Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca (foto LaPresse)

Come si salva la sinistra al governo

Annalisa Chirico

L’autonomia e i conflitti con il nord. La denuncia di un paese “costruito sul non fare” , la rabbia per l’incompetenza e la demagogia al potere. L’Italia, Napoli e la politica come mutilazione di vita. Parla il governatore Vincenzo De Luca

Presidente Vincenzo de Luca, partiamo dal tema che è sua croce e delizia: l’autonomia. La Campania è la quarta regione, dopo Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, ad aver proposto al governo un’intesa. Il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, ospite come lei alla Scuola di Fino a prova contraria, ha ribadito che presenterà una legge quadro entro la fine dell’anno, un “perimetro” nel quale inserire gli accordi con le diverse regioni. “La mia previsione? Faremo una montagna di chiacchiere per non concludere niente. Il che, visti i tempi che corrono, sarebbe il risultato migliore”.

 

Secondo il governatore Luca Zaia, si finirà alle calende greche. “Guardi, il livello di confusione mentale, demagogia, pressappochismo, vera e propria imbecillità è tale che è meglio non concludere niente. Siamo ormai a livelli insopportabili di sottocultura, perfino dal punto di vista grammaticale e sintattico. Quando nel ’93 fui eletto sindaco di Salerno per la prima volta, eravamo nel pieno di Tangentopoli. Ero animato dalla voglia di fare, coltivavo mille progetti, mi affascinava il discorso della trasformazione urbana, così convocai una riunione con i direttori generali e, al termine del confronto, il segretario generale mi prese sottobraccio e mi consigliò in disparte: ‘Sindaco, qua meno facciamo meglio è’. Ecco, esistono fasi della politica in cui vale la pena attenersi alla massima di quel funzionario”.

 

Insomma, addio autonomia. “I nostri colleghi del nord hanno cavalcato una campagna in parte demagogica e in parte legata a esigenze vere. Agli echi della Padania libera, cioè all’idea di sostanziale separazione dell’area forte del nord-est dal resto d’Italia descritto come la palla al piede dell’intero paese, si è unita la necessità di ridefinire i rapporti tra stato centrale e regioni. Con la modifica del Titolo V nel 2001, il governo Amato di allora, nel tentativo di rincorrere la Lega, modificò la Costituzione creando le premesse, sotto la dicitura di ‘materie concorrenti’, per una serie di conflitti di competenze fra regioni e stato, l’ira di Dio. L’ennesima stupidaggine è venuta dal governo Gentiloni con l’approvazione della bozza Bressa che, di fatto, sanciva la rottura dell’unità nazionale”.

 

“Da almeno due decenni, l’Italia ha imboccato la via di un lento declino. Esistono problemi strutturali, a partire dalla disoccupazione giovanile,
che sfuggono ai miei colleghi del nord”. I guai giudiziari e il reato di abuso d’ufficio: “Un assurdo italiano, una fattispecie che andrebbe
immediatamente modificata”

 

Addirittura? “Quella bozza apriva il varco alla gestione autonoma del residuo fiscale, segnava la fine dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale, per non parlare della sanità. La posizione della Campania è la seguente: serve una operazione di verità. Se siamo ancora un paese unito, si deve partire dai livelli essenziali di prestazione e fissare, di conseguenza, il fabbisogno standard per garantire che un cittadino del Piemonte come uno di Pantelleria abbiano uguale diritto di accesso ai servizi fondamentali. Quando sento i colleghi del nord annunciare che non toglieranno nulla al sud, io rispondo: e grazie! Cristallizzando la spesa storica si penalizza il meridione. Un esempio: quando si stabilisce il riparto del fondo sanitario nazionale, la regione che riceve meno è la Campania perché, da qualche anno, è stato eliminato il criterio legato alla deprivazione sociale e ne è rimasto in piedi soltanto uno, quello dell’età anagrafica della popolazione. Così la Campania, la regione più giovane d’Italia, riceve meno risorse su base nazionale: un cittadino campano, in media, riceve duecento euro pro capite in meno rispetto a un emiliano e cento euro in meno rispetto a un lombardo o a un veneto”.

 

Lei ha subìto sei processi legati alla sua azione amministrativa ed è stato sempre assolto. “Lei si tiene bassa, io direi che sono ventisei più che sei… Abbiamo visto crescere un paese costruito sul non fare, non sul fare. Il non fare assicura posizioni di privilegio e parassitismo alle grandi burocrazie del nostro paese, alle grandi lobby finanziarie e bancarie, ma porta dritti alla morte dell’Italia. Partiamo da un dato: negli ultimi vent’anni, il pil nazionale è cresciuto del 2,4 percento, quello tedesco del 25 percento. Siamo cresciuti un decimo della Germania. Da almeno due decenni, l’Italia ha imboccato la via di un lento declino. Abbiamo il fiato sul collo di paesi come Sud Corea, Brasile, Russia e India. Esistono problemi strutturali, a partire dalla disoccupazione giovanile, che sfuggono ai miei colleghi del nord. Il sud soffre un’emorragia di giovani scolarizzati con una ricaduta di lungo periodo perché, se perdi cervelli, se perdi la cultura, se perdi la professionalità, fai forse contenti i Cinque stelle, quelli dell’uno vale uno, ma nella vita la cultura e la competenza sono decisive per andare avanti”.

