Salvini punta su Garavaglia e Giorgetti per riformattare la Lega
I leghisti lavorano ai dipartimenti. Spinte per commissariare gli anti euro e provare a dare un nuovo indirizzo agli Esteri
Roma. L’idea l’aveva abbozzata un po’ così, in modo vago, durante l’assemblea coi parlamentari del 10 settembre: “Reintrodurremo i Dipartimenti”. Ma era stato talmente estemporaneo, quel riferimento, che nessuno aveva dato troppo peso alle parole di Matteo Salvini. Poi, però, la voce è tornata ad aleggiava sul pratone di Pontida, nei conciliaboli riservati tra i dirigenti della Lega. E ha infine preso consistenza nelle parole di Edoardo Rixi, che mercoledì scorso passeggiava in Transatlantico. “Sì, rifaremo i dipartimenti”, confermava l’ex viceministro dei Trasporti. “Ma ancora – aggiungeva – bisogna stabilire i tempi e i modi”. Ed è soprattutto il modo, che andrà trovato: perché il modo non dovrà offendere Salvini, non dovrà in alcun modo far pensare, neppure ai più malevoli, che si tratti di una sorta di limitazione della leadership del Capitano. E tuttavia non pochi, dei colonnelli della vecchia guardia, si sono ritrovati a concordare sul fatto che sì, la reintroduzione dei Dipartimenti, così come il ridare lustro e vitalità al Consiglio federale, segna un po’ un ritorno al passato: quello, cioè, di quando a guidare il Carroccio c’erano Umberto Bossi e Roberto Maroni. Salvini li aveva abrogati, in nome della necessità di mantenere un partito snello e perfettamente rispondente alle sole volontà del capo: se non fosse che poi, nei mesi passati, s’è dovuto sorbire le lamentele di chi, tra i suoi fedelissimi, gli spiegava che così proprio non si riusciva ad andare avanti. E allora ecco che la squadra di governo, smantellato l’esecutivo gialloverde, verrà riciclata per la nuova funzione: e a capo di ciascun Dipartimento ci andrà l’ex ministro o l’ex sottosegretario competente in materia.
Quelli più delicati da organizzare, dice chi ci sta lavorando, saranno soprattutto due. Da un lato c’è l’Economia, settore in cui la Lega dovrà darsi un orientamento chiaro, facendo innanzitutto i conti con le velleità residue, e mai dissipate, di uscita dall’euro. Il principale indiziato, per guidare il dipartimento, è Massimo Garavaglia, che sarà chiamato, tra le altre cose, a superare le vecchie divisioni interne degli scorsi anni: quelli, cioè, caratterizzati dalla presenza di due diversi “dipartimenti” economici – o sedicenti tali – ciascuno con una sua struttura e in guerra contro l’altro, assegnati a Claudio Borghi per la Lega Nord, e ad Armando Siri al meridione, dove il partito di riferimento era “Noi con Salvini”.
L’altra incognita è rappresentata dagli Esteri. E anche in questo caso, gli sbandamenti continui nella politica diplomatica salviniana rendono la scelta complicata. Screditati per manifesto filoputinismo i consiglieri Gianluca Savoini e Claudio D’Amico, ridimensionato Guglielmo Picchi dopo quattordici mesi da sottosegretario alla Farnesina ritenuti non proprio brillanti, la scelta resta da definire, e potrebbe ricadere, in questo caso, sul deputato bresciano Paolo Formentini.
Quel che è certo, però, è che a curare i rapporti con gli Stati Uniti sarà Giancarlo Giorgetti, che ha rivendicato per sé questo ruolo di garanzia dopo il fallimento della missione di Salvini e dei suoi fedelissimi a Washington: un appuntamento, quello, che ha rappresentato l’apoteosi – dopo il pasticcio della Via della Seta e la questione del 5G – dell’incapacità del segretario di gestire le relazioni diplomatiche con l’amministrazione Trump. Col senno del poi, nelle scorse settimane, Giorgetti ha ripercorso coi suoi confidenti gli incontri di metà giugno tra Salvini, Mike Pompeo e Mike Pence, e l’analisi risuonava più o meno così: “L’errore di Matteo è stato quello di accreditarsi come leader di un partito in grado di terremotare gli equilibri europei, così da rendere l’Italia interlocutore privilegiato di Washington. Ma un’Europa instabile non conviene al momento neppure agli Usa, perché in quel caso Francia e Germania guarderebbero a Est”. E quanto, in effetti, Trump speri che l’Italia scassi davvero l’Europa, lo si è capito nel tweet di benedizione all’amico “Giuseppi”, che resta di fatto la sentenza più perentoria sulla reputazione di Salvini a livello internazionale.