Il Pd sogna i grillini anche in Emilia-Romagna, ma ci sono problemi
Bonaccini fissa la data delle elezioni il più tardi possibile per avere il tempo di maturare l'intesa col M5s, mentre il Pd vota a favore della consigliera grillina Silvia Piccinini. Ma il partito di Di Maio non è ancora pronto a stringere l'alleanza
Roma. Al di là delle scelte, quel che indispone è il metodo. “Dov’è finita la collegialità di cui tanto si parlava?”, s’è sfogata la senatrice bolognese Michela Montevecchi nell’assemblea dei parlamentari grillini di martedì scorso. E di certo, lei come i suoi colleghi, della tribolata questione delle alleanze regionali col Pd avrebbe voluto parlarne con Luigi Di Maio, costretto finalmente a confrontarsi con le sue truppe: se non fosse che dopo un breve saluto e un discorso un può vacuo sugli impegni del nuovo governo, il capo del M5s ha abbandonato la riunione. Solo un breve cenno all’Umbria, per la quale già annunciava una coalizione di “sette o otto liste a sostegno di un candidato civico”, e un chiarimento preventivo: “Ogni regione sarà un fatto a sé”. E giù a citare i vari De Luca in Campania, Emiliano in Puglia e Olivero in Calabria: per dire di come ogni situazione va valutata con attenzione, “e in ogni caso pretenderemo la pulizia delle liste”. Rassicurazione che, evidentemente, non è bastata. E non solo agli umbri e a quel Filippo Gallinella costretto nel ruolo di regista inconsapevole delle operazioni: “Io, di tutto questa faccenda, so solo che tra otto giorni dobbiamo depositare tutti i documenti”, si stringeva nella spalle il deputato perugino. E lo faceva mercoledì, nel mentre che, sulle chat regionali, consiglieri e parlamentari minacciavano addirittura le dimissioni in blocco.
Ma ancor più dell’Umbria, la polveriera grillina è in Emilia-Romagna. E’ lì, infatti, che la necessità di un’alleanza tra Pd e M5s viene considerata indispensabile, per scongiurare lo sfondamento della Lega nel feudo rosso per eccellenza. E infatti il governatore Stefano Bonaccini, in un garbuglio di ripensamenti, sembra ora aver deciso di fissare la data delle elezioni al 26 gennaio: il più tardi possibile, così da poter dare tempo all’intesa demogrillina di maturare. E per agevolarla, non a caso, pochi giorni fa ha garantito anche i voti del suo Pd alla consigliera grillina Silvia Piccinini, così da concederle una vice presidenza alla commissione Sanità che, a detta dei leghisti locali, “puzza già di inciucio”. Ma per superare le resistenze dell’ortodossia grillina nei confronti di questi incauti connubi emiliani difficilmente basterà una poltrona. Almeno a fidarsi delle parole di chi sta imbastendo la trattativa e che, quando gli si chiede qual è il clima, riporta un episodio emblematico del clima di fiducia reciproca: e cioè le dimissioni che Maria Edera Spadoni, vicepresidente della Camera originaria di Reggio Emilia, aveva messo sul tavolo di Luigi Di Maio in caso di ingresso al governo di Graziano Delrio, suo illustre concittadino. “Nessuna alleanza alle elezioni regionali in Emilia Romagna se non con liste civiche”, ha poi sentenziato la Spadoni su Twitter, anche nel tentativo di tranquillizzare una base un po’ stordita, che assiste con sgomento alle convulsioni del M5s nella terra che gli fece da culla. Perfino Imola, la roccaforte rossa espugnata con tripudio di fanfare al Pd appena un anno fa, rischia di capitolare, dopo che la sindaca Manuela Sangiorgi tre giorni fa è stata sfiduciata da un pezzo della sua maggioranza, con grande scorno di Max Bugani, fedelissimo di Casaleggio e plenipotenziario a Bologna e dintorni, che tanto si è speso per lei. “Sognava un’alleanza con la sua amica Lucia Borgonzoni, candidata leghista alla regione”, dice chi lo conosce bene. E invece ora dovrà tessere una trama di colore opposto. “Almeno, imponiamo i nostri punti del programma”, argomentano tra loro i parlamentari emiliani, Marco Croatti e Davide Zanichelli. “Diciamo al Pd: zero inceneritori, basta trivelle e cemento, e poi vediamo se ci sta”. Qualcuno è arrivato perfino ad azzardare la desistenza: “Saltiamo un turno: non facciamo campagna elettorale, piuttosto che farla insieme al Pd”. Ma neppure questa, a Di Maio, sembra una soluzione. Specie dopo che ieri, Rousseau, ha dato il suo primo via libera. Per ora l’Umbria, pensando già all’Emilia.