Meglio marciare su Terni che su Roma
Sveglia. Di fronte a un’opposizione forte e a una maggioranza debole mai come oggi è necessario un governo che si occupi solo di governare. Perché l’Umbria ci ricorda che il governo rossogiallo non può diventare per Pd e M5s uno spin off di “Temptation Island”
Meglio Terni che Roma. La particolarità delle elezioni umbre, stravinte come sapete dal centrodestra guidato dalla Lega di Matteo Salvini, è che a voler negare oggi una valenza nazionale del voto di domenica scorsa sono tutti coloro che hanno passato buona parte delle ultime settimane a dare una valenza nazionale all’appuntamento elettorale dell’Umbria. Lo ha fatto il Partito democratico, che ha trasformato le elezioni umbre in un test importante per “superare le diffidenze” e “dimostrare che Pd e M5s non possono stare insieme solo per fermare Matteo Salvini” (sono le parole usate dal segretario del Pd, Nicola Zingaretti, dieci giorni fa in direzione). Lo ha fatto il Movimento 5 stelle, che ha trasformato le elezioni umbre in un test per misurare la popolarità del modello Conte (il M5s ha perso 20 punti rispetto al 4 marzo 2018). Lo ha fatto infine lo stesso Giuseppe Conte, che ha scelto di verificare sul campo l’esistenza o meno di un tocco magico elettorale del premier (in Umbria Conte verrà ricordato solo per i suoi palleggi con Brunello Cucinelli).
La valenza nazionale del voto umbro (che ovviamente c’è e che fa del premier uno yogurt la cui scadenza potrebbe essere più ravvicinata rispetto a quella immaginata da Romano Prodi per il partito di Matteo Renzi) è stata dunque impressa proprio da tutti coloro che oggi quella valenza la negano. E se c’è una piccola ma rilevante lezione nazionale che si può trarre dal risultato del voto regionale, questa potrebbe essere riassunta così: di fronte a un’opposizione molto forte e a una maggioranza molto debole, mai come oggi è necessario un governo che si occupi solo ed esclusivamente di governare.
Questo governo, al contrario di quello che sembrano pensare oggi molti dirigenti del Pd e alcuni dirigenti del M5s, non è nato per essere uno spin off di “Temptation Island” e non è nato per testare la solidità del matrimonio tra il Partito democratico e il Movimento 5 stelle. Il governo di svolta è nato per dare una svolta per così dire tecnica alla pericolosa traiettoria che l’Italia aveva imboccato nei quattordici mesi di governo gialloverde. E in questo senso il voto umbro ha dimostrato che la tesi dei non salviniani – i quali avrebbero voluto sperimentare l’ebbrezza di sfidare alle elezioni anticipate il sovranismo – era una tesi, a voler essere generosi, tanto sciagurata quanto pericolosa.
I numeri li conosciamo tutti: la Lega è il partito più forte che c’è in Italia (in Umbria è arrivata al 36,9 per cento), il centrodestra a trazione sovranista vince ininterrottamente elezioni dall’aprile 2018 (dal Molise in poi), il partito individuato dal Pd come strategico per governare a lungo l’Italia è sceso al 7,4 per cento (il 4 marzo 2018 in Umbria era al 27,5), i rivali della Lega considerano ormai un successo il non aver perso troppi voti rispetto alle elezioni precedenti (il Pd ieri ha tenuto a far sapere che il candidato sostenuto a questa tornata elettorale in Umbria, Bianconi, ha preso più voti in termini assoluti rispetto al candidato sostenuto dal Pd alle ultime regionali: 166.179 contro 159.869) e per questa ragione oggi chiunque sia spaventato dall’idea che la Lega possa ripetere in Italia lo stesso risultato ottenuto in Umbria (facendo sperimentare ai risparmiatori italiani cosa significa usare pieni poteri per giocare con l’Europa) dovrebbe iniziare a osservare questo governo non come se fosse un nemico da abbattere ma come se fosse una scialuppa da difendere.
E per difendere la scialuppa non è necessario trasformare coloro che in questo momento si trovano ai remi in compagni di viaggio destinati a condividere quello spazio vitale per l’eternità. Occorre fare qualcosa di molto più semplice e fare cioè quello che la politica non avrà forse mai il coraggio di fare con la magistratura: separare le carriere. In politica, mai come oggi, separare le carriere significa chiedere al Pd di avere un progetto diverso rispetto all’idea di dover agire in modo unitario, significa augurarsi che il Movimento 5 stelle possa portare avanti un suo processo di istituzionalizzazione, significa auspicare che il presidente del Consiglio possa limitarsi a interpretare il suo ruolo di garante dello stato di necessità, significa sperare che il partito di Renzi possa avere la forza di portare al fronte antisovranista quello che il Pd oggi non è in grado di portare e significa ricordarsi che il compito di questa legislatura non è dare al Pd la moglie che non trova e al M5s il marito che vorrebbe, ma è semplicemente limitare i danni, senza giocare con l’Europa, senza giocare con le tasse, senza giocare con il debito, in attesa naturalmente di eleggere un presidente della Repubblica che non sia magari plasmato sull’autorevole modello Marcello Foa.
E a tutti coloro che oggi borbottano sostenendo che la presenza del governo rossogiallo rischia di essere un terribile autogol in quanto potrebbe rafforzare la Lega di Matteo Salvini, varrebbe la pena rispondere che la forza della Lega di Salvini non è la conseguenza di questo governo ma è la causa. Il governo è nato per non dare pieni poteri a Salvini. E se fra tre anni, quando speriamo si tornerà a votare, non importa con quale governo, scopriremo che la Lega, nella sua traversata tra i pieni poderi dell’opposizione, è anche maturata, avremo una ragione in più quel giorno per ringraziare chi ha tenuto fuori dal perimetro di Palazzo Chigi il trucismo di governo. Meglio Terni che Roma.