Sassoli, Gentiloni, Bettini. L'incubatore rosso-giallo: le primarie 2013 a Roma
Uno è presidente del Parlamento europeo. L'altro, dopo essere stato a Palazzo Chigi, si prepara a diventare commissario a Bruxelles. E il terzo, inventore del “marziano” Marino, è uno dei principali teorici del dialogo con il M5s
Roma. Questa stagione politica, fra Europa e governo, almeno sul fronte Pd, ha molte storie e origini al proprio interno. Nell’esecutivo c’è la prevalenza del franceschinismo, come dimostra il ritorno di Dario Franceschini alla guida del ministero dei Beni culturali. C’è la prevalenza della storia e dell’eredità dalemiana, come raccontato ieri sul Foglio spulciando i curricula dei neo-ministri, da Roberto Gualtieri a Enzo Amendola, con un passato nella Fondazione ItalianiEuropei.
C’è però anche un’altra origine, o meglio un episodio politico: le primarie del Pd di Roma del 2013, quelle per scegliere il candidato sindaco. Il lettore, stropicciandosi gli occhi, si starà forse già chiedendo dove vogliamo andare a parare. Ci arriviamo subito. Il 7 aprile 2013, si svolsero le primarie del Pd. E a rileggere i nomi dei protagonisti che vi parteciparono si scopre che hanno fatto parecchia carriera (tranne uno). Il terzo arrivato alle primarie fu Paolo Gentiloni, che poi ha fatto il ministro degli Esteri, il presidente del Consiglio e adesso va a fare il commissario europeo indicato dal nuovo governo. Chiunque altro sarebbe rimasto schiacciato dal risultato non eccellente di sei anni fa (14 per cento), ma Gentiloni ha dimostrato una notevole capacità di resistenza, al punto di arrivare persino a Palazzo Chigi. Il secondo arrivato alle primarie, David Sassoli (28 per cento), è stato eletto a luglio presidente del Parlamento europeo, anche con i voti del M5s, prendendo il posto di un altro italiano, Antonio Tajani.
E il vincitore Ignazio Marino, arrivato primo con il 51 per cento? Qui la continuità con il momento politico di oggi è indiretta, nel senso che riguarda non lui ma il mentore della sua elezione: Goffredo Bettini, l’inventore del “marziano” Marino sindaco di Roma, che poi lo ha abbandonato quando è stato più opportuno per lui. In quest’estate di colpi di sole al Papeete e autocomplotti organizzati da Salvini, Bettini è stato uno dei principali teorici del dialogo con i Cinque stelle, auspicato anche in un’intervista al Corriere della Sera a metà agosto: “E’ un tentativo difficilissimo ma dobbiamo provarci. La bonifica del terreno sul quale si sono gonfiate le vele del sovranismo passa attraverso questo sforzo. Certo, prima vanno create le condizioni, che impongono un confronto senza sconti sul passato e sui programmi futuri, soprattutto tra noi e i Cinque Stelle”.
Si deve convenire, aggiungeva Bettini, “su una scelta europeista netta. Per cambiare l’Europa, certo; ma assumendola come il nostro orizzonte futuro. Occorre abbandonare la strada dell’antipolitica sulla quale non si governa e non si costruisce nulla. E poi bisogna passare dall’assistenzialismo a una visione dello sviluppo innovativa e verde, fondata sul sapere, la scienza, la scuola, la ricerca. Una visione che combatta le tremende ingiustizie che si sono prodotte in Italia”. Insomma, una sorta di manifesto giallo-rosé nato a Roma (preferibilmente Roma centro).
E sarà un caso, ma non ci sono toscani in questo governo. Almeno per il momento (c’è pur sempre tutto un sottogoverno da compilare). Il trionfo di Boris e del suo personaggio Stanis La Rochelle (interpretato da Pietro Sermonti): “Perché con quella ‘c’ aspirata e quel senso dell’umorismo da quattro soldi i toscani hanno devastato questo paese”.