Il mostro (a due teste) di Pontida
La demagogia e la mancata condanna dell’antisemitismo assieme a un po’ di realismo politico
Il 5 febbraio 2011 gli odiatori seriali di Libertà e Giustizia e accoliti avevano immolato sul palco del Palasharp di Milano un minorenne, un Giovanni di tredici anni, mandato lassù per leggere un proclama, più grande di lui, contro Silvio Berlusconi. Ma lo si ricorda, qui, solo a beneficio dei tanti scimuniti che dicono e diranno “e allora la sinistra?” per difendere l’esposizione decisamente più immorale, perché minore è l’età e maggiore l’innocenza, sul palco di Pontida della piccola Greta, una delle “bambine di Bibbiano”, come un olocausto vivente offerto alla causa del sovranismo e del populismo giudiziario. Per un capopopolo che solo pochi giorni fa aveva stigmatizzato, manco fosse un pio estensore della Carta di Treviso, il censurabile post di un giornalista che tirava in ballo in modo gratuito e sgradevole sua figlia, è un ulteriore caduta nel pozzo senza fondo della demagogia belluina. Tra tante bellurie celtiche e brutture padane, mai si era visto, nella storia politica italiana, una simile mozione dei peggiori istinti. A parte il Palasharp, ma è un’èra geologica fa. Non si era mai nemmeno visto, sul sacro pratone, uno sbocco di antisemitismo così virulento, circostanziato, come quello contro Gad Lerner, apostrofato da alcuni militanti: “Non sei un italiano, sei un ebreo”, “tagliati la barba”. Gad Lerner ieri ha poi sdrammatizzato, c’è anche chi ha voluto fare selfie con lui (ma dalla giovane età, non è detto che si ricordassero che era stato proprio Lerner il primo giornalista italiano a dare voce alla Lega nascente). Con più polemica, il giornalista ha sottolineato che gli era capitato anche ai tempi di Bossi, ma il Senatùr gli chiese personalmente scusa, e così ha fatto anche Giancarlo Giorgetti, in un’occasione recente. Invece Matteo Salvini niente, anziché scusarsi ha replicato: “Questi qua non sono giornalisti”. La Lega non è antisemita o non lo è mai stata, a parte certe sue frange “eurasiatiche”, parte integrante del cerchio magico salviniano, e l’episodio di domenica può essere derubricato a incidente di percorso. Non senza notare che due gravi episodi di demagogia e antisemitismo, su un prato solo, non fanno una prova ma sono più che un indizio. Perché il leader della Lega acclamato e riconfermato a grida di popolo non ha fatto neppure finta di ridimensionare l’accaduto. E perché sono un segnale ulteriore, ci fosse ancora qualche liberale per Salvini da convincere, che lo spostamento verso l’ultradestra di quella che fu la Lega popolana di Bossi – con il suo armamentario di simboli e slogan di nessun reale peso, nella politica nazionale – è stabile e probabilmente irreversibile.
Esiste però una contraddizione, insita nella stessa postura di Salvini, e che il Capitano dovrebbe prima o poi chiarire. Dal palco, bambina a parte, il leader è apparso più politico, circospetto del suo stesso popolo. Qualche urlaccio ai “traditori”, poco o nulla contro l’Europa e l’abbozzo di una tattica – stagione referendaria, maggioritario, rassemblement del centrodestra, seppure a modo suo. Comunque la si valuti, è un’idea politica da soppesare, visto anche il peso elettorale che, almeno al nord, la Lega conferma di mantenere. Ma è un’idea politica e sarà costretta, in quanto tale, a misurarsi con il punto di vista degli interlocutori. Con Giorgia Meloni le visioni sono simili. Sarebbe interessante vedere se Berlusconi, dopo la rivendicazione di un centrodestra moderato e liberale, saprà attirare in questa prospettiva Salvini. Ma l’altra notizia del weekend, cioè il fatto che il capo di Forza Italia è passato in poco più di una settimana dall’opposizione parlamentare di una destra europeista all’adesione alla manifestazione antiparlamentare della Lega il 19 ottobre, non è un gran segnale.