Elezioni in Umbria, l'Ohio d'Italia

I populisti scoprono in Umbria che non c'è crescita possibile senza Alta velocità

Entrambi i candidati, Vincenzo Bianconi del centrosinistra e Donatella Tesei del centrodestra, giurano di voler rinegoziare il contratto con le Fs e potenziare l’aeroporto di Perugia

Nell’Umbria-Ohio il problema principale si chiama crollo della spesa pubblica per investimenti, che tra il 2010 a il 2017 si è quasi dimezzata (meno 45 per cento rispetto ad un trend nazionale di meno 33,2), situazione che va ad aggravare un gap di infrastrutture e collegamenti che affligge la regione, per paradosso la più centrale d’Italia. Al contrario è aumentata la spesa pubblica corrente, sia pure in misura inferiore alla media italiana (del 6 per cento contro l’8,6). Un dossier della Cna, la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola impresa umbra, fotografa un quadro che entrambi i candidati, Vincenzo Bianconi del centrosinistra e Donatella Tesei del centrodestra, giurano di voler correggere più o meno con gli stessi strumenti: rinegoziare il contratto con le Fs, visto che l’Alta velocità sfiora l’Umbria ad ovest senza però fermarsi, e potenziare l’aeroporto di Perugia (che si occupa solo di passeggeri ma dove non arrivano né partono merci), per il quale Bianconi propone l’ingresso della regione nel capitale azionario, a somiglianza degli scali del nord.

 

I tagli dei trasferimenti statali si manifestano nel mancato completamento delle infrastrutture del cosiddetto Quadrilatero Marche-Umbria, strade statali e regionali finanziate per 1,9 miliardi ma ultimate solo al 76 per cento, mentre per 25 altri interventi pari a 3,3 miliardi l’avanzamento è fermo all’81 per cento. Poi ci sono 11 opere ormai classificate come incompiute, pari a 7,8 milioni, otto delle quali per fallimento o mancanza di fondi. Il risultato è che l’Umbria deve affidarsi ai 59 chilometri dell’A1, la sola autostrada della regione, mentre per le linee ferroviarie è al 16 posto sulle 20 regioni italiane e prevale il binario unico (193 chilometri su 376).

 

Negli ultimi anni per reagire alla crisi l’Umbria ha assistito a una rotazione dalla manifattura ai servizi, con ovvia polverizzazione delle imprese ma anche con una certa vivacità imprenditoriale. Ma il fisco non ha certo dato una mano, e la situazione, che era in miglioramento, potrebbe peggiorare proprio con il governo giallorosé. Tra il 2008 e il 2017 l’Umbria ha perso il 6,3 per cento delle partite Iva rispetto ad un calo nazionale del 5,5 ed a regioni vicine che le hanno aumentate come il Lazio (del 6,4) o dove il calo è stato ridotto come nelle Marche (dell’1,9). Nel 2019 la tendenza si è invertita con un recupero previsto a fine anno di mille partite Iva, un quinto di quelle perdute. Merito in gran parte del regime a forfait ideato dal governo Renzi e potenziato dal primo esecutivo Conte.

 

Ma la nuova stretta della legge di bilancio (nonostante le rassicurazioni il diavolo è sempre nei dettagli) rischia da una parte di aggravare la pressione fiscale, dall’altra di bloccare la ripresa di imprenditorialità affidata al lavoro autonomo. L’Umbria viene considerata da molti come una regione chiave per capire quale sarà il modello politico che avrà speranza di affermarsi nel resto d’Italia. Ma quale che sia il modello vincente alle elezioni di domenica prossima non c’è candidato che non condivida quello che alcuni politici nazionali sembrano invece non condividere fino in fondo: senza scommettere sulle infrastrutture in Italia come in Umbria non c’è crescita possibile. Si scrive Umbria, si legge Ohio.

 

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