La sinistra a sinistra del Pd può spingere Renzi fuori dal Pd
Quale scintilla può portare l’ex segretario a costruire gruppi autonomi? Contatti tra i renziani e Speranza
Roma. “Non basta essere contro Salvini”, dice oggi Matteo Renzi a poco più di un mese dalla Leopolda. La “Leopolda del decennale”, come l’ha ribattezzata il senatore di Scandicci, potrebbe essere accompagnata dalla gestazione dei gruppi parlamentari renziani autonomi dal Pd (alla Camera si può fare, per il Senato servirebbe il passaggio al gruppo misto), magari con un obiettivo di lungo periodo: incidere nella futura elezione del presidente della Repubblica.
Le motivazioni per Renzi, che pure ieri ha votato sì alla fiducia al Conte II sottolineando “il ritorno da protagonisti nella famiglia europeista”, non mancherebbero. Già ha detto che la squadra dei ministri non è quella dei suoi sogni, poi ha fatto sapere – a vari interlocutori – di essere pronto a formare i suoi gruppi, poi ha parlato con Roberto Speranza, segretario di Articolo Uno e neo-ministro della Salute, dello scambio che potrebbe verificarsi nei gruppi parlamentari: i renziani escono dal Pd e ci ritornano i fuoriusciti di Leu. Così l’ex segretario del Pd avrebbe mani libere nei confronti del nuovo governo, aumentando la propria capacità contrattuale. Qualora il Conte II fosse insoddisfacente, dunque, Renzi potrebbe pure iniziare a bombardare il (nuovo) quartier generale, mestiere nel quale l’ex rottamatore si è specializzato nel corso degli anni. “Diciamo la verità la politica italiana è incomprensibile. Il Pd fa l’accordo con i 5S e Leu come voleva Renzi. Renzi vota la fiducia al governo e poi fa la scissione dei gruppi parlamentari”, dice sbigottito Carlo Calenda.
Della possibilità di un ritorno di Leu nel Pd si parla da mesi. Da quando Nicola Zingaretti ha vinto il congresso. Dentro Articolo Uno se ne discute. C’è chi fa notare che stando all’opposizione sarebbe stato più semplice (e probabilmente più conveniente). Adesso bisogna valutare molto attentamente. Anche perché la maggioranza di governo è composta da Pd-Cinque stelle e Leu. Se avvenisse lo “scambio” di cui hanno parlato parlamentari vicini a Renzi e a Speranza, nascerebbe un governo Pd-Cinque stelle-Renzi. Per la sinistra forse potrebbe essere meno conveniente, in termini di rappresentanza politica, almeno per il momento. Adesso, per esempio, alle riunioni dei capigruppo della maggioranza, Leu potrebbe partecipare; se sparisse ci andrebbero soltanto i vertici di Camera e Senato del Pd e dei Cinque stelle, più eventualmente i capi renziani. Comunque, niente sembra escluso. Solo che potrebbe servire del tempo.
D’altronde, dice al Foglio Nico Stumpo, deputato di Articolo Uno, “l’ambizione per cui nasce Articolo Uno è la ricomposizione della sinistra e del centrosinistra in Italia. Oggi c’è una opportunità in questa direzione data dall’alleanza politico-parlamentare che ha dato vita al governo Conte 2. Questa può trasformarsi in una nuova alleanza politica? Certamente non nel breve periodo, però bisogna lavorare per capire come evolve questa alleanza”. Insomma, dice Stumpo, “occorre lavorare a consolidare la maggioranza parlamentare di governo, per provare poi a costruire un’alleanza politica più ampia successivamente”. Magari, ma questo Stumpo lo lascia solo intuire, aprendo anche ai Cinque stelle.
I tempi in politica sono tutto, come spiegava ieri al Corriere il capogruppo del Pd al Senato, il renziano Andrea Marcucci. “Dovesse venire meno la logica maggioritaria sarebbe anche naturale che nascessero prospettive politiche diverse, l’importante è che ci sia il sostegno a questo governo sino alla fine della legislatura. Dopodiché non mi risulta una cosa del genere a breve”. A breve no. Come cantava Giorgio Gaber, “la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente”. Nel frattempo però c’è da discutere della legge elettorale. Ieri negli uffici del Pd al Senato si sono trovati i capigruppo, Graziano Delrio e Andrea Marcucci, il capodelegazione dei ministri del Pd Dario Franceschini, il responsabile Riforme del Pd Andrea Giorgis, il capogruppo in commissione Affari costituzionali del Senato, Dario Parrini. Prossima fermata proporzionale? Parrini lo conferma con una domanda: “C’è un altro modo per correggere megadistorsioni prodotte da taglio numero parlamentari se resta la legge elettorale vigente?”.