Il M5s festeggia il taglio dei parlamentari in piazza Montecitorio (foto LaPresse)

Ma la democrazia non si misura sul numero dei parlamentari

Il taglio giustificato peraltro dall'attività dei Consigli regionali e dal minor carico di compiti delle Assemblee legislative

Il Parlamento ha approvato la modifica costituzionale per ridurre i parlamentari (salvo un eventuale referendum confermativo). Sarà una democrazia migliore, quella italiana, con un numero inferiore di parlamentari? Si doveva cominciare dal numero dei parlamentari? Era questa la priorità? 

Esaminiamo le diverse questioni una per volta. Cominciamo dalla motivazione ufficiale: risparmiare. Motivazione unanimemente ritenuta risibile. Cottarelli ha calcolato che si tratta dello 0,007 per cento delle spese statali. L’ammontare annuo sembra pari a un settimo del costo di uno soltanto dei 90 F-35 che compreremo per la nostra difesa dagli Stati Uniti. Questa superficiale motivazione ne nasconde un’altra, inconfessata: non ridurre i parlamentari, ma ridurre il Parlamento (già all’Assemblea costituente venne osservato che quando si vuole diminuire l’importanza di un organo, si comincia con il limitare il numero dei suoi componenti). Questa è coerente con il mito della democrazia diretta coltivato dal M5s e dalla Casaleggio, un mito che si contrappone alla democrazia detta rappresentativa. L’auspicata estensione della democrazia diretta può fare a meno di un terzo dei parlamentari attuali. Poiché la Costituzione è fondata sulla democrazia rappresentativa, in questo modo indirettamente si rema contro la Costituzione. Stranamente, nessuno ha affacciato quella che sarebbe stata una buona motivazione della riduzione: abbiamo da mezzo secolo altri 20 legislatori, i consigli regionali, con un numero di circa 900 consiglieri regionali. Questi svolgono lo stesso lavoro dei parlamentari. Quindi, c’è bisogno di un minor numero di parlamentari al centro. Insomma, non ci sarebbe stato bisogno di diventare detrattori della democrazia parlamentare, per spiegare la riduzione, anche perché all’Assemblea costituente era stato espressamente considerato che il numero dei parlamentari doveva esser stabilito in relazione al numero dei consiglieri regionali (il Foglio di sabato 12 ottobre ha riportato la discussione che si svolse in preparazione della Costituzione). Ma l’antipolitica aveva bisogno di coltivare e nutrire un mito. 

 

Quindi, tre motivazioni, di cui quella giusta non enunciata, quella apparente risibile, quella vera silenziosamente accettata come parte dell’orientamento populistico. 

Non basta. Immaginiamo di essere in un mondo ideale e di mettere la decisione nelle mani di esperti dell’organizzazione pubblica. Questi si porrebbero, prima di ogni altro, un diverso problema: esaminare il carico di lavoro. Se questo diminuisce – direbbero – va diminuita parallelamente la forza lavoro addetta. Se si volesse seguire questo ragionamento, si dovrebbe riconoscere che il carico di lavoro del Parlamento è fortemente diminuito negli ultimi anni, sia perché è diminuito il numero delle leggi, sia perché è aumentato il numero dei disegni di legge proposti dal governo. L’attività di controllo dell’esecutivo, il Parlamento italiano l’ha svolta sempre in misura ridotta. Quindi, uno studioso di teoria dell’organizzazione giungerebbe alla conclusione che la riduzione del numero dei parlamentari ha una sua giustificazione nella diminuzione del carico di compiti delle assemblee legislative. 

 

Ma noi sappiamo che un ragionamento di questo tipo non si può applicare meccanicamente al Parlamento. 

Infatti, il Parlamento ha due funzioni fondamentali, che sono quella di rappresentare e di ponderare. Di far sentire, cioè la voce del Paese nello Stato, e di bilanciare i diversi interessi, stabilendo priorità, raggiungendo compromessi, decidendo di non decidere, e così via. Da questo punto di vista, un maggior numero è funzionale a dare maggiore voce a segmenti della società che, riducendo il numero, potrebbero rimanere inascoltati. Aggiunga che un minore numero di parlamentari potrebbe ridurre i parlamentari più legati alle singole località, i “notabili locali”, aumentando i candidati scelti dalle segreterie di partito, che hanno già abbondantemente usato finora il potere di proporre all’elettorato candidati catapultati dal centro. Le singole località saranno meno sentite, si potrebbe ridurre il pluralismo – quel tanto che ancora esiste – all’interno delle singole forze politiche. Questo anche perché i collegi saranno più grandi, e la propaganda elettorale sarà difficilmente fatta da una persona: dovrà impegnarsi il partito. Il risultato netto potrebbe essere un maggiore tasso di oligarchia. Bel paradosso: forze populiste, in nome dell’antiparlamentarismo, potrebbero produrre un assetto più oligarchico, governato da un minor numero di persone. Per completezza, debbo aggiungere che vi è stato chi sostiene che un minor numero potrebbe consentire maggiore selettività, e che quindi si potrebbero avere parlamentari migliori. 

 

Ritorniamo alle domande iniziali. Sarà una democrazia migliore? 

I sostenitori della “svolta storica” pensano di sì, e, con espressioni da centro estetico, parlano di uno “snellimento” del Parlamento. L’argomento non mi pare dei migliori, perché la qualità della democrazia non è solitamente correlata al numero, ma alla qualità della classe dirigente. Anche se si considera il numero, tuttavia, è facile constatare che i numeri scritti nella Costituzione non sono sproporzionati rispetto a quelli di altri paesi, perché i parlamentari italiani sono oggi più o meno quanti quelli francesi, più di quelli tedeschi, notevolmente meno di quelli inglesi. Ricordiamo sempre quello che scriveva Vittorio Emanuele Orlando nel 1889, che la rappresentanza è una “designazione di capacità”, consiste nella scelta di persone capaci, in grado di far valere interessi della nazione nello Stato. 

 

C’è, poi, il problema della coerenza della condotta dei parlamentari Pd, contrari in tre votazioni, favorevoli nella quarta. 

Qui si entra nelle tattiche di partito, in vista degli accordi di governo. Come è stato rilevato, in realtà da lungo tempo il Pd era anch’esso favorevole alla riduzione dei parlamentari. Questo favore si era accentuato di recente, anche in collegamento con l’anima populista presente in quel partito. Quindi, sul lungo periodo vi è stata coerenza, non sul breve periodo. Gli ultimi atteggiamenti (prima contrario, poi favorevole) si spiegano con la diversa posizione del partito, prima all’opposizione, ora al governo.

 

Tirando le fila, lei è favorevole o contrario? 

Non vedo motivi per giustificare un voto contrario, ma penso che vi siano buoni motivi per giudicare negativamente una classe politica che comincia la sua riforma della Costituzione dalla riduzione dei parlamentari.