E' ora di cambiare l'Europa
Il governo della svolta nasce per governare in nome di Bruxelles ma rischia di trasformare l’Ue in un bancomat. Girotondo su un’occasione da non perdere
Il governo che nasce nel Palazzo con la benedizione dell’Europa segna un cambio di passo. Basta scontri frontali, guerriglia verbale, vertici disertati, emarginazione politica. L’Italia torna a contare. La “troika italiana” – con Paolo Gentiloni commissario europeo, Roberto Gualtieri in Via XX Settembre e Vincenzo Amendola ministro degli Affari europei – ha il delicato compito di riannodare il filo del dialogo e della trattativa in vista della manovra d’autunno. L’accoglienza è ottima. Ma il sodalizio brussellese sarà un gioco win-win? Per Massimo Cacciari, il governo rossogiallo “ha la strada spianata per un’intesa più facile con Francia e Germania. Potrà trattare da una posizione di maggiore forza per affrontare i problemi legati all’immigrazione e alla gestione del debito. S’illude però chi crede che l’Europa ci farà favori enormi, non è così. L’Europa non è un signore che decide arbitrariamente: esistono regole che vanno rispettate. Dal punto di vista dei numeri, non mi aspetto un trattamento diverso da quello che sarebbe stato riservato a un esecutivo con dentro Matteo Salvini. E’ infantile pensarlo. Ma il dialogo tra persone che si stimano è più agevole, c’è poco da fare”. Il commissario uscente al Bilancio Günther Oettinger ha fatto sapere che un governo europeista sarà “ricompensato”. “Una gaffe pazzesca che ha dato un po’ di fiato a Salvini. L’Europa non dispensa ricompense, non è un sovrano generoso o malefico a giorni alterni. Esistono trattati e norme da rispettare, punto. Se l’Italia non risolve seriamente la questione migratoria, la canea leghista riesploderà. Se non si dà inizio a un programma di riduzione del debito pubblico l’Europa ci farà le pezze. Bisognerà vedere se questo governo sarà in grado”. Adesso abbiamo tre pezzi da novanta, campioni di europeismo. “Basta con questa retorica europeista, la prego. Anche Conte… non si può sentire”. In che senso? “Fino a ieri era il premier pacifico a suo agio con i sovranisti di cui approvava ogni provvedimento, adesso è un convinto europeista. Che ipocrisia. Il governo di svolta, come dice Nicola Zingaretti, se vuole essere davvero tale deve affrontare i nodi che stanno sul tavolo da trent’anni e che nessun esecutivo ha mai risolto”.
La prossima legge di stabilità ma non solo. La troika del governo italiano in Europa ha un agenda che va oltre la famosa flessibilità
Anche il capo dello stato Sergio Mattarella ha chiesto di riformare il Patto di stabilità: lo diceva Matteo Renzi, e lo dice Salvini, ma con Borghi seduto accanto. “E’ evidente che le regole europee devono essere elastiche per adattarsi alle diverse fasi del ciclo economico. Il modello dell’Eurozona è stato edificato da perfetti monetaristi. Lo dice anche Mario Draghi, l’uomo al quale dobbiamo la sopravvivenza dell’Europa in questi ultimi anni. Magari lo avessero eletto presidente della Commissione…”. L’uomo del “whatever it takes” si appresta a lasciare la guida della Bce. “Se l’Europa è rimasta in piedi all’indomani del caos finanziario greco, lo dobbiamo per il cinquanta per cento a lui. Il problema è la Germania che infatti ha contrastato il piano di Draghi per ridare fiato alla nostra economia”. Il Quantitative easing è estraneo alla tradizione della Bundesbank. “E allora? Non esiste solo la Germania e un’Europa che fa soltanto quello che è l’interesse tedesco non è più Europa. Ad ogni modo, quello che più mi sorprende è che la sinistra non impara mai la lezione. Ho sentito il discorso di Zingaretti alla Festa del Pd a Ravenna: sembra che abbia vinto lui, che abbia mandato lui a casa la Lega quando sappiamo bene che il governo con il M5s l’ha subìto. Assistiamo a trionfalismi senza senso. Sono i vizi eterni e irrimediabili della sinistra italiana. Come si fa a credere che Salvini, e in generale il sovranismo, sia stato sconfitto quando le regioni del nord sono in mano alla Lega?”