Foto LaPresse

Italia Ilva

Valerio Valentini

Da Taranto alla Giustizia. Le prove di nuove maggioranze in Parlamento spaventano il M5s. Parla Bellanova

Roma. Tutta l’insofferenza della pattuglia di Italia viva per l’ennesima bizza grillina, quella sulla chiusura dell’Ilva, sta in un messaggio che a metà mattinata Matteo Renzi si vede recapitare da una sua deputata: “So che sul tema abbiamo tenuto finora una linea moderata, ma forse dovremmo cambiarla”. Al che l’ex premier si stringe nelle spalle, costretto com’è a mordere il freno, e ricorda che “non possiamo aprire troppi fronti contemporaneamente, per ora”. Ma certo, l’intervista rilasciata al Foglio da Mario Turco, il responsabile del governo per la Programmazione economica che invoca la chiusura dell’acciaieria tarantina, ha diffuso un certo sconcerto. La capodelegazione di Iv, Teresa Bellanova, per non cedere allo sconforto prova a cercare un appiglio nelle parole di Stefano Patuanelli. “Il ministro – ci spiega – dice che su Ilva, che non è solo Taranto, si deve trovare un punto di equilibrio, che per noi non può prescindere dal rilancio di Ilva e dall’ambientalizzazione di Taranto, dall’attuazione del Piano ambientale e del Piano industriale, dall’impedire che Taranto divenga il più grande cimitero industriale europeo”. Poi, però, anche lei ha un moto di scoramento: “Un paese serio e autorevole non può riscrivere all’infinito le regole i patti che fa con gli investitori, smentendo continuamente sé stesso”, dice la Bellanova, pensando ai continui ripensamenti grillini sul cosiddetto “scudo penale”. “Non si può far pagare chi investe per errori, enormi, commessi da altri e mentre altri erano colpevolmente distratti. D’altronde, se il nostro sistema produttivo non può fare a meno dell’acciaio, non può fare a meno di Ilva, sempre che non si voglia estromettere dalla competizione globale un pezzo rilevante delle nostre imprese”. 

 

 

E a Giancarlo Giorgetti non deve quasi parerei vero di potersi gustare, da osservatore esterno, le turbolenze governative che per un anno e mezzo ha dovuto sopportare sulla sua pelle. “Noi – dice – l’emendamento per ripristinare lo ‘scudo penale’ lo presentiamo di sicuro. Se i renziani vorranno sostenerlo, sono i benvenuti”. Difficile che accada, però. 

 

 

Un po’ perché, come spiega il sottosegretario grillino ai Rapporti col Parlamento, Gianluca Castaldi, “il testo del ‘decreto imprese’ arriverà blindato dal Senato, e sulla sua approvazione c’è un accordo di governo”. Un po’ perché, più in generale, ai renziani ora conviene ammassare le truppe là dove è possibile lo sfondamento. Sulla giustizia, ad esempio, una maggioranza alternativa a quella demogrillina può esserci: l’appello “a tutti i garantisti” lanciato da Renzi ha raccolto l’entusiasmo di vari esponenti di Forza Italia (e non a caso uno dei più attivi, nel convincere gli azzurri ad abbracciare il credo renziano è Cosimo Ferri, responsabile per la giustizia del nuovo partito che ieri mattina, a Montecitorio, tentava un’opera di persuasione sia sul berlusconiano Piergiorgio Cortelazzo, sia sul pd Mario Morgoni). “Se c’è la possibilità di passare dallo spazza-corrotti allo spazza-Bonafede, la convergenza di alcuni di noi con i renziani è inevitabile”, sorride il forzista Enrico Costa. “Abbiamo scritto al Quirinale per evidenziare l’anomalia di introdurre una norma penale in un decreto fiscale, con una vigenza differita del tutto anomala”, spiega. E guarda caso, quella di interrogare i pareri di Sergio Mattarella sulle forzature procedurali legate al cosiddetto “carcere ai grandi evasori” è un’intenzione che lo stesso Renzi fa trapelare in queste ore. Perché il governo non va messo in discussione, certo, ma neppure si può cedere alla cultura del grillismo senza battere ciglio. E il cantiere della legge di Bilancio può essere, a suo modo, laboratorio di intese impreviste. “La fase parlamentare è lunga, più di due mesi”, sospira Luigi Marattin. “Ne succedono di cose in due mesi”. Può succedere, ad esempio, che Tommaso Nannicini presenti un emendamento correttivo su quota 100, per introdurre un’unica finestra di uscita nel 2020. E a quel punto, i renziani coglierebbero la palla al balzo, anche per incunearsi nelle contraddizioni del Pd. E può succedere che Matteo Orfini rilanci la battaglia sull’abrogazione dei decreti sicurezza: e perché Iv dovrebbe opporsi? Mosse azzardate, certo. Tanto più se si considera che lo stesso leader di Iv, nelle quotidiane chiamate con cui prova ad attrarre gli indecisi berlusconiani (che attendono il disastro annunciato dell’Umbria, con Fi data al 3 per cento, per fare il grande passo), giura che non è detto che il nuovo partito centrista resti nell’orbita del centrosinistra, come alludendo a un clamoroso cambio di fronte. Una suggestione, per ora, un artificio della persuasione. Ma tanto basta per fare illudere i leghisti. “Vi pare che a Renzi – diceva ai suoi colleghi del Carroccio, ieri, Dario Galli – non gli venga in mente di fare lo scherzetto al Pd, in Emilia, per dimostrare che, senza di lui, i dem non vincono?”.

Di più su questi argomenti: