Romanzo scissionista
Il Renzi che se ne va dal Pd manda in tilt anche i suoi antichissimi compagni di viaggio. Nomi e storie
Roma. “Martedì sera Matteo sarà a Porta a Porta e qualcosa in più dirà”, spiega Ettore Rosato, coordinatore dei comitati civici renziani, quelli che dovrebbero esportare la scissione di Renzi fuori dal parlamento a furor di popolo. Il cronista, insomma, potrebbe anche correre il rischio di restare appeso alle dichiarazioni dell’ex sindaco di Firenze da Bruno Vespa, mentre tutto intorno il mondo corre in fretta, con Dario Franceschini pronto a costruire una “casa comune” con i Cinque stelle; in alternativa, però, può capire che cosa caspita sta succedendo nel Pd parlando con i renziani della prima e dell’ultima ora.
Non c’è mai stata così tanta perplessità fra i seguaci del Senatore di Scandicci per una decisione, la scissione, giudicata affine più a “intemperanze caratteriali” che a questioni politiche, come dice un fiorentino che lo frequenta dai tempi delle primarie di Firenze del 2009. A differenza di altre epoche, in cui quelli pronti a farsi esplodere abbondavano, oggi si moltiplicano le dichiarazioni critiche. Insomma, per dirla con il capogruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio, alla decisione di Renzi manca una “spiegazione razionale”. Anche Roberto Giachetti, che lunedì ha lasciato la Direzione nazionale del Pd (“Non posso rinnegare le mie convinzioni sul Movimento Cinque Stelle”), sabato scorso spiegava ai suoi che prima di prendere altre decisioni avrebbe voluto parlare con Renzi per capire che cosa ha in testa. Giachetti ha detto agli amici che lui non è del Giglio magico, ha sessant’anni e fa politica da quaranta.
“Io rimango nel Pd, e penso che anche tutti gli altri debbano riflettere molto, perché uniti siamo più forti, divisi siamo più deboli”, dice il sindaco di Firenze Dario Nardella. “I pretesti mi paiono deboli. Vedo anch’io i rischi di un Pd retro, ma non credo ai partiti personali. Preferisco fare la battaglia riformista in un partito plurale e contendibile”, dice il sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala, non esattamente un fan di Renzi, non sembra molto sconvolto: “Il Pd è una comunità: c’è chi esce e c’è chi entra. Non mi spingo a dire se faccia bene o faccia male. Magari Renzi uscirà e qualcun altro entrerà”. Il riferimento di Sala è probabilmente a Leu, il cui rientro nel Pd è già dato per certo. Tra gli storici sostenitori c’è molto sconcerto. Anche perché qualcuno di loro è appena entrato al governo e vede la mossa di Renzi come un potenziale rischio di indebolirlo. Ma lo sconcerto è diffuso ovunque. “Scissione? Prima voglio sentirglielo dire con le mie orecchie. Tuttavia a questo punto mi sorprenderebbe solo se agli annunci non seguissero gli atti. Ma gli annunci sono nei dettagli così strampalati che ci capisco sempre meno”, dice Arturo Parisi.
“Mi auguro che nessuno faccia una scelta che rischia di essere incomprensibile per i nostri elettori. Mi auguro che Matteo non lo faccia, io rimarrò nel Pd”, dice Alessia Morani, neo-sottosegretaria allo Sviluppo economico. “Io sono iscritta al Partito Democratico e rimarrò nel Pd se il Pd continuerà a essere un partito plurale”, dice Simona Malpezzi, sottosegretaria ai rapporti con il Parlamento. “Sono nel Pd perché penso che quella sia la mia casa. Non voglio fare l’analisi di cosa capiscono o non capiscono gli elettori, penso che il governo debba poter lavorare bene”, aggiunge Malpezzi. Anche Lorenzo Guerini, neo-ministro della Difesa, resterà nel Pd. A Renzi lo ha già detto. Alla Camera, a seguire Renzi, oltre a Rosato, dovrebbero essere Maria Elena Boschi, Anna Ascani, Luciano Nobili, Michele Anzaldi, Mauro Del Barba Luigi Marattin e Ivan Scalfarotto. E ancora: Gennaro Migliore, Mattia Mor, Silvia Fregolent, Lucia Annibali. Giachetti, come detto, aspettava un chiarimento (e magari c’è stato lunedì). Al Senato invece sono dati in partenza Teresa Bellanova, Francesco Bonifazi, Davide Faraone e Nadia Ginetti.
E Luca Lotti, che è una emanazione renziana dai tempi di Firenze? L’ex ministro dello Sport ha detto che non è d’accordo con la scissione e pensa che sia un errore. Già da qualche tempo i rapporti fra Lotti e Renzi sono piuttosto freddi. Stavolta però, se confermata, potrebbe essere una rottura vera.
“Solo il 10 per cento di Base Riformista lo seguirà”, dice un parlamentare appartenente alla corrente guidata da Guerini e Lotti, che conta fra i 70 e gli 80 deputati e senatori. Da giorni Renzi e i suoi fanno pressione sui colleghi di partito per raccogliere adesioni. “Ha degli sherpa, Francesco Bonifazi e e Mauro Del Barba, che vanno dai possibili scissionisti a chiedere se vanno via con loro”, racconta un parlamentare zingarettiano. “Secondo me si illudono. Ci vanno solo i giachettiani-ascaniani”. E pensare che Renzi è stato segretario del Pd, presidente del Consiglio, ispiratore di un nuovo centrosinistra, prima di andare a schiantarsi contro il referendum costituzionale del 2016. Adesso invece trova parecchie resistenze. Anche tra chi lo ha accompagnato negli ultimi anni e pure non condivide molto il progetto Pd-Cinque stelle, soprattutto se dovesse diventare organico come lo teorizza Franceschini. Come Matteo Orfini, ex presidente del Pd, che di recente si è ritagliato uno spazio di opposizione critica al nuovo esecutivo. Pensa che il Pd rischi di diventare una sorta di partito del potere disponibile ad allearsi o fondersi con chicchessia pur di restare al governo. A prescindere al consenso popolare, beninteso. Tuttavia per Orfini non ci sono possibilità di fuoriuscita: “Extra ecclesiam nulla salus”. Non c’è salvezza fuori dal Pd.