. L’idea sovranista si fonda sullo iato tra popolo ed élite. Il governo che nasce nel Palazzo senza il bagno popolare ma con la benedizione di Ursula von der Leyen, di Merkel e Macron, rischia di espandere questa frattura? “L’Europa dei giorni nostri non è l’Europa dei popoli, non è l’Europa di Ventotene, non è l’Europa federalista. Ora noi siamo europeisti perché così guadagniamo il favore della cancelliera tedesca, del presidente francese e della Commissione. Ci muoviamo su un crinale scivoloso perché questa impostazione tecnocratica potrebbe trasformarsi in carburante per i sovranisti. Se alle ultime elezioni europee il Pd ha salvato un po’ la pelle ciò è stato possibile perché ha presentato una proposta di riforma delle istituzioni europee. Non ha detto: Europa o morte. Quelli che hanno usato questo slogan non sono arrivati neppure al 4 percento. Quello di Conte è l’europeismo dei palazzi, dei cooptati, dei Calenda. Certo, meglio questa Europa difettosa che lo sfascio dell’Europa vagheggiato dai sovranisti. In politica le parole contano. Guai a dare l’impressione che il problema è risolto perché ti sei messo d’accordo con i potenti”. Salvini è un leader finito? “Il suo è un tentato suicidio. In politica estera ha sbagliato tutto: sarebbe stato l’atlantista per antonomasia, il perfetto filoamericano trumpiano. Doveva essere quella la sua collocazione, invece ha voluto giocare con i russi. Adesso ha dalla sua alcune armi: in assenza di qualche accordo tra Pd e M5s, la vittoria leghista in Emilia-Romagna è possibile; c’è poi il tema della ripresa degli sbarchi non controllati e c’è la questione dell’autonomia. Le regioni del nord attendono una risposta… e che cosa fa il governo della svolta? Nomina ministro agli Affari regionali Francesco Boccia, uno che non ha esperienza in materia, che non ha alcun rapporto con gli Zaia e i Fontana. Siamo all’impazzimento collettivo”. Chi avrebbe visto lei in quel ruolo? “Serviva una personalità come Sergio Chiamparino o Piero Fassino, uno che avesse autorevolezza e conoscenza del dossier e dei protagonisti”.
Cacciari: “Il crinale è scivoloso e un’impostazione tecnocratica potrebbe trasformarsi in carburante per i sovranisti”
Per il direttore di Huffington Post Italia Lucia Annunziata, “il Conte 2 nasce all’insegna del rapporto tra Pd ed Europa, più che dell’Europa in quanto tale. Si è perfezionato uno scambio politico: con la triade Gentiloni-Gualtieri-Amendola il Pd rappresenta il governo in Europa. Conte è l’uomo scelto dall’establishment europeo per portare a segno questa operazione. E’ difficile non riconoscere l’abilità del premier, non meno va riconosciuta la sua debolezza politica”. Il presidio Pd a Bruxelles ci garantirà un trattamento privilegiato alla vigilia della manovra? “Il percorso verso la legge finanziaria sarà più facile, del resto questo è il vero motivo per cui nasce il governo. L’Europa della von der Leyen ha cambiato tattica: ha ingaggiato la battaglia anti sovranista e, come contropartita, ha allentato il suo ruolo di poliziotto cattivo. Christine Lagarde, per lungo tempo guardiana dal Fmi, è arrivata alla Bce per affermare pubblicamente che non ci sarà più un caso Grecia. Perché ciò accada, servono governi affidabili. Nel lungo periodo questa impostazione che bypassa il voto popolare potrebbe rivelarsi dannosa. Un cambio di governo così brusco potrebbe finire per polarizzare di nuovo il paese. E questo sarebbe carburante per i sovranisti. L’Europa che dice ‘se cambiate governo vi concediamo maggiore flessibilità’ conferma involontariamente quello che dice Salvini, e cioè che le regole non sono scritte nella pietra ma si possono cambiare se c’è la volontà politica. Sia chiaro: non c’è stato alcun complotto ma si è consumato un fatto politico. Il leader della Lega ha sottovalutato la capacità di reazione dell’Europa. E’ difficile dimenticare che all’inizio della sua ascesa Salvini perorava la causa dell’uscita dall’Ue, dopo ha cambiato idea ma resta la diffidenza reciproca, il clima di scontro continuo, e infine la reazione europea. Perché mai Merkel e Macron, vale a dire il governo d’Europa, avrebbero dovuto concedere un vantaggio economico al loro nemico?”