Matteo Salvini (foto LaPresse)

Tutti i regali che i nemici di Salvini non possono più permettersi di fare all'ex truce

Claudio Cerasa

I sovranisti sono popolari e hanno un leader naturale. Gli antisovranisti non sono popolari e non hanno un leader naturale. Buone ragioni per prendersi ancora un po’ di tempo per non andare alle elezioni

Il problema in fondo è tutto lì: da una parte un c’è un modello di leadership che funziona, dall’altra parte c’è un insieme di leadership che per il momento non ne vuole sapere di funzionare. Da una parte c’è Matteo Salvini, leader senza discussioni del centrodestra, incredibilmente più istituzionale oggi da capo dell’opposizione che ieri da capo occulto del governo. Dall’altra parte c’è invece una complicata partita che si sta giocando all’interno del perimetro della maggioranza di governo tra quattro leadership, molto diverse fra loro, tutte alla ricerca di un anti Salvini che al momento semplicemente non c’è.

 

La maggioranza rossogialla, secondo molti osservatori, avrebbe potuto creare le condizioni per far maturare una leadership alternativa al modello Salvini ma la verità è che tutti coloro che in qualche modo esercitano oggi una leadership all’interno della maggioranza sanno bene che la caratteristica del governo è quella di essere una sintesi tra debolezze simmetriche. Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti sono i capi dei due più importanti partiti di governo ma per diverse ragioni hanno entrambi gravi problemi legati alla natura della propria leadership. Di Maio è ostaggio del modello Rousseau e sta sperimentando sulla sua pelle cosa significhi sostenere, come sosteneva il filosofo svizzero, che ogni forma di potere “debba essere sottoposta alla suprema direzione della volontà generale”. La volontà generale del modello Rousseau ha dato a Di Maio pieni poteri attraverso la leva padronale della democrazia digitale (uno vale uno) ma di fronte alle gravi difficoltà attraversate dal M5s (da un mese il Movimento prova a eleggere un suo capogruppo alla Camera senza riuscire a trovare un accordo) oggi come non mai il leader del M5s vorrebbe probabilmente avere a disposizione un Movimento non fondato sulla menzogna dell’uno vale uno veicolata dal falso mito del necessario rispetto della volontà generale.

  

Un problema simile in termini di deficit di leadership lo ha invece Nicola Zingaretti che si trova in una situazione difficile da decodificare: il leader del Pd sente il bisogno di essere nuovamente legittimato come capo del suo partito (vedi alla voce nuovo congresso) ma sa che non avrà speranze di essere percepito come il vero anti Salvini avendo scelto lui stesso di interpretare il ruolo dell’antileader, arrivando perfino a separare il ruolo di capo del Pd da quello di candidato premier. Le debolezze speculari di Zingaretti e Di Maio avevano contribuito a rafforzare per qualche tempo la leadership di Conte (“il nostro Bearzot”, come da nota definizione del ministro Francesco Boccia) ma l’illusione di Conte federatore di un nuovo Ulivo formato da Pd e M5s è durata lo spazio di qualche settimana, il tempo necessario per far sapere a Conte che il suo futuro non dipende da quello che gli vorrà far fare il Pd ma da quello che gli vorrà far fare il M5s (“Non lo vedo come leader politico”, ha detto due settimane fa il ministro grillino Vincenzo Spadafora).

 

Più perderà consistenza il ruolo di Conte (cosa a cui punta anche Matteo Renzi, che prima o poi, a sua volta, dovrà forse porsi il tema di come federare i soggetti che un tempo si sarebbero definiti di centro) e più perderà inevitabilmente consistenza la possibilità che questo Parlamento approvi una legge elettorale maggioritaria fatta per valorizzare quello che in natura ancora non c’è: un anti Salvini. L’anti Salvini non esiste non solo perché nessuno dei leader che si trovano oggi sul fronte opposto a quello salviniano ha la capacità di impersonare una popolare visione antitetica a quella incarnata dall’ex truce. Ma anche perché molti di coloro che dovrebbero avere il compito di indicare una via diversa dal salvinismo non si rendono conto che per creare un’alternativa l’identità conta più della sintesi e il cosa fare conta molto più del con chi stare. I sovranisti sono popolari e hanno un leader naturale. Gli antisovranisti non sono popolari e non hanno un leader naturale. Tutte buone ragioni per prendersi ancora un po’ di tempo per non andare alle elezioni (cosa che un pezzo di Pd oggi vorrebbe invece fare), per non fare regali ai populismi (se per giustificare l’alleanza per non perdere Narni usi le stesse parole utilizzate per giustificare l’alleanza costruita per non perdere l’Europa stai trasformando in un’emergenza ciò che non è un’emergenza) e per donare al più presto al nostro paese una bella legge proporzionale capace di imbrigliare il nazionalismo dentro alla rete del compromesso. Meno sintesi, più idee, più leadership, più identità. Il resto forse verrà da sé.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.