che chiamano una “gazebata”, la domenica successiva, in tutta Italia in vista dell’appuntamento di Roma del 19 ottobre.
Salvini non è caduto nell’errore, almeno per il momento, di chiamarla “marcia” dopo essere inciampato nei “pieni poteri”. Sarà una giornata “per esprimere compostamente la nostra voglia di contare” ha detto Salvini, ma anche per manifestare contro chi “ci ha fregato”, aggiunge Belotti, che non è un quadrumviro, ma senza dubbio un militante del secolo scorso e per questa ragione “l’appoggio al segretario è totale. Indiscutibile”. Nella Lega la caduta di Salvini precede solo l’Elevazione.