. Certo, l’esecutivo rossogiallo poggia su fondamenta fragili. “Se il Pd è un amalgama mal riuscito, qui non siamo neanche all’amalgama. I due alleati non hanno niente in comune e dopo quarantott’ore Luigi Di Maio ha convocato il suo Consiglio dei ministri alla Farnesina, il che la dice lunga sul clima interno. Il punto critico sarà la manovra: se riescono a far ripartire l’economia e a mettere un po’ di soldi nelle tasche degli italiani, potranno durare; in caso contrario, avranno vita breve”.
Fabbrini: “Gentiloni usi la sua forza per dare una risposta a una domanda: si può avere una moneta unica senza un bilancio unico?”
Per Sergio Fabbrini, direttore del dipartimento di Scienze politiche alla Luiss G. Carli: “Gentiloni usi la sua reputazione in Europa non per aiutare l’Italia ad ottenere più flessibilità finanziaria ma per far avanzare un nuovo punto di vista. Gentiloni, e la ‘troika italiana’, come la chiamate sul Foglio, dev’essere uno strumento del cambiamento europeo. Di flessibilità ce n’è già abbastanza. Piuttosto domando: si può avere una moneta unica senza un bilancio unico dell’Ue? Può esistere una Bce che è il governo della moneta con diciannove diversi governi della politica monetaria? Per un paese come l’Italia è difficile avere un governo non coerente con le regole che organizzano l’Ue. Il Conte 2 è l’esito di una difficoltà strutturale a rompere con quel sistema. La logica, gli interessi, le pressioni che spingono un paese come il nostro a stare dentro l’Ue sono molto più forti delle ideologie che possono emergere in un dato momento storico, come quella leghista o sovranista. La politica domestica e quella europea sono sempre meno distinguibili. Noi abbiamo condotto alcune ricerche empiriche: il grado di compenetrazione tra le decisioni italiane e quelle europee è tale che è difficile uscirne. Vale anche per la Gran Bretagna che infatti continua a rinviare la Brexit”. Insomma, Salvini, o quantomeno alcuni dei suoi, hanno giocato troppo con l’idea di Italexit. “Esatto. La politica europea non è politica internazionale ma è politica interna e ha portato a un ridimensionamento del ministero degli Affari esteri. Oggi c’è una nuova centralità della presidenza del Consiglio perché i due protagonisti di questo intreccio sono il premier e il ministro dell’Economia. Chiunque vinca le elezioni deve sapere che non può uscire dall’Ue così come non può uscire dalla politica nazionale. Disertare i vertici a Bruxelles vuol dire non governare il paese. Questo è il quadro strutturale di cui una parte della nostra élite politica non è consapevole. Salvini ha fatto forse dei calcoli sbagliati ma l’errore di fondo della sua leadership, a mio giudizio, sta nel non aver compreso questo grado di compenetrazione e interdipendenza. Esistono diversi modi di essere in Europa: c’è un modo di rassegnata accettazione, c’è un atteggiamento di europeismo passivo, poi c’è un atteggiamento di europeismo vantaggioso (tipico della Germania che ha fatto prevalere una posizione conservativa dell’esistente in quanto favorevole ai suoi interessi economici, sociali e politici, e il campione di questo orientamento è la neo ministra e segretaria della Cdu, Annegret Kramp Karrembauer, fedelissima della cancelliera Merkel); esiste poi un atteggiamento riformatore: