(foto LaPresse)

“Sul lavoro il Pd non sia subalterno al grillismo”, dice Gribaudo

Valerio Valentini

Evitare la demagogia sul salario minimo, introdurre un equo compenso per i professionisti e combattere l'iniquità di quota 100. La deputata piemontese del Pd ci spiega le priorità del governo

Roma. Roma. A modo suo, Chiara Gribaudo la fa semplice. “Se discontinuità deve essere, è bene che si cominci dai temi dal lavoro, e in particolare dalla questione dei rider”. E il perché, a sentire la deputata piemontese del Pd, è presto detto: “Perché su nessun altro argomento, come quello dei ciclofattorini, si è misurata la vuotezza della retorica di Luigi Di Maio, che aveva inaugurato il suo mandato da ministro del precedente governo con una scenografica riunione insieme ai rider e, dopo un anno e mezzo di promesse e slogan, ha partorito un decreto alquanto inconsistente”. Cosa c’è che non va? “Di Maio aveva garantito l’abolizione del cottimo e il riconoscimento della subordinazione: nel suo decreto non c’è né l’uno né l’altro, e per questo va corretto. Mi fa piacere che il nuovo ministro Nunzia Catalfo stia organizzando dei vertici, in un clima che mi sembra costruttivo”. E a sentirla parlare con tanta categorica durezza contro il capo del M5s, viene quasi il dubbio che la Gribaudo non abbia ancora voluto prendere atto che ora, col M5s, il suo Pd è alleato. “Lo so bene, invece”, corregge subito lei. “Ma un conto è stringere un patto di governo col M5s, altro conto è diventare subalterni alla cultura del grillismo. Che, proprio sul lavoro, credo abbia prodotto non pochi danni al paese. Diceva di aver abolito la povertà, Di Maio, e invece se abbiamo fatto un governo di emergenza con loro è stato proprio perché la povertà rischiava altrimenti di aumentare, con l’aumento delle clausole dell’iva”.

 

E il salario minimo? “Anche qui – dice la Gribaudo – eviterei di fare demagogia. Prima di parlare della questione della paga oraria, direi che serve una legge seria sulla rappresentanza sindacale. Una legge che contribuisca, cioè, all’eliminazione dei contratti pirata che hanno favorito la contrattazione al ribasso e la proliferazione dei sindacati fittizi. Servirebbe, anzi, l’estensione erga omnes dei contratti collettivi, che ridarebbe nuova centralità, e nuovi stimoli, alle parti sociali. Solo dopo, potremmo parlare del salario minimo: la cui discussione non può ridursi soltanto alla questione della retribuzione oraria. Questa è una semplificazione propagandistica del M5s che, nella tradizione populista, fornisce risposte semplici e sbagliate a domande giuste e complesse. E insieme al salario minimo, un’altra priorità è l’equo compenso per i professionisti, sia quelli appartenenti alle professioni storiche sia quelli legati ai nuovi lavori nati dalla rivoluzione digitale”.

 

Un vasto programma, insomma. Su un tema che, forse come pochi altri, ha segnato una crepa profonda all’interno del Pd. “E’ così”, conferma la Gribaudo, che proprio sulla faglia di quella rottura si è ritrovata nelle scorse settimane, decidendo però di restare in quello che definisce “il partito che ho scelto di sposare. E che però – prosegue – nasce per avere una visione nuova del lavoro. Ecco, io spero che il Pd, ora che gli amici di Italia viva hanno preso altre strade, non demandi a loro il compito di rivendicare i buoni risultati ottenuti, sul tema del lavoro, nella scorsa legislatura. E spero anche che non ci mettiamo a inseguire il consenso, rinunciando ad esempio a spiegare perché quota 100 sia una misura fortemente iniqua per le giovani generazioni, e che noi non dovremmo difendere”.

 

Non dovevate difendere neppure il taglio dei parlamentari, però. Eppure. “E’ una battaglia storica del M5s, che noi abbiamo, non senza fatica, accettato di condividere per permettere a questo governo di nascere, ed evitare che trionfasse la ‘politica dei pieni poteri’. Ora, spero che si correggano le storture di questa riforma attraverso una nuova legge elettorale che garantisca appieno il principio della rappresentanza. E’ un dibattito complesso, certo, ma forse proprio per questo dovremmo farlo coinvolgendo gli organismi di vertice del partito: la direzione e, perché no?, l’assemblea. E magari, visto che stiamo lanciando una app, sarebbe buona cosa chiedere anche ai nostri iscritti sul territorio, anche ai più giovani, cosa ne pensano”.

Di più su questi argomenti: