(foto LaPresse)

Tutti i rischi nascosti dietro al mantra ambientalista dei rossogialli

Sul decreto presentato dal ministro Costa si aggirano le ombre di alti costi economici e sociali. La svolta green ha potenzialità enormi, ma pretende serietà e scelte concrete 

Il governo rossogiallo intende rilanciare una politica ambientalista che faccia progredire il nostro sistema produttivo in modo sostenibile. “Green New Deal” è il nome che ha dato al progetto. Nanotecnologie, biotecnologie, robotica, information tecnology, ingegneria genetica sono tutti settori su cui l'esecutivo si propone di investire in modo più deciso. Il “governo della svolta” ha scelto di trasformare l’ambientalismo nel collante simbolo della rivolta contro i sovranismi populisti.

 

Ma le preoccupazioni non mancano. Oltre al tema relativo all'eliminazione dei sussidi destinati alle attività più inquinanti, ce n'è anche un altro di fondo, su cui ha scritto Chicco Testa nel Foglio qualche giorno fa: quello della cultura ambientalista dei no, che genera mostri.

  

"Mentre attendiamo i camion ad idrogeno la Tav si fa o non si fa? Mentre aspettiamo gli orti aerei riteniamo ancora che la Xylella sia un complotto delle multinazionali oppure ammettiamo che esiste e agiamo di conseguenza? E gli Ogm sono un altro strumento di dominio o una straordinaria possibilità di miglioramento di molte specie vegetali? Mentre aspettiamo di filtrare gli oceani con il grafene, il cui difetto principale è che per il momento ha costi di produzione elevatissimi, costruiamo magari qualche dissalatore oppure no perché modifica gli equilibri dei mari?". 

  

C'è poi il nodo dei costi sociali, che potrebbero essere notevoli, come dimostra l'esperienza dei gilet gialli in Francia. Claudio Cerasa ricordava pochi giorni fa (l'articolo integrale lo trovate qui) come la protesta per le strade di Parigi fosse nata per la riforma voluta da Emmanuel Macron, la Contribution climat-énergie (Cce), la cosiddetta “tassa carbonio”. Se i costi del passaggio al green ricadono tutti sulla classe media, questa rischia di reagire. Ecco cosa ha scritto Cerasa in proposito:

 

"La Francia non è l’Italia e Conte non è Macron, ma nonostante questo il governo di svolta rischia per almeno due ragioni di trasformare l’ambientalismo che piace al popolo in un ambientalismo indigesto per una buona parte del popolo. Sostenere le energie rinnovabili è una politica saggia che dovrebbe stare a cuore a qualsiasi governo con la testa sulle spalle ma se il governo intende davvero rinunciare ai famosi quindici miliardi di sussidi considerati “ambientalmente dannosi” dovrà mettere in conto che rimuovere quei sussidi significa indirettamente rendere più cara la benzina a varie categorie appartenenti al ceto medio che oggi quella benzina grazie ai sussidi la pagano un po’ meno (mezzi agricoli, autotrasportatori, macchine diesel). Rendere possibile una rivolta del ceto medio per rendere il paese un po’ meno inquinato (viva l’elettrico!) può essere una scelta coerente (il filosofo francese Michel Gauchet, provando a spiegare i gilet gialli agli albori, disse che coloro che avevano scelto di mettersi i gilet erano “i dieselisti di base che non vogliono pagare la transizione ecologica”) ma meno coerente sarebbe invece la scelta di assecondare il grillismo sulla partita degli inceneritori".

 

E così, la riforma ambientalista dovrebbe arrivare la prossima settimana sul tavolo del Consiglio dei ministri (qui trovate la bozza del documento) voluto dal ministro dell'Ambiente Sergio Costa, contenente misure urgenti "per il contrasto ai cambiamenti climatici".

 

Carlo Stagnaro ha analizzato tutte le criticità del decreto (qui trovate il suo articolo). Ci sono almeno tre problemi: uno di efficienza economica; un secondo di agibilità politica; un terzo di realtà contabile. 

 

"Il catalogo pubblicato annualmente dal ministero dell’Ambiente (Mattm) adotta una definizione ampia di sussidio, che include anche qualunque forma di sconto fiscale praticato a specifiche categorie o per determinati usi degli input produttivi potenzialmente dannosi per l’ambiente. Come vedremo, la maggior parte delle voci del catalogo (e tutte quelle più rilevanti) ricade in questa categoria: quindi, rimuovere i sussidi ambientalmente dannosi significa aumentare le tasse per qualcuno. In tutto si tratta, appunto, di circa 19 miliardi di euro, a cui se ne aggiungono un’altra dozzina di sussidi considerati potenzialmente positivi per l’ambiente come, per esempio, gli incentivi alle energie rinnovabili. Naturalmente, anche questi potrebbero essere ripensati in modo da massimizzare il beneficio ambientale o minimizzare il costo per i cittadini".

 

Di più su questi argomenti: