Arriva il blocca Roma
Raggi partorisce una delibera che paralizza l’economia romana. Imprese e costruttori sotto choc
Roma. A qualcuno, in effetti, la promessa era parsa subito fatiscente: garantire un cambio di passo, rassicurare gli imprenditori sulla sopraggiunta, benedetta maturità dei suoi consiglieri (“Dopo tre anni – diceva Virginia Raggi prefigurando il rimpasto imminente – hanno capito che non si deve ostacolare lo sviluppo”), e al contempo affidare quella “nuova fase, meno tecnica e più politica” ai più esagitati propugnatori dell’ortodossia grillesca. “Ci erano sembrati dei buoni propositi un po’ vaghi – sospira Nicolò Rebecchini, presidente dell’Acer – ma era pur sempre qualcosa”. Qualcosa però di assai inconsistente, a ben vedere. E la conferma è arrivata appena una settimana dopo il rimpasto della giunta capitolina, quando la pattuglia del M5s di Palazzo Senatorio ha depositato una proposta d’iniziativa comunale che, di fatto, sembra un manifesto della paralisi imprenditoriale ed economica della città, oltreché una possibile mannaia sulle casse del comune.
L’obiettivo del documento è quello di una “ricognizione finalizzata a una variante urbanistica del Piano regolatore generale”, e la prima firma è quella di Pietro Calabrese, già carpentiere e aspirante artista a reddito zero, poi cantore dell’arrivo mai avvenuto dei 70 bus israeliani e dunque promosso, con pieno merito, al ruolo di assessore ai Trasporti. E certo, già il lessico scelto per redarre proposta depositata nei giorni scorsi in Aula Giulio Cesare tradisce l’animo di chi l’ha scritta. “Lo sviluppo della Città di Roma è storicamente oggetto della prevalenza dell’interesse privato su quello Pubblico”, si sentenzia in apertura del documento, con quella accortezza nel differenziare la piccolezza del “privato” dalla maiuscola nobiltà del “Pubblico”. Senza contare, poi, le contraddizioni in cui incorre lo stesso testo tra una pagina e l’altra: perché da un lato, ad esempio, il M5s si propone di “promuovere forme di coinvolgimento degli appartenenti alla comunità cittadina e dei portatori d’interesse al processo di revisione e di attuazione del piano regolatore”, e dall’altro si ritiene “indispensabile abbandonare l’esperienza di mediazione” tra l’amministrazione e i rappresentanti di categoria in ambito urbanistico “certificandone il totale fallimento”.
Ma al di là della forma, è la sostanza della proposta che inquieta. “E’ un documento – dice Rebecchini, massimo rappresentante dei costruttori romani – che conferma tutti i peggiori stereotipi sulla cultura grillina: che è intrisa di decrescita e immobilismo”. E in effetti, dietro all’intento di procedere “entro il termine massimo di 180 giorni” dall’approvazione della delibera a “una ricognizione generale del Prg” e avviare una conseguente variante, s’intravedono, neppure troppo in controluce, la paralisi edilizia e il caos contabile. E’ questo, ad esempio, il rischio concreto connesso alla volontà “di riassegnazione delle cubature già oggetto di compensazione urbanistica”: perché se si bloccano questi procedimenti di compensazione secondo un iter che risale ai primi anni Duemila, il Comune potrebbe dovere estinguere in pecunia quel debito contratto coi costruttori, per una cifra che, secondo stime approssimative, si conta comunque nell’ordine dei miliardi di euro. Tralasciando, poi, la pur equivoca minaccia di “restringere” e “annullare” per volere della sindaca Raggi “tutti gli istituti di deroga discrezionali” (come se in ogni variante o compensazione urbanistica germinasse la malapianta della corruzione), s’arriva allo sconcertante proposito di sospendere gli strumenti urbanistici “non ancora adottati o non approvati in Conferenza dei servizi, sia in coerenza che in variante del Prg”. Il tutto, ovviamente, nell’ottica di una nuova valutazione del “fabbisogno abitativo del prossimo decennio” . Si tratta, di fatto, di una messa in discussione di centinaia di progetti edilizi, spesso magari già avviati – se non completati – e su cui costruttori e imprenditori pagano già l’Imu, che vedrebbero crollare il loro valore o la loro effettiva realizzabilità. E, di nuovo, l’incognita di contenziosi civili e penali, e lo spauracchio di risarcimenti milionari a carico del Comune, cioè a spese di quella collettività che tanto si dice di volere tutelare. Ma del resto, Calabrese e compagni non sentono ragioni: il loro obiettivo è quello di un nuovo programma urbanistico che “dovrà prevedere almeno 40 mila unità abitative” e che sarà “realizzato direttamente da Roma capitale” senza fine di lucro. E finanziato come, di grazia? Ovviamente attraverso “un fondo di bilancio capitolino dedicato, da alimentare nel corso dell’attuazione del programma tramite fondi già disponibili da altre fonti istituzionali, e di ulteriori fondi comunitari e statali futuri”: che significa da un lato sottrarre risorse pubbliche stanziate per altri scopi, e dall’altro sperare nell’elemosina del governo e dell’Unione europea. E non mancano, ovviamente, neppure le fughe nella realtà. Lo si capisce quando i consiglieri grillini tratteggiano una variante del piano regolatore che privilegi “l’attuazione dei programmi urbanistici connessi alla rete infrastrutturale del trasporto Pubblico su ferro”: come se Roma non fosse la città dove l’Atac è in perenne affanno, coi bus spesso in fiamme e le stazioni della metropolitana chiuse per mesi.