 

Giudiziariamente parlando, lei sembra inseguito dal reato di abuso d’ufficio. “Un assurdo italiano, una fattispecie che andrebbe immediatamente modificata. Ne ho parlato a Cernobbio con la professoressa Paola Severino: quella norma sarebbe già stata modificata se non avessimo classi dirigenti così invigliacchite. Da sindaco di Salerno, realizzavo circa trecento opere pubbliche ogni anno, dunque trecento procedure amministrative e altrettante valutazioni di progetti. Su una mole di lavoro così imponente un errore amministrativo va messo in conto mentre andrebbe evitata la confusione tra piano amministrativo e penale. Il ladro ruba e incorre in una sanzione penale, ma se sbagli un atto amministrativo perché magari siamo un paese di dementi e cambiamo ogni sei mesi la legge sugli appalti, il dirigente dell’ufficio appalti non sa che pesci prendere”.

 

E’ la paralisi di chi ha paura di sbagliare. Hanno coniato anche un’espressione, presidente: burocrazia difensiva. “C’è un guazzabuglio totale, leggi scritte male che si contraddicono, e poi i controlli di un gendarme come l’Anac cui si sommano i tribunali amministrativi. Il povero funzionario non sa se deve attenersi a queste o a quelle direttive, magari in presenza di un ricorso pendente al Tar. Siamo alla follia. E poi qualcuno si chiede perché in questa palude amministrativa e giudiziaria nessuno è disposto a investire”.

 

Giuristi come Carlo Nordio sono favorevoli all’abrogazione dell’abuso d’ufficio. “Per me si può tranquillamente eliminare, e in ogni caso è incivile che, all’esito di una condanna in primo grado, il dirigente che ha sbagliato una firma si ritrovi demansionato, con stipendio dimezzato e, se prossimo alla pensione, venga pregiudicata pure quella. Insomma, inizia un martirio nelle more di un procedimento che potrebbe vederlo, alla fine, assolto. In Francia il ruolo del dirigente pubblico dà prestigio sociale, da noi invece è oggetto di scherno e offese perché veniamo da dieci anni di sottocultura, di primitivismo, di demagogia, di ‘uno vale uno’. Un conto è la casta che mira all’autoperpetuazione, in spregio al merito e alla legalità: essa va combattuta. Un altro conto invece è l’élite: un paese senza élite, senza competenza, senza cultura è destinato a morire”.

 

Il suo partito, il Pd, è al governo con quelli dell’uno vale uno. Mostri qualche entusiasmo, presidente. “Questa circostanza non mi provoca alcuna sensazione. Non mi fa né caldo né freddo. Ho scelto, nella mia vita, che la verità viene cento volte prima delle bandiere di partito. La verità, prima di tutto”.

 

Dal primo gennaio entra in vigore la sospensione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, anche in caso di assoluzione. Il Pd tiene il punto o incassa? “Voglio controllare le parole, mi faccia tenere sennò poi esagero… Mi sembra che, per portare avanti questo governo, ci sia una certa propensione a incassare, sì. Tuttavia mi auguro che si faccia una riflessione più ampia sulla tendenza generale delle forze politiche a scaricare le inefficienze dello stato sul cittadino. Uno dei miei processi, legato a una variante urbanistica durante il mandato da sindaco, è durato diciannove anni. Al sedicesimo anno decisi di rinunciare alla prescrizione, volevo il giudizio e all’epoca un’esimia parlamentare, Rosaria Bindi, mi inserì in una lista di cosiddetti ‘impresentabili’. Alla fine sono stato assolto. Se i tempi dei processi sono biblici, bisogna renderli più rapidi, non eliminare i termini per la prescrizione. E’ indegno di un paese civile”.

Per il guardasigilli Alfonso Bonafede è una legge bandiera. “Bonafede? Io direi: bonanotte”.

