Il M5s apre un fronte pericoloso sull'Ilva alla voce “immunità”
I parlamentari pugliesi del M5s hanno depositato un emendamento al decreto imprese. I rischi del primo inciampo rossogiallo
Roma. Informato della tensione che montava, Stefano Patuanelli ha tentato la via della persuasione: “Se riusciamo a spiegare ai tarantini la ratio del provvedimento, gli altri capiranno”. Ma se serviva a convincerli, allora l’incontro organizzato ieri pomeriggio non è andato a buon fine. Perché usciti dal Mise intorno alle 16, dopo un’oretta di conversazione non proprio fruttuosa, i parlamentari pugliesi del M5s si sono affrettati a depositare al Senato l’emendamento della discordia al “decreto imprese”. Quattro parolette brevi, che però complicano enormemente il rilancio dell’Ilva di Taranto: “L’articolo 14 è soppresso”, si legge nell’emendamento. E l’articolo in questione era quello che introduceva, seppure in via parziale, la cosiddetta “immunità penale” in favore di ArcelorMittal, condizione posta dall’azienda come imprescindibile per accettare di rilevare l’acciaieria.
Che poi è stato proprio ciò che Patuanelli ha tentato di ribadire ai parlamentari convocati nei suoi uffici, ma quelli niente, non ne hanno voluto sapere, e hanno invece ribadito che allora tanto valeva evitarsi il balletto inaugurato da Luigi Di Maio: che l’immunità prima l’aveva contemplata tra le ipotesi possibili, e poi per due volte – il 24 aprile e il 24 giugno scorso – era andato a Taranto a promettere ai comitati locali di rimuoverla. Quindi aveva sentenziato che no, col M5s al governo non sarebbe mai stata approvata alcuna immunità. Quindi, nella distrazione generale dovuta alla crisi agostana, l’aveva reintrodotta nel decreto. Innescando l’insofferenza dei parlamentari pugliesi: da Giovanni Vianello a Giovanni Cassese, che le proteste degli attivisti e le loro accuse di tradimento le sopportano da mesi, ad Anna Macina e Angela Masi, passando per Patty L’Abate. Tutti, comunque, capitanati da Barbara Lezzi, che anche ieri ha guidato la delegazione al Mise. E non a caso la prima firma in calce all’emendamento incriminato è proprio la sua, quella dell’ex ministro del Sud che sicuramente non ha gradito la mancata riconferma nell’esecutivo, ma che pure la sua opposizione all’immunità per ArcelorMittal l’aveva manifestata già prima, non a caso abbandonando anzitempo il Cdm del 6 agosto, l’ultimo dell’era gialloverde, che aveva approvato – ovviamente “salvo intese”, nella tradizione grilloleghista – il “decreto imprese”.
Che ora dovrà essere approvato in tempi assai rapidi, e con l’inevitabile ricorso alla fiducia. Il che complica non poco il destino del provvedimento. Il malumore, tra i grillini, è diffuso in entrambe le Camere (a Montecitorio, oltre alla commissione Ambiente, è in grosso subbuglio anche la Giustizia, che verrò chiamata a esprimere un parere proprio sulla questione dell’immunità), ma è soprattutto il Senato, che inizierà l’esame del decreto già la prossima settimana, la grande incognita. Un po’ perché lì i margini della maggioranza sono assai risicati, un po’ perché il regolamento di Palazzo Madama non prevede il voto disgiunto, com’è alla Camera, tra il provvedimento in sé e la fiducia al governo: e siccome i senatori pugliesi – e non solo – del M5s già minacciano di non votare il provvedimento se non verrà stralciata l’immunità, il rischio dell’incidente è grosso. Tanto più che, a marciare nella stessa direzione, ci sarà anche la pattuglia di Leu e qualche ex grillino confluito nel Misto, come Paola Nugnes. Alessia Morani, sottosegretaria del Pd a Via Veneto, si mostra risoluta: “Non si possono mettere continuamente in discussione – dice – decisioni da cui dipende il destino di migliaia di lavoratori, né si può bloccare un percorso che è in dirittura d’arrivo”. Predica ottimismo, insomma. Anche perché a scrivere quel decreto, di fatto, è stato Di Maio in persona. E però i leghisti, a Palazzo Madama, già si fregano le mani al pensiero del primo inciampo rossogiallo.