Beffe di sottogoverno
Vice e sottosegretari. Incroci pazzi, nemici che si ritrovano. La Lega prova a spaccare il Pd e il M5s sulla Gronda
Roma. C’è chi l’imbarazzo per la nuova convivenza non può nemmeno dissimularlo, visto che ce lo ha lì, scolpito sulla sua pagina Facebook. “Le dichiarazioni del ministro De Micheli preoccupano, darebbero il via a una lotta molto dura con il M5s ligure”, scriveva Roberto Traversi, appena una settimana fa, quando ancora non sapeva che quel ministro sarebbe stato il suo diretto superiore, al dicastero dei Trasporti dove il 49enne architetto chiavarese, tifoso dell’Entella ma eletto a Genova, andrà a svolgere le funzioni di sottosegretario. Lo farà insieme a Giancarlo Cancelleri, paladino del grillismo in terra sicula che si trasferirà a Roma per vigilare sul rispetto delle esigenze infrastrutturali del sud: un imperativo così categorico, per il M5s, da aver permesso al già due volte candidato alle regionali dell’Isola di abbandonare il suo scranno all’Ars.
Horribile dictu, fino a qualche tempo fa, quello del “Vaffa” e della diversità antropologica, quando il “salto di poltrona” (cit.) era severamente proibito: “Ogni portavoce eletto porta a termine il suo mandato e durante il suo svolgimento non può candidarsi a svolgere altre cariche o ad assumere altri incarichi”, sentenziava Beppe Grillo nel maggio del 2017. Ma i tabù sono fatti per essere sfatati, e del resto a Porta Pia bisogna presidiare il fortino lasciato sguarnito da Danilo Toninelli e divenuto subito preda da quella “cricca del cemento e delle lobby” che è il Pd: e anche per questo deve essere sembrato opportuno scegliere su uno degli animatori del movimento No Gronda, come Traversi, per il ministero che la Gronda dovrebbe realizzarla. E non a caso Riccardo Molinari, capogruppo della Lega a Montecitorio, già si sfrega le mani mentre prepara, insieme al genovese Edoardo Rixi, una mozione parlamentare a favore dell’opera che il Pd vuole e i grillini no.
Ma in fondo, anche per guidare il Dipartimento per la Programmazione economica e gli investimenti è stato scelto il senatore Mario Turco, docente all’Università del Salento e stimato commercialista, che però si è distinto in questo anno e mezzo di legislatura (oltreché per i bisticci con Laura Castelli, che lo hanno spinto a lasciare anzitempo la commissione Bilancio per traslocare nella Finanze) per le sue battaglie sull’Ilva di Taranto: anche quelle che – ad esempio la lotta contro “quell’assurdo privilegio dell’immunità penale ad Arcelor” – hanno rischiato di portare alla chiusura dello stabilimento tarantino.
Al Mef, invece, la perfidia del caso è stata perfino eccessiva, e così il gioco dei destini incrociati costringerà Alessio Villarosa – che spera di riottenere le deleghe alla Banche e ai Mercati finanziari – a convivere con Pier Paolo Baretta, il quale al Tesoro c’era già stato nella precedente legislatura e aveva firmato un decreto a favore dei risparmiatori coinvolti nel crack delle popolari venete che proprio Villarosa, non più tardi del novembre scorso, aveva definito “ridicolo”, dopo aver fatto dell’impegno in difesa dei “truffati” il suo motivo di vanto e di consenso. Il tutto, ovviamente, proprio contro quella “sentinella degli affari del Pd” che nella sua precedente permanenza al Mef aveva fatto in tempo a inimicarsi i suoi futuri coinquilini di Via XX Settembre anche per essersi reso responsabile “di quella ignavia e di quell’eccidio sociale” che era la difesa delle slot, “il gioco sporco” di cui il ragioniere veneziano, ex Cisl, era il supremo difensore al punto da meritarsi indignati post sul Sacro Blog con cui si chiedevano le sue dimissioni.
Ci sarà tempo per chiarirsi, certo. Lo stesso che servirà alla neo sottosegretaria all’Istruzione grillina Lucia Azzollina, deputata che proclamava di “voler smontare la buona scuola di Renzi, punto per punto”, per entrare in sintonia con la vice ministro Anna Ascani, che della Buona scuola è stata e rimane la suprema vestale. Anche Alessia Morani avrà il suo daffare per integrarsi coi colleghi del M5s al Mise (dove, nel dubbio, si è andati ad abundantiam: un viceministro e quattro sottosegretari, soluzione che – raccontano a Palazzo Chigi – non è stata troppo gradita dal ministro Stefano Patuanelli, che deciderà nelle prossime ore sulla delicata ripartizione delle deleghe). A Via Veneto la Morani ritroverà non solo Stefano Buffagni di cui, un anno fa, sghignazzava per quell’infausto post con cui il grillino milanese salutava con gaudio (“Ottimi segnali!”) una delle peggiori aste dei Btp degli ultimi anni, ma anche Mirella Liuzzi, con la quale ebbe a confrontarsi a inizio legislatura, quando entrambe concorrevano per un posto da segretario d’Aula a Montecitorio e il M5s, pur di non promuovere una renziana, concesse quella poltrona a Francesco Scoma di Forza Italia. Inezie.
Meno irrilevante, semmai, appare la diversità di vedute che separa la Morani dalla “gigginomics” in voga a Via Veneto, visto che ancora poche settimane la deputata marchigiana – che sembrava, alla vigilia, destinata a un posto di sottogoverno al ministero della Giustizia – si scagliava via social contro Di Maio, colpevole di “giocare” con Alitalia e di ignorare che “ci vogliono i soci privati che Giggino non sa dove andare a prendere. E allora si fanno pagare gli italiani”. Buffagni sarà invece viceministro unico, al servizio di quello Stefano Patuanelli di cui deve avere grande stima: “E’ da marzo che dico che dovrebbe andare a sostituire Toninelli al Mit”, diceva Buffagni in Senato in quel fatale 5 agosto in cui il gran lombardo del M5s ancora s’affannava a scongiurare la crisi che sarebbe divampata di lì a poco. Anche perché, mentre Buffagni discuteva coi cronisti, in Aula andava in scena lo showdown sulla Tav. E dai banchi del Pd, ad inaugurare un dibattito che sarebbe stato poi esiziale per il governo gialloverde, era il potentino di fede renziana Salvatore Margiotta, già responsabile delle Infrastrutture del Pd. Che è stato nominato sottosegretario ai Trasporti. Per dire di come a volte il garbuglio della politica sa essere beffardo.