io sostengo che l’Eurozona vada accettata e considerata come il risultato di compromessi, idee, combattimenti, argomenti, lotte, persuasioni. E’ un luogo di confronto, non di accettazione passiva. Chi ha cercato di incarnare questo progetto riformista è stato il presidente Macron ma in solitudine: la Spagna non riesce a trovare un equilibrio stabile, l’Italia aveva un governo sovranista dichiaratamente ostile. Oggi, con il nuovo esecutivo il nostro paese può convergere con la Francia su un’agenda di riforme: rafforzare il budget comunitario, pari all’un per cento del pil europeo, da impiegare in funzione anticiclica; avere una politica migratoria comune essendo entrambi i paesi esposti sul Mediterraneo. Italia e Francia rappresentano il versante dell’Europa meridionale, il più penalizzato dalla crisi economica”. Resta la questione delle politiche fiscali da armonizzare. “Io credo che dalle tasse possa aprirsi una fase del tutto nuova. Non basta chiedere più solidarietà, l’approccio dev’essere diverso e deve partire dalla questione fiscale. La battaglia strategica è quella di inserire una tassazione europea autonoma che non si aggiunga alle tasse nazionali: si possono tassare, per esempio, attività particolarmente inquinanti o transazioni finanziarie o la web tax. Noi dobbiamo dotare l’Europa di risorse davvero autonome, che non dipendano dagli stati membri. Il passo successivo riguarderà chi gestisce queste risorse: l’Eurozona deve dotarsi di un’autorità democratica. Oggi è governata dall’Eurogruppo ma serve un vero esecutivo dell’Eurozona che tenga conto anche del Parlamento europeo”. Messa così, si direbbe che il successo della “troika italiana” non è affatto scontato. “Voglio dirlo chiaramente: c’è una gigantesca responsabilità delle élite se siamo al punto in cui siamo. Il fatto che i mercati siano a favore del governo italiano riduce lo spread e ti fa risparmiare, ma il governo deve parlare innanzitutto ai cittadini, non ai mercati. Mi rendo conto che l’Europa non è facile da capire ma dobbiamo smetterla con lo scaricabarile. L’Europa viene costantemente rappresentata come il ‘vincolo esterno’: ce lo chiede l’Europa, si dice. Ma la riforma della Pubblica amministrazione, dell’università, il taglio delle spese clientelari vanno realizzati perché servono al nostro paese, non perché ce lo suggerisce qualcuno a Bruxelles”.
Fubini: “La necessità di stare in Europa deve essere correlata con una politica in cui le questioni sociali siano affrontate e risolte”
Per il giornalista del Corriere della Sera Federico Fubini, “bisogna anzitutto sgombrare il campo da un equivoco: non è vero che il governo passato non abbia ottenuto concessioni dall’Europa. A ben vedere, il governo gialloverde ha goduto di flessibilità, e lo confermano alcuni dati: aumento costante del debito, mancata riduzione del deficit, le procedure di infrazione sono state minacciate e sempre ritirate con concessioni non drastiche. Si può dire che i due contendenti, Bruxelles e Roma, si siano incontrati a metà strada, o forse qualcosa in più”. Per il 2019 i gialloverdi puntavano a un rapporto deficit/pil del 2,4 per cento, alla fine è calato al 2,04. “Il debito è aumentato e la convergenza verso il pareggio di bilancio non c’è mai stata. La Commissione uscente è stata abbastanza indulgente con l’Italia, per cui affermare che adesso ci saranno concessioni maggiori è illusorio. Tenere a bordo l’Italia è importante perché siamo un paese grande e il disordine finanziario da noi fa paura. Il Patto di stabilità prevede che nelle fasi di ripresa ogni stato membro s’impegni a convergere verso il pareggio di bilancio ma praticamente questo non accade mai, e la dimensione, come nel nostro caso, ti dà leva politica. L’Europa cercherà sicuramente di dare una mano al nuovo governo. Non la metterei però sul piano delle preferenze