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Dall'Istituto Gramsci al Fiscal Compact. La lunga marcia di Gualtieri

Stefano Cingolani

Politico, non tecnico. Il ministro dell’Economia sa come si sta seduti in Europa. Pagherà in flessibilità

Roma. No, non è un economista, ma uno storico. Non è un tecnico, ma un politico competente. Senza scomodare Max Weber, va detto subito che Roberto Gualtieri ministro dell’Economia, piace a Christine Lagarde, anche lei una politica competente. La prossima presidente della Banca centrale europea ieri gli ha reso “omaggio” pubblicamente durante la sua audizione alla commissione Affari economici del Parlamento europeo che proprio Gualtieri presiede, “per il lavoro svolto su mercato dei capitali. Anche se il lavoro non è finito”. Madame Lagarde conosce il galateo politico-istituzionale, quindi ha evitato di riferirsi direttamente al nuovo governo in formazione a Roma.

  

I sovranisti salviniani dicono già che Gualtieri non è il ministro della Repubblica italiana, ma del superstato europeo (e ciò vale per l’intero Conte bis). Dicano pure, perché in questo momento è più che mai importante che a Bruxelles e a Francoforte l’Italia abbia amici, alleati e, se possibile, estimatori. Il neo ministro non è un uomo per tutte le stagioni, è stato scelto per questa stagione tempestosa durante la quale l’Italia deve smaltire la sbornia nazional-populista, sia pure con un governo bizzarro che ingloba anche i populisti, o almeno la parte non sovranista. Barocchismi italiani? Piuttosto contraddizioni della politica che non smette mai di stupire, basti guardare a quel che accade a Westminster.

 

Romano, 53 anni, con la passione per la chitarra, Gualtieri è professore associato di Storia contemporanea alla Sapienza, ha scritto libri e saggi sulla storia italiana e internazionale del secolo scorso, è vicedirettore dell’Istituto Gramsci. Proveniente dalla segreteria romana dei Democratici di sinistra nel 2006 è stato uno dei tre relatori che al convegno di Orvieto dove ha preso le mosse il Partito democratico. Eletto eurodeputato nel 2009, non ha fatto mancare la sua attiva partecipazione, anche a livelli di responsabilità, ai processi che negli ultimi dieci anni hanno accompagnato il travaglio e la crisi dell’Unione così come gli europeisti l’aveva sognata e l’avrebbero voluta. Lui non si è risparmiato, tanto che nel 2016 è stato giudicato uno degli otto parlamentari più influenti del Parlamento europeo.

 

Durante il suo primo mandato, Gualtieri, con Elmar Brok, Guy Verhofstadt e Daniel Cohn-Bendit, ha negoziato a nome del Parlamento europeo il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria, il cosiddetto Fiscal Compact. Un’esperienza cruciale, perché proprio questo è il compito più delicato che dovrà svolgere adesso in rappresentanza dell’Italia e dei suoi interessi.

 

Tutti si chiedono che cosa farà per evitare l’aumento dell’Iva o per realizzare la promessa di ridurre le imposte sul lavoro, alternativa giallorossa alla flat tax gialloverde (in realtà più verde che gialla come abbiamo visto). Riuscirà a realizzare, come dice l’accordo di programma, una politica espansiva mantenendo in equilibrio le finanze pubbliche (operazione davvero da funambulo dei conti)? Potrà far partire quegli investimenti che Giovanni Tria non è riuscito a sbloccare, nonostante le sue intenzioni? Tutte domande finora senza risposta. E ogni dubbio è più che legittimo. Ma la vera sfida per il prossimo governo italiano è giocare le proprie carte nella grande partita europea, la cui posta è la riforma della governance nella zona euro e nell’intera Unione.

 

Da quel che ha detto anche ieri Madame Lagarde (i paesi che hanno margini di espansione fiscale li usino), da quel che ha lasciato capire Ursula von der Leyen, dalle indiscrezioni sul dibattito che si è aperto attorno alla revisione, o aggiustamento che sia, del Fiscal Compact, sembra capire che la prossima legislatura europea entra in un’era di flessibilità, dove al primato delle regole si sostituisce quello della politica (e questo vale per la stessa banca centrale). Se significa che prevarrà il mercato delle vacche sarà un disastro, se invece vuol dire che l’Unione europea farà valere il giudizio sostanziale su quello meramente formale, cioè il giudizio che tiene conto delle condizioni concrete, degli equilibro sociali, delle specificità storiche, ebbene si apriranno spazi nuovi anche per l’iniziativa italiana. Bisogna sempre “fare i compiti a casa”, per dirla con una espressione in voga nell’èra del formalismo dogmatico, ma il tema oggi è la crescita, cioè come uscire da una stabilità fittizia che rischia di coincidere con la stagnazione secolare. Se l’Italia ha filo, ebbene che Gualtieri tessa come meglio può.