Zingaretti apre il casting per il nuovo sindaco di Roma
Morassut si candida, Bettini organizza, c'è voglia di Calenda (e di Verdone) mentre Pd e M5s si considerano già una cosa sola
Roma. La sindacatura Raggi procede tra quelle che il sindaco, ieri, definiva “macerie del passato” (secondo lei ereditate dai predecessori) e che i suoi detrattori descrivono come macerie del presente, dai trasporti ai rifiuti all’allarmante disimpegno degli investitori. Dovrebbe quindi spalancarsi una prateria davanti agli occhi di chi, dall’opposizione, si appresta a immaginare il “dopo”, il momento in cui bisognerà entrare in gara gli uni con gli altri per ottenere il Campidoglio. D’altra parte ieri, Nicola Zingaretti lo ha praticamente detto: “In caso di elezioni anticipate a Roma, dobbiamo essere pronti”.
E però i passi sono cauti, le voci felpate, l’andatura lenta. Specie a sinistra, dove non c’è grancassa (a destra c’è Matteo Salvini) e dove anzi, dopo l’avvio del governo rossogiallo, si cerca di prendere tempo in attesa di alcuni fatti chiarificatori. Non ci si può infatti davvero comportare come ospiti felici della casa comune Pd-Cinque stelle, perché potrebbe rivelarsi una casa “senza soffitto e senza cucina”, come cantava Sergio Endrigo. C’è intanto un primo grande scoglio che nasconde alla vista il possibile panorama retrostante: che cosa succederà domenica prossima alle elezioni regionali in Umbria, primo banco di prova esterno del cosiddetto “schema Franceschini”, dal nome del ministro dei Beni culturali, grande sponsor dell’alleanza rossogialla? Un conto è infatti vedere rafforzata dal voto l’intesa cordiale seppure non solidissima tra Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti, con “patto civico” per sostenere l’imprenditore Vincenzo Bianconi; altra cosa è vedere quell’intesa rotolare a valle per effetto di una eventuale forte affermazione degli avversari di centrodestra (specie salviniani).
E però, in attesa che l’Umbria si faccia profeta, qualcosa si muove. Ecco per esempio che proprio in questi giorni Roberto Morassut, deputato pd, ex candidato alle primarie per il sindaco nel 2016, assessore all’urbanistica di Veltroni, e oggi sottosegretario all’Ambiente nel governo Conte II, scrive una sorta di manifesto. Titolo: “Un riformismo civico per Roma”. Un testo che, per lunghezza e dettaglio, assomiglia a prodromo di programma (non per niente quello di Morassut è uno dei nomi che si fanno a sinistra). L’esordio è morbido, vista l’incertezza del quadro, ed essendo per giunta lo scrivente al governo con i Cinque stelle: “Sento il bisogno, come cittadino romano”, scrive Morassut, “di una diversa narrazione di Roma. Non mi piace il racconto dominante, la rappresentazione unilaterale di una città maledetta, piegata sulle sue emergenze…, questo non vuol dire nascondere gli enormi problemi attuali né tanto meno le responsabilità delle classi dirigenti”.
Vuole, insomma, Morassut, veicolare l’immagine di una città che non sia soltanto “degrado e abbandono” ma culla di una società civile “vitale, moderna, dinamica” (forse quella da cui si dovrà estrarre un nome che vada bene anche ai Cinque stelle?). E indica il campo largo del “nuovo centrosinistra” che va dai ragazzi del Cinema America, cioè Valerio Carocci, alla sinistra-sinistra di Amedeo Ciaccheri, al mondo della cooperazione e della sussidiarietà, fino al Movimento cinque stelle addirittura citando Beppe Grillo che parla dei “ragazzi che ci hanno provato”. I numi tutelari sono quelli della storia di Morassut, cioè Walter Veltroni, due volte sindaco, e Goffredo Bettini, redivivo deus ex machina della politica romana e non solo: è uno dei consiglieri più ascoltati di Zingaretti e un sostenitore della prima ora dell’alleanza Pd-M5s.
E’ dal laboratorio del Bettini alchimista che sono usciti piani d’azione (dai tempi di Francesco Rutelli in giù) e nomi, come quello dell’Ignazio Marino poi protagonista di una non felice esperienza capitolina. E Bettini ha adesso ricominciato a scandagliare il fondo dell’ampolla (società civile, mondo del cinema, intellò) per trovare il nuovo nome. Ed ecco che, scrutando gli ambienti bettiniani, spuntano intanto e addirittura (ma chissà) Carlo Verdone, Claudio Amendola, Gigi Proietti e Alessandro Gassmann (colui che puliva da solo la strada davanti a casa sua). E però c’è un’altra incognita: che cosa farà sul medio termine Matteo Renzi, rispetto al governo e in prospettiva, quando cioè sarà chiara la strada della legge elettorale? Anche per questo, a chiedere lumi sul futuro sindaco di Roma, si riceve spesso in risposta un “faremo le primarie, si vedrà”.
Ma chi concorrerà alle primarie? Si fanno sottovoce i nomi di Giovanni Caudo, ex assessore all’Urbanistica nella giunta Marino e presidente del III Municipio, di Micaela De Biase, consigliere regionale, già caterpillar in consiglio comunale nonché moglie di Dario Franceschini, dello scrittore Christian Raimo, gradito alla sinistra radicale, Amedeo Ciaccheri, presidente dell’VIII municipio, e come outsider Riccardo Magi, deputato di +Europa (nonché promotore del referendum Atac di un anno fa). Poi si arriva a Carlo Calenda, e le incognite si moltiplicano, intrecciandosi al suddetto interrogativo: “Che farà alla fine Matteo Renzi”?