Il condominio liberale e la sfida Renzi-Calenda (si parte con i soldi)
Comitati, imprenditori, finanziamenti. Numeri e nomi della macchina che sostiene i due scissionisti del Pd
Roma. Il condominio liberale rischia di essere parecchio affollato al prossimo giro. A contendersi lo spazio saranno Carlo Calenda e Matteo Renzi. I due, più che cooperanti, potrebbero essere duellanti e contendenti. Ieri l’eurodeputato ha chiarito che con l’ex segretario scissionista del Pd non vuole averci nulla a che fare. Per lui quella di Renzi è “una scissione parlamentare”, fondata su “slogan e vaghezze ideologiche”.
Sarà dunque una battaglia a suon di comitati. Calenda ha i suoi, Renzi pure. A fine maggio quelli dell’ex sindaco di Firenze erano quasi novecento, adesso (dati di ieri) sono 1.300. Per aprirne uno servono almeno 5 persone e la media, aveva spiegato a giugno al Foglio Ettore Rosato, coordinatore dei comitati, è sopra i 10. “I comitati sono distribuiti in tutta Italia, nelle grandi città ma stanno aprendo anche nei piccoli centri urbani. La maggior parte di coloro che aderiscono non arriva dal Pd. Non hanno neanche tutti votato il Pd alle ultime elezioni europee”. Chi viene “dall’esperienza del Pd – aveva aggiunto Rosato – è abituato ai circoli, che sono luoghi oggettivamente chiusi in cui difficilmente c’è un dibattito su temi concreti; sono piuttosto posti in cui avvengono riti fini a se stessi come l’elezione del segretario di circolo. Nei comitati tutto questo non avviene, c’è sempre un confronto di merito, per questo è molto più attrattivo per le persone, anche per i giovani che nei nostri comitati sono tanti”.
Fatta la scissione, resta da capire una cosa: dove troveranno i soldi Renzi e Calenda? Il Senatore di Scandicci punta sugli imprenditori degli ultimi anni, anche se con qualche finanziatore storico c’è maggiore freddezza rispetto a prima, come Vincenzo Manes. Altri invece hanno già fatto il bonifico, come al solito. Da Lupo Rattazzi, che ha donato finora in totale 60 mila euro, a Daniele Ferrero, che ne ha dati 100 mila a luglio, a Davide Serra, che ne ha dati 90 mila. Uno come Serra si muove sempre a titolo personale. Si è esposto pubblicamente contro il governo Pd-Cinque stelle, tifa Renzi da sempre, quindi non è che muova poteri confindustriali. Potrebbe tuttavia bastare. Stavolta infatti l’ex sindaco di Firenze potrebbe aver bisogno di non tantissime risorse. “Credo che basti poco per fare quel poco che riuscirà a fare”, dice al Foglio un ex renziano rimasto nel Pd.
“I soldi intanto li abbiamo chiesti per la scuola di formazione che c’è stata ad agosto. Adesso che partiamo con il partito, chi ci vuole bene ci darà una mano”, spiega Rosato al Foglio. Lo storico amico Marco Carrai sarà della partita? “Non mi occupo di politica”, dice Carrai al Foglio. Quindi non aiuterà Renzi a trovare finanziatori per il nuovo partito stavolta? “Non l’ho mai fatto neppure in passato nonostante ciò che è la vulgata comune”, dice ancora Carrai al Foglio. Il nuovo partito sarà lanciato alla Leopolda, si chiamerà “Italia viva”, i gruppi invece ci saranno già da oggi (almeno alla Camera, al Senato c’è ancora qualche problema regolamentare).
Anche Calenda ha un gruppo di imprenditori che lo sostiene. Alcuni hanno firmato il manifesto di Siamo Europei. Come Alberto Bombassei, presidente della Brembo ex deputato di Scelta Civica. Ci sono poi Alberto Baban, ex presidente della Piccola Industria Confindustria, Rosy Barretta, imprenditrice portuale, Luciano Cimmino, presidente di Pianoforte Holding (società che controlla i marchi Carpisa e Yamamay), Leopoldo Destro, presidente di Assindustria Sport, Carlo Feltrinelli, amministratore delegato della casa editrice Feltrinelli, Adolfo Guzzini, presidente di iGuzzini illuminazione, Andrea Illy, presidente di Illy Caffè, Gianfranco Librandi (che però è uno dei deputati passati con Renzi e ha finanziato i suoi comitati attraverso la società Tci), Paolo Merloni, presidente esecutivo della Ariston Thermo Group, Flavio Radice, presidente e CEO di Hitachi Systems CBT, Paolo Scudieri, presidente di Adler Pelzer Group. I calendiani fanno sapere che oltre a questi nomi, firmatari dell’appello, ce ne sono anche altri che non si sono esposti pubblicamente ma che al momento opportuno lo faranno.
Resta da capire invece cosa faranno Confindustria e gli imprenditori del Nord. Calenda e Renzi escono dal Pd proprio a ridosso del rinnovo dei vertici confindustriali, previsto nel 2020. La battaglia per la presidenza va avanti da mesi (tra i nomi che girano c’è anche quello di Carlo Bonomi, presidente di Assolombardia), adesso le due correnti interne all’associazione degli imprenditori che si stanno sfidando potrebbero rispecchiarsi nella sfida incrociata fra Calenda e Renzi. Con sé, l’europarlamentare e fondatore di Siamo europei ha Bombassei. Renzi invece è più vicino al nuovo corso guidato da Vincenzo Boccia e Antonella Mansi. Fu quest’ultima, peraltro, a convincere l’attuale presidente a far scendere in campo Confindustria a favore del referendum costituzionale di Renzi nel 2016. Possibile dunque che i destini politici dei due nuovi inquilini del condominio liberale e quello della futura Confindustria coincidano.