 

“Un paese senza élite, senza competenza è destinato a morire”.
“Se i tempi dei processi sono biblici, bisogna renderli più rapidi,
non eliminare i termini per la prescrizione”.
Il carcere preventivo: “In Italia se ne fa un uso barbaro”.
La degenerazione dei comitatini e la “campagna mistificatoria”
sulla Terra dei fuochi
 

 

Senta, tra gli ostacoli alle opere pubbliche e alle infrastrutture non ci sono soltanto i tribunali ma anche le minoranze intense, di solito numericamente esigue ma mediaticamente rumorose. “Certo, i comitatini sono un male di questo paese. Gente che si mette sui binari contro i treni, gente da manicomio. Il comitatismo è una degenerazione della democrazia italiana: non è partecipazione ma ideologismo deteriore, pura mistificazione. Gli agitatori, il più delle volte, sono disoccupati organizzati, persone che non hanno niente da fare e per le quali il comitatino diventa una questione identitaria. Il seme di questa sottocultura è appunto l’ignoranza, e il gruppo di riferimento più rilevante, dal punto di vista della concentrazione, siede in Parlamento. Non si può pretendere che un povero cristo che si sveglia all’alba per guadagnarsi il pane svolga i dovuti approfondimenti scientifici su un determinato tema. Queste persone ascoltano ciò che viene diffuso dai telegiornali o veicolato sui social network, quindi la radice di tutto è il misto di opportunismo e ignoranza che caratterizza le classi dirigenti nazionali. Quando abbiamo presentato a Bruxelles il nostro piano per la gestione dei rifiuti, non è stato facile far comprendere ai colleghi stranieri questo elemento di irrazionalità. Un esempio è la campagna mistificatoria sulla Terra dei fuochi. Se uno osserva la superficie dello stivale su Google, scopre che oggi il territorio con la massima concentrazione di roghi è la Lombardia. Al sud c’è una vocazione al masochismo: godiamo a farci del male con le nostre mani. Ho spiegato per mesi che quella campagna si fondava su tesi scientificamente infondate, non suffragate dai fatti, che avrebbero danneggiato concretamente il nostro apparato agroalimentare, i piccoli agricoltori, i nostri esportatori. Non c’è stato niente da fare. Oggi la Campania è la regione più monitorata d’Italia. A voler seguire il senso comune, avremmo il livello più elevato di patologie tumorali: è falso. L’incidenza è inferiore alla media nazionale, salvo che per il tumore alla tiroide, un’anomalia sotto indagine da parte degli istituti specializzati”.

 

Restando sulla giustizia penale, la Campania ha un tasso di sovraffollamento che sfiora il 134 per cento. Istituti come Poggioreale sono l’inferno in terra. “Esistono centinaia di fattispecie che andrebbero depenalizzate perché hanno il solo effetto di ingolfare uffici giudiziari e carceri. Il tema però è uscito dall’agenda politica, anzi non c’è mai entrato. Un ragazzo che nasce a Scampia ha il destino segnato, non ci sono santi. Quando hai tuo padre in galera e tua madre spaccia droga, sei già perduto. E se vedi tuo padre detenuto in quelle condizioni indegne, ti scatta un altro istinto, quello di vendicare tuo padre. Spezzare la catena delle vendette è la sfida che va affrontata. E poi c’è la carcerazione preventiva: in Italia se ne fa un uso barbaro, come se farsi un giro in cella fosse come prendere un aperitivo al bar. Quasi un terzo dei detenuti sono in attesa di giudizio: formalmente innocenti, eppure in galera. Tuttavia di questo non si parla, il tema è estraneo allo spirito del tempo che predica più manette a prescindere. Ogni tanto un tipo anziano, vestito di bianco, tenta di lanciare un messaggio… ma in una società che va avanti a tweet c’è da sentirsi depressi”.

 

Sulla riduzione del numero dei parlamentari, il Pd ha seguito il M5s. Magari sulla prescrizione accade il contrario. “Mi lasci nutrire qualche dubbio, diciamo così. Hanno fatto questo taglio, un’operazione demagogica. Il problema vero è diversificare le funzioni di Camera e Senato, solo così il procedimento acquista efficienza. Se l’obiettivo era la riduzione delle poltrone allora potevano tagliarne cinquecento e non duecento. Così invece passa il messaggio che le istituzioni rappresentative siano luogo di ozio e parassitismo. Ovviamente non si sono tagliati gli stipendi né si son sognati di emendare quella parte della legge Severino che esclude dalle conseguenze di una condanna per abuso d’ufficio a deputati, senatori, ministri, viceministri e sottosegretari”.

Lei si prepara a correre per un secondo mandato nel 2020? “Assolutamente sì, non abbiate dubbi”.

 

La politica è una cosa bella? “La politica è fatica. Il lavoro politico è una mutilazione di vita. E’ chiaro? E’ una mutilazione di vita. Se ti accontenti di galleggiare, vivi bene. Se invece vuoi cambiare la realtà, una realtà come Napoli, ti devi mutilare l’esistenza, dalla mattina alla sera”.

Buon lavoro, presidente.

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