politiche, diciamo piuttosto che la gente è contenta di non avere a che fare con Salvini”. Flessibilità, con juicio. “Si tratta di una partita di costi politici: quando operi un aggiustamento in un paese, togli soldi a un sacco di gente. Ci sono sgravi fiscali che vanno a più di dieci milioni di residenti. Se fai concessioni agli italiani, produci un costo politico nel resto del sistema. Il cittadino tedesco con un mini-job in Sassonia vede che forse domani dovrà pagare per il salvataggio dell’Italia. Ciò è gravido di conseguenze per il governo tedesco”. Le parole di Oettinger sulla “ricompensa” per il governo europeista sono un autogol? “Io concordo con Mario Monti: è un errore marchiano. La Commissione è organo di arbitraggio e non può comportarsi come un partito. Se lo fa, perde legittimità. Io non sono mai stato tra quelli che facevano il tifo per lo spread: il suo aumento vuol dire l’impoverimento degli italiani, per non parlare dell’impatto su fiducia, banche, creazione di posti di lavoro. Se lo spread sale, il rischio di recessione impenna”. Con i rossogialli al governo lo spread è in calo. “Negli scorsi mesi la gente non ha capito a che gioco il governo stesse giocando: la partita europea per restare in Europa o quella dell’Italexit? Lo spread è crollato non perché gli investitori si aspettino un deficit più basso ma perché il rischio di vedersi rimborsati in lire è calato”. Il governo voluto dall’Europa può trasformarsi in un boomerang per il “fronte Ursula”? “La persona che più di tutti ha voluto questo governo si chiama Salvini. L’esecutivo è nato tra la spiaggia di Sabaudia e il Papeete di Milano Marittima. Se il governo riuscirà a far capire alle persone che sta lavorando concretamente per loro può funzionare, altrimenti prevarrà la percezione che non funziona e che serve solo a conservare lo scranno in Parlamento”.
Tra i più critici sulla nascita del governo rossogiallo spicca Emanuele Macaluso che aveva suggerito a Zingaretti di optare per il voto anticipato: “A mio giudizio, se questa soluzione pasticciata ha una sola nota positiva è il riavvicinamento dell’Italia all’Europa. Se pensiamo al clima di guerriglia alimentato da Salvini contro l’Europa, vista come la fonte di ogni male italiano, è un bene che le cose siano cambiate. I sovranisti dicevano peste e corna dell’Europa, minacciavano di uscire dall’euro, e nessuno piglia schiaffi porgendo l’altra guancia. Stabilire un nuovo dialogo con Bruxelles non vuol dire diventarne schiavi ma instaurare un rapporto dialettico. Per cambiare l’Europa devi costruire alleanze”. Conte è diventato, di colpo, un fiero europeista. “Ho ascoltato il suo discorso di insediamento, direi che è anche diventato il presidente del Consiglio, prima non lo era. Fino a ieri si limitava a curare il rapporto con Merkel, con Macron, con i commissari europei per evitare le infrazioni… per il resto non è mai stato un presidente. L’impegno collettivo, non solo dell’Italia, è quello di restituire all’Europa un’immagine e una politica in grado di ancorarla agli interessi popolari. Senza l’Europa non c’è speranza: siamo nudi di fronte alle grandi potenze. Questa necessità di stare in Europa deve essere correlata con una politica in cui le questioni sociali, quelle che toccano gli interessi di fondo delle masse popolari e lavoratrici, siano affrontate e risolte”. La presidente von der Leyen ha proposto il salario minimo europeo. “Io darei la priorità alla lotta al sommerso, lo dico da uomo di sindacato che seguiva la questione dei braccianti del sud Italia già negli anni Cinquanta. Lottare in nome della legge contro la legge è sempre un atout per chi vuole cancellare le vergogne che sono riemerse in maniera impressionante. Il sotto-salario, il nero, i caporalati, i braccianti trattati come schiavi. Bisogna lottare, e l’Europa deve essere in prima fila”.