Zingaretti triangola con gli ex renziani e studia un congresso
Il segretario lavora ai nuovi assetti nel Pd e non esclude un’assise straordinaria. Nuovi equilibri del dopo Renzi
Roma. La scissione, consumata sui giornali e in tv, cambia gli equilibri interni del Pd. E chi non ha lasciato i democratici, adesso chiede un “congresso straordinario”. Lo hanno invocato, sul Foglio, prima Giorgio Gori e poi Luca Lotti nei giorni scorsi, e se ne discute anche nel resto del partito. “Non ci sia timore di aprire – se necessario – una nuova fase congressuale e di gestione del partito”, ha detto Lotti nella lettera in cui ha spiegato le ragioni del suo mancato approdo a Italia Viva. Anche il segretario Nicola Zingaretti concorda: il quadro uscito dalle primarie del marzo 2019 “è stato superato e siamo proiettati in una nuova fase”, ha detto oggi alla direzione nazionale, la prima dopo l’addio di Matteo Renzi. “Vedremo in quale modo superarlo”, ha precisato Zingaretti. C’è però una questione da tenere in considerazione, non secondaria: nello statuto del Pd non c’è la parola congresso. E se una possibile soluzione fosse una conferenza di partito in stile Labour, senza primarie e senza elezione del segretario, ma nella quale viene fissata la linea? Dopo un accordo politico, ci potrebbe essere una modifica statutaria che la crea una tantum.
Certo sarebbe diverso da un congresso vero, con l’elezione di un segretario, ma il tema del rinnovo del Pd è – dopo la scissione – comunque ben presente, come ha osservato oggi ministro della Difesa Lorenzo Guerini. “Siamo in una fase straordinaria: in un mese siamo passati dall’opposizione al governo e abbiamo subito una scissione”, ha detto il ministro della Difesa. “Ritengo imprudente aprire un congresso straordinario, ma occorre dare il senso che affrontiamo questa fase con strumenti straordinari. E’ una fase che oggettivamente cancella l’esito del congresso”.
Quindi, se l’esito è stato cancellato si procede a un nuovo congresso? Con calma, dice al Foglio il capogruppo alla Camera Graziano Delrio: “Serve una riflessione culturale più che una sfida organizzativa”. Aggiunge il deputato Alfredo Bazoli parlando con il Foglio: “Un congresso forse no, piuttosto un segnale di unità da parte della segreteria con una valorizzazione della componente riformista che ha fatto la scelta di restare”. Insomma, un congresso straordinario sì o no? “Mi basterebbe uno ordinario. Il primo!”, dice al Foglio Arturo Parisi che nel 2007 a Milano alla prima dell’Assemblea Costituente Nazionale del Pd – in quel momento era ministro della Difesa del Governo Prodi – protestò sul modo in cui si erano svolte primarie e congresso, con la solerte regia dell’eterno Franceschini e sotto la distratta Presidenza di Prodi, a colpi di una umanistica raffica incalzante di “chi è a favore alzi il cartellino”, “chi è contro”, “chi si astiene”. Di ritorno da Roma, dove si era recato per il funerale di Pietro Scoppola, Parisi cercò inutilmente di chiedere la parola, mentre già il disco intonava un “Fratelli d’Italia” libera tutti. “Pacatamente, serenamente un golpe!”, commentò Parisi.
La questione è precipitata anche sui territori. “Occorre sicuramente, a questo punto, se non un congresso quantomeno una ridefinizione della linea politica e di quale sia l’orizzonte di allargamento del Pd”, dice al Foglio il capogruppo del Pd in Comune a Torino Stefano Lo Russo. “Certamente non si può risolvere tutto all’interno dei caminetti che hanno come unico faro il governo. Se si schiaccia sul governismo, il Pd è già morto”. E dalla Toscana Antonio Mazzeo, consigliere regionale e già vicesegretario del Pd toscano, dice al Foglio: “Io vorrei provare a rovesciare il concetto. Tra 7 mesi in Toscana si voterà per le regionali e prima toccherà a Umbria ed Emilia Romagna. Dopo tutto quello che è successo tra agosto e settembre la nostra massima attenzione deve ora essere rivolta a parlare all’esterno, partendo proprio dai cittadini di queste regioni, e non al nostro interno. Questo, certamente, non vuol dire sottrarsi alla necessità di affrontare la fase nuova che si è aperta e nella quale il Pd è chiamato a definire con estrema chiarezza ‘cosa vuole fare da grande’ e come intende portare avanti la spinta riformista che sta alla base della sua stessa nascita e del lavoro di tutti questi anni. Ma prima di tutto credo debbano venire oggi le nostre proposte e le nostre idee per il Paese, e per quel che ci riguarda per la Toscana, con la consapevolezza che in un mese e mezzo il quadro politico intorno a noi è completamente cambiato e anche come partito dovremmo trarne le conseguenze”.
La questione è molto sentita a Roma dentro Base Riformista, la componente di Guerini e Lotti. La tempistica e il senso da dare al nuovo eventuale congresso faranno la differenza. Dice un parlamentare di Base Riformista al Foglio: “Un nuovo congresso? Se è per rafforzare quello che è già avvenuto sarebbe un boomerang, vorrebbe dire ridimensionare la minoranza renziana residua che oggi è senza leader e a rischio Opa, finirebbe con spingere le persone fuori. Se invece si reimposta tutto e la maggioranza come tale si scioglie anch’essa allora è diverso. Però ci vuole un po’ di tempo”. Intanto, oggi, la direzione nazionale è stata aggiornata al primo ottobre. In quell’occasione il Pd ragionerà dei nuovi assetti interni. D’altronde, come ripetono tutti “la fase congressuale è superata”. Ora resta da capire “che fare”.